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Viaggio nello strano mondo dei portieri

L’estremo difensore dell’Ambrì Conz racconta qualche aspetto nascosto del suo ruolo: ‘Essere destri è un vantaggio e a volte le statistiche sono superflue’

‘Partite come quelle contro il Kuopio in cui si ricevono pochi tiri non sono piacevoli’
(Keystone)
29 dicembre 2023
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Davos – In Leventina dal 2017, Benjamin Conz è stato per lungo tempo uno dei pilastri dell’Ambrì Piotta. Che lascerà però a fine stagione per tornare nel suo Canton Giura, all’Ajoie. Con lui abbiamo cercato di approfondire le particolarità del suo ruolo di portiere, tanto affascinante, quanto difficile da decifrare.

Innanzitutto una curiosità: è vero che per un portiere essere destro (avere cioè il bastone nella mano sinistra e il guanto da presa nella destra) è un vantaggio?

Sì, è vero. In questo momento in National League, a memoria, a non essere mancini siamo solo io e Bryan Rüegger, la riserva del Friborgo (e Kevin Pasche, il giovane losannese, ndr) e gli attaccanti hanno l’abitudine di mirare al lato del deviatore, concludendo quindi sulla nostra ‘pinza’. Quando ero a Ginevra a soli tredici o quattordici anni, infatti, Chris McSorley mi chiamava agli allenamenti della prima squadra che precedevano le partite con il Friborgo, dove giocava Gianluca Mona, anche lui destro, cosicché i giocatori si potessero abituare a questa differenza.

Lo stesso discorso vale anche per Pauli Jaks, con il quale lavori attualmente. È un’ulteriore opportunità per scambiarsi esperienze condivise?

Anche lui, quando giocava, usava il bastone dal mio stesso lato, ma la cosa divertente è che adesso in allenamento tiene il bastone con la mano destra, come la maggior parte dei portieri.

Qual è l’utilità della presenza dell’allenatore dei portieri?

È una figura molto importante lungo una carriera, permette di lavorare sui dettagli e di compiere dei piccoli aggiustamenti a partita in corso. Ho avuto la fortuna di avere sempre avuto degli ottimi allenatori specifici. Con Pauli inoltre ho un rapporto speciale perché lo conosco dai tempi delle nazionali giovanili, è stato un grande aiuto per me, sul ghiaccio e fuori.

Ci sono altri tecnici che hanno segnato la tua formazione?

Sicuramente Sébastien Beaulieu a Ginevra, è lui che è venuto a cercarmi a Porrentruy quando ero giovanissimo. Abbiamo lavorato molto assieme, a volte riservava il ghiaccio appositamente per me e a quattordici anni potevo già allenarmi con la prima squadra. È dunque una persona molto importante per la mia carriera. E il suo lavoro alle Vernets si vede ancora oggi: lì non hanno mai avuto problemi con i portieri e portano alla ribalta molti giovani di qualità, l’ultimo dei quali Stéphane Charlin.

Mercoledì contro il KalPa Kuopio hai fermato solo l’82,4%, ma la tua prestazione è stata senza dubbio buona. Quanto contano le statistiche?

Partite come queste in cui arrivano pochi tiri sono complicate per i portieri e non sono le più piacevoli da affrontare per noi. I tre gol subiti sono tutti scaturiti da grosse occasioni e alla fine ciò che conta è che ho subito una rete in meno del portiere avversario, sono dunque contento per la vittoria. A volte guardare le statistiche è persino superfluo, basta pensare a quelle partite in cui vieni sostituito senza colpe. Penso dunque che convenga guardare il numero di vittorie e la pura prestazione. Di sicuro non si può valutare un portiere dai numeri di sole tre o quattro partite.

C’è poi il fattore fisico, durante i tuoi anni ad Ambrì hai subito numerosi infortuni, hai individuato una ragione specifica?

Ho avuto problemi all’anca, usurata dal tempo e dallo stile di gioco applicato. In seguito ho perso molta massa muscolare, in particolare sugli adduttori e sui glutei e ho impiegato veramente molto tempo a recuperare, facendo molti esercizi di rinforzo. Con il nostro fisioterapista, abbiamo trovato un paio di macchine molto efficaci, da quando lavoriamo assieme tutto si è risolto e sono contento di essermi lasciato alle spalle questi problemi, perché mentalmente è stato un periodo molto duro.

I tuoi dati su EliteProspects parlano di 179 centimetri d’altezza per 93 chilogrammi. Anche il peso ha rappresentato un problema?

Per morfologia sono sempre stato piuttosto pesante, anche nel periodo degli infortuni ho mantenuto lo stesso peso che avevo prima e che ho tuttora, per cui non rappresenta un problema. Poi sono una persona che deve fare sempre attenzione a non prendere chilogrammi, in ogni caso anche la mia massa muscolare è piuttosto pesante ed è quella che mi permette di giocare così.

Non sei nemmeno uno dei portieri più alti del campionato, ma elementi come Koskinen di due metri d’altezza rappresentano sempre più un’eccezione…

In questo momento ci sono meno portieri alti, forse è una generazione così. Poi ognuno ha i suoi punti di forza. Io per esempio ho lavorato molto sulla lettura del gioco, mentre qualcuno di più grande può sfruttare maggiormente il suo corpo.

Ad Ambrì sono numerosi i giocatori di movimento che dal vivaio sono approdati in prima squadra, ciò che invece è accaduto molto più raramente con i portieri. Quali sono, secondo te, le ragioni?

Penso sia difficile ovunque, non ci sono molti posti disponibili, poi dipende un po’ dalle annate. Inoltre non è sempre facile decidere di dare una possibilità a un giovane portiere e questi ha bisogno un pizzico di fortuna. Osservo però spesso le giovanili leventinesi e secondo me ci sono due o tre giovani che hanno il potenziale per diventare professionisti. Hanno oltretutto la fortuna di lavorare con un ottimo allenatore qual è Pauli e quindi penso che tra qualche anno questa tendenza potrebbe cambiare.

Qual è l’età decisiva per lo sviluppo di un giovane estremo difensore?

È importante lavorare bene fin dall’inizio, ma quando si è giovani prima di tutto deve venire il divertimento, per cui non bisogna spingere troppo i giovani portieri in allenamento. Dagli U17 via si può vedere chi ha il potenziale per fare il grande salto.

L’anno prossimo farai ritorno nella tua Porrentruy, laddove, a differenza di tuo fratello Florian, non hai ancora giocato da professionista. Certo è che fa strano vedere un portiere della tua qualità accasarsi nella quattordicesima compagine della lega…

Tornare a casa fa sicuramente bene, giocare per il mio club d’origine è qualcosa che avrei sempre voluto fare. Ma sono anche convinto che potremo fare qualcosa di buono. Andare nella quattordicesima o nella decima squadra più forte per me cambia poco. In fondo quando sono arrivato ad Ambrì i biancoblù erano reduci dallo spareggio con il Langenthal e anche a Langnau sono riuscito a disputare i playoff, non è dunque un fattore che prendo in considerazione per i miei trasferimenti. Guardo piuttosto dove posso essere felice e dare qualcosa alla squadra. Inoltre ho vissuto la promozione dalla Prima Lega alla B, quando giocava mio fratello, nel 2000, e da ragazzo, quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande, la mia risposta era giocare nella prima squadra dell’Ajoie. E adesso sono felice di poterlo fare.

Anzi, sei l’unico portiere della storia ad aver disputato i playoff sia con la maglia del Langnau, sia con quella dell’Ambrì Piotta, un bel traguardo, no?

Con i Tigers avevamo avuto una stagione eccezionale, eravamo un gruppo giovane e tutti ci davano ultimi. Eravamo veramente uniti e resta un bel ricordo. E anche i playoff con l’Ambrì sono stati qualcosa di fantastico, anche in questo caso avevamo uno splendido spogliatoio, capace di divertirsi, ma anche con tanta qualità al suo interno.

Invece alla Coppa Spengler non hai mai avuto particolare fortuna: nel 2012 con il Friborgo avevi diviso la gabbia con Cory Schneider, nel 2019 eri infortunato e l’anno scorso hai disputato un solo incontro. Come valuti tutto ciò?

Non è nulla di speciale. Sono sempre contento di giocare, ma sono anche sempre felice di approfittare del tempo da trascorrere in famiglia e di incoraggiare i miei compagni dalla panchina se non vengo schierato.

Nella tua carriera hai potuto comunque scoprire tutte le tre principali regioni linguistiche della Svizzera, cosa significa per te?

Mio fratello ha fatto tutta la carriera in Romandia, mentre io ho avuto un percorso particolare. Infatti quando sono diventato professionista a Ginevra è arrivato Tobias Stephan e, avendo un contratto di cinque anni, sono stato prestato un po’ ovunque, prima a Langnau, poi a Lugano, per continuare il mio sviluppo. Per me è stata una fortuna, così ho potuto conoscere le lingue, nuovi posti e diverse mentalità.