Con un’agente di custodia all’interno del Carcere giudiziario della Farera, dove sono rinchiuse le donne sia in attesa di giudizio, sia in esecuzione pena
«Le scene forse più impegnative sono quelle dei bambini a colloquio con le madri detenute. Noi agenti siamo un po’ visti come la persona cattiva che porta via la mamma. Un giorno un bimbo mi ha detto che da grande vorrebbe fare il mio lavoro, frase che mi ha sorpresa, proprio perché di solito non stiamo loro particolarmente simpatici. Gli ho quindi chiesto come mai e lui mi ha risposto: ‘Così posso stare tutti i giorni con la mia mamma’. Queste sono cose a cui non ci si abitua». Selene Alcini si sporge da quel balcone dal quale la società non guarda mai. Lavora da una decina di anni come agente di custodia al Carcere giudiziario della Farera, struttura dove l’abbiamo potuta incontrare per parlare della sua professione. «Noto sempre un certo stupore – ci spiega – quando mi viene chiesto che lavoro faccio». È un lavoro in effetti poco conosciuto quello di Selene e il poco che si sa lo si attribuisce alle serie televisive. «Non è la verità», sottolinea però l’agente di custodia. E aggiunge: «Per motivi di sicurezza è molto difficile far capire quello che facciamo a livello pratico qui dentro. Molti pensano che abbiamo a che fare con chissà quali criminali e che bisogna stare sull’attenti tutto il tempo. In realtà non si tratta che di persone. È innegabile che per fare questo lavoro ci voglia un certo carattere, ma alla fine è alla portata di tutti». Che a Selene il carattere non manchi lo abbiamo capito subito.
Le Strutture carcerarie cantonali si trovano sul Piano della Stampa, situato ai margini dell’area urbana di Lugano e lungo la piana alluvionale del fiume Cassarate. È in questa zona che nel 1966 si avvia la costruzione del Penitenziario cantonale della Stampa, struttura che aprirà le porte nel 1968 e dove attualmente si contano centoquaranta celle. Nel Carcere giudiziario della Farera, aperto nel 2006, le celle sono invece cinquantacinque per una capienza massima di ottantotto posti.
Il personale delle strutture carcerarie ci apre i cancelli poco prima delle 10. Una voce di uomo proveniente da una delle finestre del carcere, tassativamente ricoperta di sbarre, ci saluta più volte esclamando: «Buongiorno!». E aggiunge in francese, con un tocco di sarcasmo: «Ça va me manquer tout ça (mi mancherà tutto questo, ndr)». All’entrata principale veniamo accolti dal Capo sorvegliante Loris Rigolli. Dopo un controllo dei documenti e dopo aver lasciato tutto il superfluo in un armadietto, passiamo attraverso il metal detector e siamo dentro. A dire la verità non è immediato rendersi conto di trovarsi dentro a un carcere, la struttura ricorda molto un classico istituto scolastico o una colonia. Prendiamo l’ascensore, dentro cui – ed è forse questo il primo indizio inconfutabile che evoca una prigione – si possono aprire delle sbarre e creare una cella per separare i detenuti dal personale. Ed è al primo piano che Rigolli ci introduce all’agente di custodia Selene Alcini.
Selene, prima di iniziare a lavorare alla Farera, aveva un centro estetico a Lugano. Un passato che si indovina dalle lunghe unghie nere delle mani. «È un mondo che mi piace tutt’ora – sorride pensando alla precedente professione –. È però un ambiente che ti porta a lavorare con un certo tipo di clientela per la quale sei l’ultima ruota del carro». Nel 2015, dopo aver partecipato a una serata informativa per la Scuola di polizia insieme a degli amici, Selene inizia la Scuola agenti: «Durante l’incontro è stata presentata la figura dell’agente di custodia e l’ho trovata molto affine alla mia persona. Parlavano infatti di empatia e di dialogo. Non mi convinceva poi il porto d’armi, perché averne una implica l’eventualità di doverla usare su qualcuno o che qualcuno la usi su di te. Noi in effetti non siamo armati, a meno di non deciderlo, ma quando facciamo la ronda abbiamo a disposizione manette e spray al pepe, in caso di intervento». Una peculiarità non scontata: «In genere – precisa Selene – possiamo tenere un coltellino, che ovviamente in determinate situazioni può essere fondamentale, ma è anche vero che la collaborazione tra agenti è alta e il pronto intervento, qualora necessario, tempestivo».
Ma com’è lavorare all’interno di un carcere? «Dipende molto dalla struttura. Qui alla Farera – contestualizza Selene – abbiamo anche delle celle di isolamento, per cui il carico di stress dei detenuti è molto elevato e questo comporta un alto rischio di autolesionismo e di suicidio. È come essere in una pentola a pressione, che ogni tanto scoppia. Più detenuti ci sono, peggio è». La situazione nelle Strutture carcerarie cantonali è infatti tesa da circa un anno. Già lo scorso maggio si erano toccati livelli storicamente inediti di sovraffollamento nelle prigioni ticinesi, e in particolare alla Farera. Situazione confermata anche da Selene: «Ci sono più donne, più minorenni e più uomini. Le carcerazioni sono aumentate in generale. Tutte queste crisi all’esterno, penso alla pandemia, alle guerre o alle difficoltà economiche, fanno aumentare la disperazione delle persone».
A preoccupare maggiormente è la crescita del numero di donne, che da ormai quasi vent’anni sono detenute, indipendentemente dal tipo di incarcerazione, alla Farera. Non solo le donne in attesa di giudizio: anche quelle in espiazione di pena si trovano nel Carcere giudiziario. Carcere che prevede un regime detentivo più restrittivo rispetto a un Carcere penale, come lo è quello attiguo della Stampa. «Quando ho iniziato la formazione – ricorda Selene – durante i primi otto mesi di scuola non c’era una donna detenuta. Ora ne abbiamo tantissime, attualmente sono ventidue». Per questo motivo negli ultimi anni si è consolidata la necessità di riaprire una sezione femminile alla Stampa, che dovrebbe essere operativa da fine 2025.
La disparità di trattamento alla quale sono sottoposte le donne condannate in Ticino a una pena detentiva è ben nota. «Il nodo centrale – afferma l’agente di custodia – è l’esecuzione della pena. La durata delle loro detenzioni è sempre più lunga e fa emergere i problemi della carcerazione. La differenza con gli uomini è incredibile». E illustra: «Alla Stampa ci sono delle celle singole, mentre qui alla Farera le donne che stanno scontando una pena hanno delle celle singole e doppie. Ora però, dato che sono veramente tante, abbiamo addirittura una cella tripla». Non solo. «Il tempo libero – aggiunge Selene – è un altro punto delicato. Alla Stampa i detenuti possono trascorrere molto più tempo all’esterno della cella: c’è il ‘prato verde’, c’è la palestra, c’è la chiesa, c’è la biblioteca. Alla Farera abbiamo ovviato a questo problema con del tempo libero al piano, che però vuol dire un corridoio di cinque metri nel quale vengono aperte le quattro celle e dove le detenute possono passare due ore e mezza insieme. Ora però stanno un po’ strette. Il passeggio (la cosiddetta ‘ora d’aria’, ndr) lo trascorrono poi su un balcone dal quale non vedono nemmeno il cielo senza sbarre. Lo spazio è nettamente inferiore e non è possibile fare una partita a calcio o sdraiarsi». Ma anche. «Qui alla Farera le donne non possono lavorare e il tempo che passano a scuola non è molto, magari un paio di ore alla settimana. Alla fine le detenute trascorrono la maggior parte della giornata in cella». Non da ultimo. «Alla Stampa gli uomini hanno la possibilità di mangiare tutti insieme al piano, di guardare insieme la televisione e di giocare a carte. Qui alla Farera invece i pasti si fanno in cella perché lo spazio non è abbastanza».
Qual è la giornata tipo di una detenuta? «La sveglia è alle 6.30, orario in cui – spiega Selene – distribuiamo le colazioni. Poi abbiamo il ristabilimento della cella con il materiale di consumo richiesto dalle detenute che può servire nel corso della giornata. Consegniamo poi le terapie. I turni di passeggio iniziano di prassi alle 8, ma ora siamo talmente pieni che cominciamo un’ora prima. Quando non sono al passeggio le detenute possono fare delle richieste, per esempio chiamare l’avvocato, pulire la camera o utilizzare il rasoio, la pinzetta e il tagliaunghie. Il pranzo è alle 11.30 e consegniamo di nuovo le terapie o la posta. Dal pomeriggio c’è ancora la possibilità di chiamare o essere chiamate dall’avvocato o dal procuratore pubblico (il magistrato inquirente, ndr), come pure di ricevere le visite mediche o dentistiche. Alle 17.30 distribuiamo la cena e le terapie e la giornata è finita. Il tempo da passare in cella è tanto. Hanno il televisore, il gabinetto e la doccia in camera, il che aiuta. All’esterno le chiamano stanze d’albergo, ma non è così. Qui le persone vengono private completamente dell’indipendenza; siamo noi che decidiamo quando si devono alzare, quando uscire dalla cella, quando rientrare, quando mangiare e via dicendo».
Durante la nostra permanenza alla Farera abbiamo potuto visitare i tre piani di detenzione, compresi i passeggi, una cella, un’aula e alcuni locali amministrativi. Non sono in effetti spazi facilmente riconducibili a un soggiorno in hotel, in primis per le sbarre che ostruiscono la vista non importa da quale finestra. Per qualcuno non abituato a frequentare dei luoghi di detenzione come la Farera è poco immediato realizzare che dietro a quelle porte numerate azzurre, attraverso le quali vengono consegnati i pasti, ci siano delle persone che non possono uscire liberamente. Su ogni porta c’è un oblò, apribile solo dall’esterno, che gli agenti di custodia utilizzano per controllare dove si trovi il detenuto prima di aprire il passavivande. Per questa ragione, camminando per i corridoi, la presenza dei detenuti si coglie solo attraverso l’udito. L’unico sguardo di una detenuta lo abbiamo incrociato al ritiro da parte di Selene del vassoio di metallo sul quale vengono serviti i pasti. Sguardo attraverso il quale ci viene restituita la realtà di cosa significhi essere privati della propria libertà.
Nel caso di pene detentive lunghe, alcune donne vengono trasferite oltralpe in carceri penali con delle sezioni femminili. «Tuttavia – mette in luce Selene – se chiediamo a una detenuta con legami sul territorio se vuole essere trasferita in una struttura in cui avrebbe diritto a un trattamento come quello della Stampa, spesso preferisce restare in Ticino, perché uno spostamento in un altro cantone va a sradicare completamente la persona dalla sua rete». E questo nonostante una «donna, diciamocelo, ha anche altre esigenze», sottolinea Selene, e chiarisce: «Sembra una banalità, ma per una detenuta di una certa età avere una ricrescita dei capelli di venti centimetri è degradante. Essendo la Farera una struttura di carcerazione preventiva, dove dunque il livello di sicurezza è alto, non si possono truccare». Oltre a garantire pari diritti, le carceri di regime ordinario d’oltralpe sono adibite all’accoglienza dei figli delle detenute: «Anche noi saltuariamente abbiamo dei bambini, la più piccola aveva ventotto giorni. È un grosso problema di gestione e di responsabilità, che dovrebbe in parte migliorare con l’apertura della nuova sezione femminile».
All’interno delle carceri anche gli agenti di custodia non possono portare il proprio telefono. In altri termini, durante un turno non si hanno contatti con l’esterno. «All’inizio – scherza Selene – è un bello shock, perché oggi siamo molto abituati a essere sempre reperibili. Una volta che ti abitui capisci che in fin dei conti non è poi così male». Per Selene, fare l’agente di custodia «è un lavoro che ti cambia, impari a relativizzare i problemi». La domanda sorge dunque spontanea, si riesce a staccare dal lavoro una volta finito il turno e a mantenere la distanza dai detenuti? «All’esterno ho molti interessi e un entourage solido. Tant’è che, una volta timbrato il cartellino, esco e non ci penso più». Riguardo alla distanza, «il problema sta nella carcerazione lunga. La preventiva ha un termine relativamente breve, le donne che scontano una pena detentiva restano invece molto più a lungo. Volenti o nolenti, alla fine si instaura un rapporto. La difficoltà sta nel mantenerlo unilaterale».
Alla Farera lavorano una quindicina di agenti donne e centotrenta agenti uomini. «Siamo diverse agenti – illustra Selene –, ma siamo arrivate molto scaglionate, una o due all’anno. Con alcuni detenuti è talvolta più difficile far rispettare gli ordini se a impartirli è una donna».
“Un cambiamento volto a rispondere all’evoluzione della nostra società anche nell’ambito dell’esecuzione della pena, a dimostrazione del grado di civiltà del Canton Ticino”. Viene spiegato così nel messaggio del Consiglio di Stato l’obiettivo di fondo della realizzazione e messa in funzione della nuova sezione femminile presso il Penitenziario cantonale della Stampa. Messaggio approvato dal parlamento lo scorso giugno. La sezione femminile, la cui apertura è prevista per fine 2025, vuole rispondere in maniera adeguata alle esigenze delle donne in regime di detenzione chiuso e sarà composta di undici posti cella, compresa una cella madre-bambino per le detenute con figli fino a tre anni. Oltre alla (ri)apertura della sezione femminile, vi sono anche le partenze naturali in seno al personale di custodia. Per questi motivi le strutture carcerarie sono alla ricerca di agenti, di entrambi i sessi, da formare. A metà gennaio è infatti stato pubblicato sul Foglio ufficiale il bando di concorso per l’assunzione di agenti di custodia femminili e maschili, che scadrà il prossimo 11 marzo. Ne abbiamo parlato con il direttore delle Strutture carcerarie cantonali Stefano Laffranchini.
Facciamo qualche passo indietro. Come mai era stata chiusa la sezione femminile alla Stampa e come mai ora verrà riaperta?
Nel 2006, all’apertura della Farera, la presenza femminile alla Stampa si aggirava intorno alle tre unità su quindici posti previsti per le donne. Non c’era dunque la massa critica necessaria per dedicare spazio, e quindi sottrarlo, ai detenuti maschi. Tant’è che si è deciso di dedicare questi posti cella agli uomini. La situazione è però nel frattempo evoluta, ora ci sono infatti ventidue donne in carcere. Negli ultimi anni non siamo poi mai scesi sotto le quindici presenze.
In termini di occupazione, la situazione nelle carceri ticinesi è tesa da un anno. Come mai c’è stato un tale aumento delle detenzioni?
È un periodo storico particolare. Alle inchieste che coinvolgono le persone legate al traffico di stupefacenti, si aggiunge la criminalità dovuta all’essere un cantone di frontiera. L’aumento è dunque da ricondurre ai flussi transfrontalieri, al contrabbando di sostanze stupefacenti e alla migrazione. Ci troviamo in un contesto nel quale questi tre elementi hanno concorso al crearsi di questa situazione. Situazione che spero vivamente essere puntuale, perché a lungo termine potremmo avere dei problemi non trascurabili. Le donne poi non sono mai state tante come oggi. Il fatto che negli ultimi anni non siamo mai scesi sotto le quindici unità è legato al loro sempre maggior coinvolgimento nel traffico di stupefacenti. Anche la criminalità transfrontaliera, come nel caso dei furti, coinvolge sempre più spesso le donne.
Come mai le sezioni femminili d’Oltralpe sono invece rimaste aperte negli anni?
Nel resto della Svizzera è più facile gestire questo tipo di strutture. È infatti più semplice giustificare tale investimento quando sono più cantoni limitrofi a organizzarsi per costruire un carcere specializzato dove detenere tutte le persone condannate che presentano determinate caratteristiche. È il caso per esempio del carcere Curabilis nel Canton Ginevra, che ospita detenuti che necessitano di un trattamento terapeutico istituzionale per gravi disturbi psichiatrici, e del carcere femminile Hindelbank nel Canton Berna. Per il Ticino è più difficile perché il nostro cantone è geograficamente più isolato rispetto agli altri.
Dove sono detenute attualmente le donne condannate in Ticino a una pena detentiva?
Le donne condannate a un’esecuzione di pena vengono al momento o trasferite nelle carceri penali oltre Gottardo oppure, nel caso di detenzioni brevi, rimangono presso la Farera, che è però un carcere giudiziario e prevede tutta una serie di limitazioni, nonché un regime detentivo più duro rispetto a un carcere penale. Le donne trasferite negli altri cantoni devono di solito scontare delle pene di lunga durata ed è per questa ragione che è meglio che ciò avvenga in strutture dedicate alla detenzione femminile. Questo implica tuttavia allo stesso tempo uno sradicamento del tessuto sociale. Una persona con una rete sociale in Ticino, una volta trasferita oltre Gottardo, avrà molte più difficoltà a ricevere delle visite. La risocializzazione inizia dagli affetti: per andare a trovare un detenuto a Berna si impiega al minimo una giornata intera, mentre venire alla Stampa richiede al massimo qualche ora.
Le detenute scontano dunque la propria pena alla Farera. Cosa cambia rispetto alla detenzione di un uomo alla Stampa?
La differenza di ore trascorse fuori dalla cella tra un uomo e una donna in esecuzione di pena è molto emblematica: al Carcere giudiziario le donne ne passano sull’arco della giornata sei, mentre al Carcere penale gli uomini dodici. Alla Stampa ci sono più possibilità legate agli spazi, che sono maggiori che alla Farera. Le donne detenute alla Farera hanno inoltre molte meno possibilità di lavoro e formazione.
Cosa cambierà invece con l’apertura della sezione femminile nel carcere penale?
Miriamo ad andare verso la parità di trattamento dei detenuti indipendentemente dal sesso, quindi promuovendo pari diritti, pari opportunità e pari prospettive. Alla Stampa si possono seguire delle formazioni e svolgere dei lavori. Dal mio punto di vista è poco sensato tenere delle lezioni solo per uomini o solo per donne. Il docente c’è, quindi perché non prevedere delle classi miste? La Stampa sarà probabilmente l’unico penitenziario in Svizzera ad attuare questo tipo di assetto. Lo scopo della detenzione è la risocializzazione. Escludere quindi qualsiasi tipo di socializzazione tra detenuti di sesso diverso durante periodi che possono essere anche molto lunghi preclude questa risocializzazione. Specifico che questo tipo di attività sarebbero comunque organizzate in un ambiente controllato dato che vanno evitate prevaricazioni di qualsiasi tipo. Al giorno d’oggi le due sezioni sono separate non tanto sulla scia di un retaggio cattolico che vede il penitenziario come un luogo di penitenza, ma perché vi sono delle questioni di sicurezza per i detenuti non indifferenti
Ci saranno altre particolarità all’apertura della sezione femminile della Stampa?
Terremo conto di ciò che nella letteratura viene sottolineato come una minor propensione alla violenza delle donne rispetto agli uomini. In tal senso le detenute avranno qualche libertà in più rispetto ai detenuti. Potranno rimanere fuori più a lungo la sera, avranno inoltre la possibilità di chiudere a chiave la cella – naturalmente l’accesso degli agenti è garantito –, e avranno degli spazi all’aperto un po’ più grandi. Si sfrutterà insomma questo aspetto per garantir loro più libertà. Che gli uomini ne disporranno in misura minore non è per cattiveria, ma per sicurezza.
L’apertura della nuova sezione nel carcere penale permetterà di risolvere il problema del sovraffollamento femminile alla Farera?
È vero che ora ci sono ventidue donne detenute alla Farera, ma molte di loro sono in regime preventivo. Le nuove undici celle dovrebbero dunque soddisfare il fabbisogno e, in ogni caso, è un importante passo avanti rispetto alla situazione attuale.
La nuova sezione femminile sarà composta di undici posti cella dedicati alle detenute, compresa una cella madre-bambino…
Giusto, ma non è un diritto acquisito. A monte deve infatti sempre essere un’autorità di protezione a determinare cosa sia meno peggio per un bambino: è peggio crescere in un contesto carcerario o è peggio rimanere fuori ma senza la madre? Alla fine quello che conta è il bene del minore e a stabilirlo è un’autorità competente. Al carcere di Hindelbank c’è addirittura un asilo nido, sono molto più attrezzati. Noi non credo raggiungeremo mai quel livello.
È stato aperto un bando per aspiranti agenti di custodia. Quante persone cercate?
Quindici agenti, dieci per la nuova sezione femminile e cinque per il normale turn over. Chi verrà assunto non lavorerà subito nella sezione femminile, perché è importante avere una certa esperienza. Gli agenti verranno infatti selezionati tra chi già lavora nel carcere. Allo stesso tempo, per creare un equilibrio nel Corpo agenti, cerchiamo in particolare del personale femminile. Anche perché ci sono alcune attività, non solo nel Carcere penale, ma anche alla Farera, che devono essere svolte da persone dello stesso sesso, penso ai controlli sulla persona.