Il tifoso, l’appassionato, non chiede altro, per affezionarsi e identificarsi: gli basta che la sua Nazionale sia sempre quella di Bucarest
«Fin troppe emozioni», ha osservato Petkovic ricordando la serata di Bucarest, pur con la gioia nel cuore. «Troppi su e giù, per fortuna abbiamo finito su». Non sempre si sta comodi, sulla giostra, ma volete mettere? In cuor suo Vlado ha goduto, lui come noi tutti. Il risultato finale lo ripaga con gli interessi per i patemi attraverso i quali è dovuto passare.
Il tifoso, o più semplicemente l’appassionato di calcio, si alimenta di sbalzi di quel genere. Poi, è capace anche di perdonare una sconfitta, di dimenticare un rigore sbagliato. Tuttavia, quella comprensione - chiamiamola così - va conquistata, in quanto non scontata. La Nazionale è un’espressione sportiva “superiore” che prescinde dalle fedi calcistiche di turno. Le riunisce sotto un telone rossocrociato che tutto e tutti avviluppa. Non può sottrarsi a quel compito di inclusione, per quanto momentanea, che le viene dato proprio dalla natura di squadra di un paese intero. Alla Nazionale si chiede che si faccia ambasciatrice di una passione che accomuna chi ama il calcio e ogni due anni riversa nei suoi beniamini un po’ di sano senso d’appartenenza e di orgoglio che pretende - a giusta ragione - di vedere specchiato nei calciatori, nonché tradotto in campo, onorando la casacca rossocrociato che indossano.
Pensiamo alla Danimarca del 1992 e a quella attuale, all’Islanda degli “uhh” un po’ gutturali del “geyser sound” scanditi con il pubblico sugli spalti. Storie di amori latenti sempre pronti a riaffiorare, in grado di raggiungere picchi altissimi, se vergate con prestazioni che lasciano il segno, che si smarcano dalla normalità che poco o nulla incide sulle emozioni, in direzione di una straordinarietà che, quella sì, colpisce dritta al cuore, innescando un moto di passione e di orgoglio.
La Svizzera di Petkovic ha avvicinato e allontanato, si è fatta amare e criticare, ha illuso e disatteso. Qualche volta ha incantato (si pensi al 5-2 al Belgio), altre invece ha deluso, tradito. Altre ancora, è andata incontro a figure indegne, come contro l’Italia a Roma. Più volte è andata a un passo dalla consacrazione, salvo poi essere respinta sull’uscio della gloria, per mancanza di argomenti o, peggio, delle qualità morali necessarie. Contro la Francia ha finalmente deliziato, trasmettendo e ottenendo amore.
In fondo, non si chiede la luna. Bastano atteggiamento, cuore, orgoglio, spirito. Il tifoso, l’appassionato, non chiede altro, per affezionarsi e identificarsi: gli basta che la sua Nazionale sia sempre quella di Bucarest. A prescindere dal risultato. Non è chiedere troppo.