Rossocrociati straordinari come raramente in passato nel successo contro la Francia, per qualità, cuore e capacità di reazione
Serviti, di barba e capelli. Nel successo della Svizzera contro la Francia sono contenuti tutti gli ingredienti che fanno di quel 3-3 addobbato a festa dai rigori il risultato più importante della storia della Nazionale rossocrociata: l’ebbrezza che solo certe imprese sanno dare; la portata storica dell’eliminazione di una superpotenza del calcio che altro non è che la squadra campione del mondo in carica; la fierezza che sgorga da un’impresa che resta per pochi, della quale parla il mondo (dello sport) intero, con toni elogiativi per la matricola che ha superato se stessa, guadagnando stima e simpatia; l’orgoglio di essere al centro, per una volta, di una bellissima storia di sport. Di quelle che, appunto, vengono tramandate ai posteri, in quanto memorabili. Finalmente, quel 1954 viene definitivamente chiuso nel cassetto di un archivio polveroso e scarno, per spostare l’attenzione con una bella razione di sano orgoglio patrio sul 28 giugno 2021, il giorno in cui la Svizzera ha saputo compiere qualcosa di straordinario, assurgendo a “piccola terribile”, non fosse che per un solo giorno, smarcandosi dall’alone di normalità e mediocrità che troppo spesso ne hanno accompagnato l’incedere.
Ritornando solo per un istante al pallore contro il Galles e alla mestizia contro l’Italia, solo parzialmente controbilanciata dal moto d'orgoglio contro la Turchia, è inevitabile cedere allo stupore e chiedersi come sia stato possibile salire così tanto di tono. Risposta non c’è, e forse chi lo sa… Se c’è, come insegna Dylan, probabilmente se l’è già portata via il vento. In certi picchi, emotivi, tecnici e sportivi, c’è anche tanta imponderabilità figlia della giornata, una miscela esplosiva di contingenze favorevoli. Impossibile fornire una spiegazione, se non riassumendo tutto quanto ha funzionato all'interno della cosiddetta partita perfetta, concetto sovente tirato in ballo ma finora mai messo in pratica. Fino alle spensierate danze della balera di Bucarest, sballottati da un’emozione all’altra: atteggiamento, coesione, la famosa solidarietà tra i giocatori, lo spirito di squadra, un principio un po’ abusato che finisce sempre sulla bocca di tutti ma che non sempre in campo si traduce in qualcosa di tangibile. E poi il cinismo sotto porta, la qualità di alcune giocate - i gol di Seferovic e Gavranovic sono una meraviglia per come nascono e per come vengono realizzati, due parate di Sommer sono gemme preziose -, la lettura della partita di Petkovic che ha azzeccato cambi rivelatisi decisivi.
Una commistione di fattori bella da non credere ma reale. Su tutti, però, spiccano due qualità, espresse con tale vigore da farne il grimaldello per forzare il portone del salone dell'eccellenza, dal quale eravamo sempre rimasti esclusi, ospiti quasi mai degni: l’autorità con la quale la Francia è stata tenuta in scacco, venuta meno solo quando Rodriguez non è stato in grado di assestare il colpo del ko, con la Francia alle corde (che già metterla, alle corde, è impresa nell'impresa) e la commovente capacità di reazione di fronte a un ribaltone - soprattutto emotivo - sancito dal capolavoro di Pogba. Accusare il colpo, e che colpo, e reagire mozzando la cresta dei “galletti” pettinata con il cuore rossocrociato che pompava finalmente fierezza, è il vero capolavoro di una Nazionale entrata nella storia dall’ingresso principale, sulle note di una sinfonia di gloria vera.