Il ct rossocrociato e la gestione della Nazionale svizzera alle porte degli Europei. Con uno sguardo un po' nostalgico ma sereno agli anni degli esordi
Sembravano talmente lontani da non credere che, invece, ormai ci siamo. Gli Europei che a lungo sono rimasti in bilico tra un definitivo annullamento e una conferma sofferta ma agognata sono un obiettivo ormai prossimo da sentirne già addosso il profumo dell’attesa. Manca esattamente un mese alla partita d’esordio della Svizzera, sabato 12 giugno a Baku contro il Galles. Un lasso di tempo brevissimo, nel quale riversare tutte le energie per definire i dettagli dell'operazione a livello logistico e per completare il quadro tecnico di una Nazionale che Vladimir Petkovic sta plasmando, al fine di portare alla rassegna continentale il meglio di quanto il calcio nazionale sa proporre di questi tempi ancora segnati dalla pandemia.
Gli Europei sono l’ultima conquista, in ordine di tempo, di una Nazionale rossocrociata che sotto la guida del tecnico ticinese d'adozione ha fatto notevoli passi in avanti in quanto a coesione, spirito e risultati. Tanto da rendere particolarmente palpitante l’idea di una partecipazione a una competizione che, per come si presenta e per il contesto storico nel quale si inserisce, si prospetta aperta e molto interessante, anche per una squadra che non dispone della cifra tecnica per competere con le migliori d'Europa. Però è lì, pronta a ritagliarsi una fetta di gloria in un torneo che è il culmine di una lunga fase di avvicinamento che il Ct rossocrociato definisce «un processo passato attraverso l’esperienza significativa della Nations League nella quale abbiamo fatto tante belle figure. Abbiamo imparato tanto e abbiamo imparato a comportarci anche al cospetto delle grandi. Contro avversarie del calibro di Spagna e Germania era importante riuscire ad avere l'atteggiamento che ci eravamo prefissati di avere. Ci siamo riusciti. Questa consapevolezza è rimasta, in seno al gruppo. Lo si è visto anche nei test di marzo. Non c’era molto tempo per prepararli, ma lo abbiamo fatto bene, poggiando proprio su questa convinzione anche mentale che agevola l'assimilazione di ogni piccolo accorgimento che viene introdotto. Quando ci sono fiducia e consapevolezza, i cambiamenti vengono assorbiti meglio e più rapidamente. Contro la Bulgaria, per esempio, abbiamo fatto dei movimenti che in precedenza non avevamo mai fatto. Grazie a questa consapevolezza, la forza della squadra in questo ultimo periodo è aumentata. Ma siccome io non sono mai contento al cento per cento, considero marzo un punto di partenza. Alludo soprattutto all’ultima partita disputata, l’amichevole contro la Finlandia. È un avversario che ha caratteristiche simili al Galles che affronteremo a Baku. Si chiude bene, ha attaccanti fisicamente forti, verticalizzano alla prima occasione. In altre occasioni, in amichevole avevamo subìto delle sconfitte. La maggior parte delle battute d’arresto è avvenuta in contesti amichevoli, perché si fanno degli esperimenti, si rischia un po’ di più, si danno possibilità a tanti giocatori. Stavolta, alla prestazione abbiamo abbinato anche il risultato, lanciandoci con positività verso gli Europei».
Dal rompete le righe di marzo al raduno ormai prossimo in vista degli Europei: una finestra temporale che Petkovic ha gestito «lasciando il primo mese di respiro ai calciatori affinché si concentrassero sulle rispettive società. Abbiamo però avviato subito i contatti con alcuni, affidando loro dei programmi individuali che li potessero indirizzare verso gli Europei. In questa fase li si controlla un po’ più da vicino, i contatti si sono intensificati. Spiego loro in quale direzione intendo andare, cosa ci aspetta nel periodo di avvicinamento al grande evento. Li tengo informati sui vaccini, sui protocolli, sull'imminente raduno. Devo anche stilare la lista definitiva dei convocati. Devo valutare bene le condizioni di chi torna da un infortunio, di chi sta giocando poco».
In un’intervista rilasciataci cinque mesi fa, a proposito di covid e protocolli, Petkovic ricordava con una punta di orgoglio quanto scrupoloso e attento sia stato lo staff rossocrociato a tutto tondo lungo mesi particolarmente delicati. Tirò in ballo due concetti molto chiari: educazione e disciplina, dai quali non ammette deroghe né distrazioni. «A marzo non abbiamo avuto neppure un caso di positività, lo ritengo già un successo. Dovuto alla nostra buona organizzazione interna e, soprattutto, alla disciplina di ciascuno di noi. Ora stiamo ragionando in ottica ritiro di Bad Ragaz. Prima di spostarci a Baku per la partita d'esordio ho deciso che concederò due giorni di libero a tutti. Ma la condizione che ho posto è chiara: pretendo disciplina. Chiedo a tutti, giocatori, membri dello staff, il rigoroso rispetto dei nostri protocolli che prevedono che nelle ore di libertà si rimanga nell'ambito delle rispettive famiglie. È l’occasione per fare il pieno di energia positiva, ma pretendo che non si frequentino altri che non siano i familiari e che non si organizzino uscite. Sarò molto rigoroso. Da una parte concedo volentieri un po’ di libertà, d’altro canto però pretendo disciplina affinché tornino tutti riposati e in salute prima della partenza per Baku. Del resto, devono capire che ne va della loro partecipazione agli Europei».
Se il gruppo è coeso e allineato sui medesimi principi, concetti quali educazione e disciplina vengono recepiti più facilmente, anche perché dovrebbero già appartenere al credo di un collettivo sul quale Petkovic ha saputo lavorare con profitto. Su quanto sia sviluppato il concetto di collettività, Petkovic osserva che «non sempre è possibile rivolgersi a tutto il gruppo, ragione per la quale ci sono momenti della stagione in cui ai giocatori parlo individualmente. Alla fine, però, nel calcio si ragiona in termini di collettivo, ma bisogna essere abili nel cogliere anche le singole sfumature di ciascuno elemento. Spesso per un allenatore non è così semplice farlo. Guardare negli occhi il proprio interlocutore, però, è determinante. Non tutti recepiscono il colloquio allo stesso modo, ma è necessario che ciascun calciatore abbia sempre la possibilità di esprimersi, di chiedermi qualcosa a quattr’occhi. In occasione dei raduni, la comunicazione avviene per lo più a livello di collettivo, ma ci sono dei momenti in cui con certi giocatori si parla di più che con altri. Poi sta ai singoli trasmettere l’uno all’altro quanto viene detto. In un gruppo ci sono giocatori che preferiscono essere chiamati in causa in modo individuale, altri che invece prediligono o si fanno bastare un discorso di squadra. Si tratta quindi di trovare l’equilibrio tra questi due modi di interfacciarsi».
Quel tipo di lavoro è già stato fatto in profondità, in occasione di ogni raduno. L’ormai prossimo ritiro di Bad Ragaz offre l’occasione di approfondire il discorso. Coesione e solidarietà possono incidere anche sul buon esito di un torneo. Purtroppo, però, verrà a mancare il calore della gente, una componente non da poco in una dinamica votata al lavoro che in passato prevedeva qualche festosa uscita dagli schemi per ricevere l’abbraccio degli appassionati, delle famiglie, dei bambini. «Ho un gradevolissimo ricordo dei nostri soggiorni a Lugano, con gli allenamenti aperti al pubblico. Era bello, a Cornaredo, lavorare con 3’500 spettatori presenti all'allenamento: uno spettacolo. I tifosi danno una carica emozionale che poi portavamo con noi anche verso le partite importanti che avevamo preparato lì. Purtroppo vigono ancora restrizioni piuttosto severe, diventa impossibile organizzare una festa come quelle alle quale eravamo così bene abituati. Facciamo il possibile, ma ci sono delle limitazioni anche per ragioni di sicurezza. L’abbraccio del pubblico ci mancherà. Passare tra la gente e firmare decina di autografi fa sentire bene. Quando sei circondato da quell’affetto dei tifosi capisci perché hai iniziato a giocare a calcio».
Petkovic tira in ballo gli anni degli esordi... Grazie per l’invitante assist, da calciatore dal piede delicato quale è stato: giacché Vladimir Petkovic oggi è il commissario tecnico della Nazionale rossocrociato, ha diretto la Lazio, lo Young Boys, Insomma, la sua dimensione è internazionale. Il cuore, però, è legato alle sue origini. Al passato da calciatore, alle prime esperienze da allenatore. Un passato che a Vlado strappa un bellissimo sorriso misto a una punta di commozione. «È bello tornare indietro con il pensiero. Succede, parlando o mangiando qualcosa con l’uno o l’altro amico o conoscente dei tempi in cui giocavo o allenavo in Ticino. Oggi incontro degli uomini che a quei tempi erano dei ragazzi, allievi C o B dei quali mi occupavo io, a Locarno. Mi allenavo io, poi andavo ad allenare loro e facevo pure i corsi. Quanti bei ricordi. Sono rimasto legato a molti che anni fa erano miei ragazzi e oggi ritrovo realizzati, in posizioni professionali diverse. Ogni tanto li incontro. In quegli anni ero già un professionista ma giostravo ancora a livello amatoriale. Posso dire che la carriera di allenatore “vero” l’ho avviata allo Young Boys, dopo una gavetta di una decina di anni già di buoni risultati. Erano tempi, quelli del Locarno, del Bellinzona o del Malcantone Agno, nei quale l’aspetto umano aveva un peso preponderante. Ricordo che ad Agno (che con Vlado festeggiò la promozione in Lnb, ndr) per sei anni dopo ogni allenamento ci fermavamo tutti per bere una birretta. Dopo ogni partita gustavamo una grigliata. Eravamo davvero come una famiglia. Sono cose bellissime che ricordo molto volentieri. Come dimenticare i 10’000 spettatori che assiepavano il Comunale di Bellinzona, o i 12’000 che seguirono la finale di Coppa a Berna contro il Basilea? Esperienze fantastiche che porto nel cuore, figlie di un calcio e di un tempo diversi».