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Svizzera, la vittoria è nei rimpianti

I rossocrociati di Petkovic lasciano gli Europei con una serie di conquiste importanti. Prima tra tutte, la possibilità di recriminare per una sconfitta

3 luglio 2021
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La fierezza prevale sulla delusione, l’orgoglio sullo sconforto. Lo sport ha regole che sanno essere spietate: premiano e puniscono, per effetto di un risultato consegnato alle statistiche. Tuttavia l’espressione numerica di un tabellino è fredda come il ghiaccio, come la delusione per una sconfitta che profuma di beffa. Soprattutto, non dice quanto la Svizzera abbia meritato anche contro la Spagna, nonostante l’eliminazione sancita dai calci di rigori. Già, proprio i rigori, la stessa appendice che pochi giorni prima l’aveva consegnata alla storia del suo calcio non così ricca di perle memorabili nella magica notte di Bucarest contro la Francia. Sull’onda emotiva della quale la Nazionale più bella che si ricordi ha quasi costruito un secondo miracolo, reso vano dagli errori dagli undici metri, dopo una resistenza fiera, degna di una salva di applausi convinti. Degna della riconoscenza di un Paese che è tornato a stringersi attorno a un gruppo al quale non può che dire grazie.

Tutti d’accordo sul fatto che la Svizzera si sia letteralmente trasformata dopo una fase a gironi interlocutoria e zeppa di perplessità, spazzate via come una foglia secca al vento dalle folate d’orgoglio rossocrociato una volta tagliato il solito traguardo, quello che non avrebbe accontentato nessuno. Tutti unanimi nel riconoscere che questa squadra ha fatto l’agognato salto di qualità in direzione di una consapevolezza a lungo inseguita, ora finalmente inserita nel bagaglio che Xhaka e compagni si porteranno appresso alle prossime scadenze. Forti di una solidità che ha saputo profilarsi oltre i soliti buoni propositi per diventare una prerogativa, un segno distintivo che ha reso possibile ciò che in passato manco si riusciva più a fare, sognare. Di per sé, già un traguardo straordinario, quasi quanto un quarto di finale inseguito per 67 anni. L’eredità di questa Nazionale, la prima a essersi superata, cancellando il 1954 sostituito da un 2021 che forse inaugura una nuova stagione del calcio svizzero, è il sunto di una serie di qualità, rimaste a lungo inespresse. O espresse solo a sprazzi, senza la continuità che ne possa certificare la validità. A volte sbandierate con baldanza, ma per lo più disattese.

Eccole, dunque, in ordine sparso: la capacità di superarsi, di sorprendere, di non accontentarsi, di reagire alle tante avversità (e alle critiche, legittime tanto quanto sono doverosi i complimenti). Doti acquisite sul campo e con il lavoro di Petkovic, figlie di un atteggiamento finalmente all’altezza delle aspettative di appassionati e tifosi che altro non chiedono che prestazioni come quella di Bucarest e di San Pietroburgo: due esiti opposti, la festa che fa posto allo scoramento, i sorrisi cancellati dalle lacrime, ma tanta consapevolezza guadagnata attraverso partite palpitanti e valide sul piano tecnico. Talmente belle e convincenti, a prescindere dal risultato, che la Francia campione del mondo non può recriminare per l’uscita di scena negli ottavi e la Spagna non avrebbe potuto obiettare se il destino l’avesse esclusa dalle semifinali, anziché promuoverla. Talmente belle da autorizzare la Svizzera ad avere dei rimpianti, la conquista forse più preziosa.