A inizio marzo Rocco Cattaneo ha lasciato la presidenza dell'Unione ciclista europea: ‘In questi anni abbiamo cercato di essere innovativi’. Per il ticinese un futuro nell'Uci?
«Lascio una federazione sana, giovane nelle idee e nello spirito, con molti progetti per il futuro». A inizio marzo, in un congresso svoltosi in forma virtuale, Rocco Cattaneo ha lasciato la presidenza dell’Unione ciclistica europea (Uec) all’ex segretario generale, l’italiano Enrico Dalla Casa. Per il dirigente ticinese, un quadriennio al vertice di quella che è la confederazione più importante del ciclismo mondiale, durante il quale l’Uec ha conosciuto un importante sviluppo… «Ero giunto alla federazione europea grazie all’allora presidente David Lappartient, già interessato a correre per la poltrona di presidente dell’Unione ciclistica internazionale (Uci). Mi aveva proposto, nel caso di una sua elezione, di prendere il suo posto ad interim all’Uae, nell’attesa di venir eletto nel 2018 dal congresso di Istanbul. E così è stato».
Dopo un solo mandato, però, la rinuncia alla carica… «Ho deciso di mollare, in quanto al momento attuale sono più interessato a lavorare in seno al comitato direttivo dell’Uci, per il quale mi sono formalmente candidato. Tra i vari nomi proposti in modo ufficiale dalla confederazione europea c’è anche il mio, per cui l'aver superato il primo step è già un bel risultato. Adesso si tratta di attendere la benedizione del congresso che si terrà in autunno in Belgio. Se tutto andrà come spero, nel corso della prima riunione del consiglio direttivo verranno decise le responsabilità di ogni membro. In qualità di presidente Uec ero inserito di diritto nel consiglio direttivo ed ero alla testa della commissione di controllo finanziario, della quale continuerò a far parte fino al giorno del congresso. Per quel che sarà della mia attività futura, nel caso di elezione spetterà al presidente dirmi dove ritiene più opportuno che io agisca».
Quella legata all’Uci rimane, per ora, storia futura. Adesso c’è innanzitutto da stilare un bilancio dell'attività svolta alla testa dell’Unione ciclistica europea… «Nel corso della mia gestione ho cercato di portare delle novità in seno a quella che rimane la confederazione più importante. L’Europa, non dimentichiamolo, rappresenta oltre l’80% di tutto il movimento ciclistico per quanto attiene all’organizzazione di gare e al numero di ciclisti tesserati in tutte le discipline olimpiche (strada, mountain bike, Bmx, Bmx freestyle e pista, ndr), più il ciclocross che non è disciplina olimpica ma rappresenta comunque un pezzo di storia del ciclismo e che negli ultimi anni sta conoscendo una rinascita dopo essere stato quasi ucciso dall’avvento della mountain bike. Nonostante i numeri importanti del movimento europeo, l’Uec ha una struttura molto agile, con appena quattro persone impiegate a tempo fisso. Ma ciò non le impedisce di organizzare oltre 50 campionati europei nelle varie discipline. Il mio intento è sempre stato di andare incontro ai giovani, sia con l’organizzazione di gare nelle varie categorie, sia nell’avvicinare la federazione a discipline nuove. L’Uci punta soprattutto su élite e U23, l’Uec cerca di aprirsi alle future leve e promuovere tra i giovani il ciclismo, in tutte le sue forme».
Lo scorso ottobre l’Uec è arrivata al Monte Ceneri con l’organizzazione degli Europei di mountain bike… «A dimostrazione di quanto è agile la nostra struttura. In poche settimane siamo riusciti a mettere in piedi una manifestazione che ha portato in Ticino un parco atleti di altissimo livello».
E agili sono diventati anche i format delle competizioni, in particolare quelle su strada… «Con Della Casa ci siamo detti che il nostro compito non era di organizzare un Mondiale B, ma un Europeo. Abbiamo così deciso di ridurre drasticamente il chilometraggio, portandolo a un massimo di 180 km e di accorciare sensibilmente anche i circuiti (10-13 km), anche perché le gare spettacolari non le fanno i chilometri, bensì i corridori. Inoltre, le cronometro vengono disputate sullo stesso tracciato, di 25-30 km, uguale per tutti, con una classifica unica che va ad affiancarsi a quelle tradizionali per le diverse categorie. Quest’anno abbiamo pure avanzato la proposta di ammettere alle competizioni gli U24, in modo da recuperare l’anno perso a causa della pandemia. Abbiamo portato l’idea alla commissione strada dell’Uci, dove è però stata bocciata. Di conseguenza, siccome sono i regolamenti Uci a definire le varie categorie, l’idea degli U24 non ha potuto essere portata avanti nemmeno a livello europeo».
Tanto è stato fatto, ma tanto c’è ancora da fare. Soprattutto per una vasta porzione dell’Europa che al ciclismo professionistico si sta aprendo soltanto in questi anni… «L’idea è sempre stata di promuovere il ciclismo nei paesi dell’Est europeo. L’Uec conta 50 federazioni, con un blocco orientale ricco di tradizione e giovani, ma al quale fanno difetto le infrastrutture: ha il pane, ma non i denti. Slovenia, Repubblica ceca, Bosnia, Croazia, Slovacchia, hanno tutti eccellenti movimenti giovanili, ma sono carenti a livello di mezzi. La federazione, anche in collaborazione con l’Uci, cerca di sostenere progetti di solidarietà per migliorare le condizioni di allenamento e di formazione».
Fino a qualche decennio fa, parlare di ciclismo significava parlare di strada. Adesso le cose sono cambiate… «È vero, il mondo della due ruote presenta declinazioni sempre nuove. Abbiamo le cinque discipline olimpiche, ma anche il ciclocross, il ciclismo artistico e il ciclopalla. E a breve verranno organizzati pure i Mondiali di pumptrack (per gli Europei occorrerà ancora attendere). C’è da lavorare molto e in ambiti assai diversi».
Per farlo e portare avanti progetti sempre nuovi, occorrono finanze solide. Che un anno di pandemia non ha certamente contribuito a cementare… «Non siamo messi male nemmeno dal profilo economico. Nel 2020 siamo andati incontro a una perdita finanziaria, ma abbiamo potuto attingere a riserve accumulate negli anni precedenti. Lo scorso anno, il fatto di dover rincorrere in continuazione gli eventi, spostando all’ultimo momento la sede di questo o quel campionato europeo ci ha ovviamente costretti a spendere più di quanto preventivato, ma ciò non influirà sulle organizzazioni future».