“Ma a semm metüü inscí maa coi patati?” sento da più parti, complici i cartelloni per il ‘No’ a questa nuova iniziativa che colpirebbe ancora una volta il settore agricolo. La domanda viene spesso da persone non del mestiere che vogliono sapere se è solo allarmismo. Purtroppo sì, siamo messi male. In tempi normali, la produzione nazionale di patate equivale circa al 90% del nostro fabbisogno, coltivate su 11’000 ettari. La patata è però un tubero sensibile ai fattori climatici: alla siccità e alle piogge prolungate. La peronospora della patata – che causò milioni di morti in Irlanda – è un flagello oggi come allora. L’agricoltura convenzionale può contenere i danni con i prodotti fitosanitari, il biologico molto meno. Quest’anno la produzione di patate Bio è del 54% inferiore alla media, mentre rispetto al convenzionale è del 25%. L’alternativa è trovare varietà resistenti – che vengono testate ogni anno – ma per le quali serve l’accettazione da parte dei consumatori, che non si può dare per scontata. Nuove disposizioni per la biodiversità in agricoltura comporterebbero la perdita di superfici produttive (destinate alla compensazione ecologica) e limiti nella gestione di quelle coltivate, come in merito all’impiego di prodotti fitosanitari o nella gestione meccanizzata. Ecco perché l’Unione Svizzera dei Contadini stima che verrebbe a mancare la produzione di patate equivalente al consumo annuale di 1,3 milioni di persone. Limitazioni che verrebbero compensate solo attraverso maggiori importazioni e nient’altro. Preservare la fertilità del suolo a lungo termine è nell’interesse di tutti noi e molto si sta già facendo. Dobbiamo però assicurarci che, nel frattempo, continui a crescerci cibo sufficiente. L’iniziativa dimentica la seconda parte. Invito quindi tutti a votare ‘No’.