La lotta per l’uguaglianza fra uomini* e donne* è indispensabile e centrale, ma non si può pensare la giustizia sociale solamente in termini di genere. La vita di una donna nera o straniera, appartenente a una classe economicamente e socialmente sfavorita, non è la stessa di una donna bianca, svizzera che abbia funzioni dirigenziali, un ottimo reddito o una buona sostanza. Senza dubbio, una donna nera non subisce le stesse discriminazioni di una donna bianca, così come una donna bianca omosessuale non subisce le stesse discriminazioni di una donna bianca eterosessuale. Sempre e comunque, gli impieghi più precari, peggio retribuiti e con le peggiori condizioni sono svolti da donne socialmente già sfavorite.
Ci sono storie e situazioni, rese “invisibili”, che spesso sono trascurate anche dai movimenti femministi. È perciò fondamentale parlare di discriminazioni razziali e di classe, ma anche di privilegi e di chi ne approfitta. Non farlo sottrae voce e visibilità a un enorme numero di donne che, oltre alle discriminazioni di genere, ne devono subire altre e molto profonde.
Colore della pelle, etnia, classe sociale, istruzione, cultura, religione, orientamento sessuale, caratteristiche fisiche, disabilità si intersecano fra loro e con le discriminazioni di genere e, sovrapponendosi, si moltiplicano. In una società fondata su privilegi classisti, razziali e di predominanza maschile, solo attraverso lo strumento dell'intersezionalità (Kimberlé Crenshaw, Chicago, 1989) si possono portare alla luce discriminazioni e oppressioni, combatterle alla radice, scardinando complessi rapporti di potere.
Se abbiamo a cuore i diritti di tutte le donne* e di tutte le persone, dobbiamo avere il coraggio di ripensare il mondo, lottando contro ogni forma di disuguaglianza, contemporaneamente: nessuna esclusa.