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Vele spiegate da donna a donna

A lezione tra le onde del Verbano con Federica Salvà, allenatrice d’eccezione. ‘Sono allibita dal loro entusiasmo. Ragazze, fatevi vedere’.

Mosse dal vento della passione
(Adriana Coupek)
30 aprile 2022
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Né maschile, né femminile. Piuttosto, dice Federica Salvà, Chicca per gli amici, «la vela è uno sport di testa». Nonostante ne abbia viste di cose («ho cinquant’anni e sono quaranta che navigo», ricorda), la velista cresciuta sul Garda tra le onde del Verbano riesce ancora a stupirsi. «Sono rimasta allibita dall’entusiasmo di queste donne – racconta la skipper trentina, che ad Ascona veste i panni dell’istruttrice nel corso per sole donne proposto da Swiss Sailing League –. Lunedì, arrivando qua ero un po’ nervosa. Non sapevo bene cosa aspettarmi, con oltre trenta donne una di livello diverso dall’altra. Mi son detta: ‘Dai, c’è un progetto da fare, rimboccati le maniche e vedi di farlo’ (ride,ndr.). Ma se pensavo di venire in Svizzera a fare il coach, ora mi trovo nella situazione di chi passa dal mostrare a qualcuno come si tiene il timone e un attimo sta spiegando dei concetti di fisica. Bellissimo».

Talmente bello che ad Ascona non si vede l’ora che arrivi il bis, con altre quaranta ragazze (per un totale di quasi ottanta iscritte, il venti per cento delle quali ticinesi) che lunedì prenderanno posto sulle otto imbarcazioni della classe J70 messe a disposizioni da Swiss Sailing League, ormeggiate in paziente attesa al pontile del Porto patriziale. «Questo è un progetto grandioso – dice, convinta, la già vicecampionessa mondiale della classe 470, che vanta anche due partecipazione ai Giochi, ad Atlanta nel 1996 e poi a Sydney nel 2000 –. In una nazione, oltretutto, in cui la vela non è lo sport principale, è straordinario vedere tante donne con un tale entusiasmo, con un simile rispetto per tutte quante. Davvero, sono allibita. Poche volte ho visto qualcosa di simile in vita mia. Senza contare, poi, che in questo primo gruppo c’era di tutto: dalla velista che potrebbe già fare regate a livello internazionale alla signora felice anche solo di salire in barca magari senza fare nulla, e parliamo davvero di questo, perché non ne capisce. Ciò che mi ha colpito è soprattutto la gioia di queste persone quando tornano in porto, pur sfinite da quattro intense ore trascorse in mare. Già (sorride, ndr) perché poi io sono una che davvero non ti dà un attimo di pace».

E i risultati si vedono. «Se penso che lunedì, quando abbiamo iniziato, delle sei barche che avevamo in acqua soltanto due navigavano, mentre adesso tutte le ragazze bene o male se la cavano, beh… Per prima cosa dovevamo trovare un equilibrio. Qui c’è gente che arriva da ogni angolo della Svizzera, e se alcune già si sono presentate ad Ascona come un team, quindi con tutti i ruoli già coperti e ragazze che già avevano esperienza, anche internazionale, penso alla timoniera che ha fatto regate di alto livello fino ai vent’anni prima di dover smettere per motivi di lavoro, le altre donne prima d’ora avevano navigato solo con il marito o magari con l’amico in qualche regata di club. Abbiamo quindi dovuto amalgamare queste persone e metterle in un equipaggio. Ma non nascondo che prima qualche dubbio l’avevo, anche perché, diciamolo, noi donne non siamo proprio semplici, e pensando che avremmo dovuto piazzarle tutte su una barca di sette metri mi aspettavo che potessero anche nascere problemi a livello di relazioni. Invece sono rimasta stupita da come hanno saputo trovare i loro spazi, sapendo distribuire le forze e gestire eventuali attriti».

Un successo al di là delle aspettative. «Pare addirittura che sia nato un nuovo equipaggio, siccome alcune ragazze a questo punto vorrebbero cominciare a fare delle regate assieme. Al di là dell’aspetto sportivo, sono sicura che saranno nate delle relazioni fra persone che prima non si conoscevano. Mi chiedo se in un progetto del genere pensato per gli uomini il risultato sarebbe stato lo stesso».

Per molte di queste ragazze, il corso organizzato da Swiss Sailing League ha colmato un vuoto. «Alcune di queste donne non vedevano l’ora che qualcuno spiegasse loro come tirar giù un gennaker (sorride, ndr). Se glielo chiedi, magari ti dicono che quando navigavano facevano le cose che venivano chieste loro, ma lo facevano senza sapere nulla. È come se, e lo dico io che non sono una femminista, si trovassero un passo indietro. Mentre, in verità, la vela è uno sport che lascia un sacco di spazio a tutti. Naturalmente quando c’è vento forte ci sarà senz’altro una componente più fisica, ed è lì che noi donne dobbiamo sopperire con la tecnica. Ma non dobbiamo dimenticare che la vela è uno sport di testa. Oltretutto non è facile andare d’accordo quando a bordo si è in cinque persone e ognuna ha il suo ruolo su una barca tanto piccola. Ciò che mi ha sorpreso è che anche se hanno litigato, poi si siedono e cercano di trovare una soluzione. E se non ci riescono chiedono a me o a Gaëlle, la mia assistente. Hanno davvero voglia d’imparare».

Altro che muscoli. «Ci sono alcuni ruoli che noi donne non potremo mai avere, come tirar su una randa su uno Swan, perché quelli hanno delle braccia così e noi dovremmo essere in venti. Se penso però alla figura del tattico, colui che ti dice dove andare ed è un po’ il gestore dell’equipaggio, ecco, quello è un compito che di solito spetta agli uomini nonostante non tiri una corda che sia una. Invece noi dobbiamo stare dietro o magari andare a prua, a fare la prodiera (la persona che si occupa delle vele di prua, ndr), perché ci dicono che siamo leggere. Il problema grosso, anche se faccio finta di non vederlo, è che al maschio dà fastidio che è una donna a dirgli dove andare».

Insomma, i cliché sono duri a morire. «Mi è successa una cosa quest’anno al Mondiale della classe Melges 20, a Miami, dove avevamo dei grossi problemi tattici, nonostante il tattico fosse del posto. Ma quando arrivi in un team strutturato, dove ognuno ha il suo ruolo, tu non devi interferire, anche perché altrimenti si crea solo confusione. Così mi sono messa a fare la prodiera, finché a un certo l’armatore si è stufato e ha detto: ‘Basta! Adesso la tattica la fa la Chicca’. C’è stato un attimo d’imbarazzo generale, del resto come dire a qualcuno che non è capace, ma dopo qualche momento di tentennamento ho accettato, anche se poi alla fine mi sono scusata col tattico. Ammetto che una cosa del genere non mi era mai successa, però è stata la conferma che riesco anche io a essere una pedina importante in un team. Questo mi fa dire alle ragazze: ‘Fatevi vedere, mostrate che avete delle potenzialità e non aspettate che qualcuno vi chieda di fare delle cose’. Perché ho capito che il problema di molte donne che stanno seguendo questo corso è che non hanno mai avuto il coraggio di prendere l’iniziativa».

Un concetto nato per posta. Blaesi: ‘La mossa giusta al momento giusto’

A volte, davvero, basta provarci. È ciò che si sarà detto Markus Blaesi, il vicepresidente della Swiss Sailing League che aveva a cuore l’idea di fare qualcosa che potesse avvicinare ancor più le donne al mondo della vela, quando un anno fa, in occasione della Women’s Cup organizzata ad Ascona, decise di scrivere una lettera nientemeno che a Viola Amherd, il ministro della Difesa e dello Sport. «Ho fatto una cosa semplice semplice – racconta –. Dopo aver preso carta e penna le ho scritto una lettera, poi l’ho imbustata e l’ho spedita come posta A. Tutto qui. Tre settimane dopo ricevo una busta, e quando la apro leggo "Egregio signor Blaesi, il suo scritto mi ha fatto molto piacere, eccetera". Credo che quella sia stata la mossa giusta al momento giusto. Dopo averne già accennato in precedenza, la seconda volta che l’ho contattata è stata lei stessa a propormi di elaborare un concetto a lungo termine, un progetto duraturo per la valorizzazione delle donne nel mondo della vela. Ed è ciò che come Swiss Sailing League abbiamo fatto, sottoponendo il tutto all’attenzione dell’Ufficio federale dello Sport: tempo dopo, e per la prima volta, abbiamo ricevuto un contributo. Perché noi fino ad allora non ricevevamo neanche un centesimo, da nessuno: la nostra, infatti, è un’associazione nazionale, non un circolo velico basato nella tal città e che, quindi, può beneficiare dei contributi del tal Cantone. Ed è grazie a quei soldi se oggi l’ottantina d’iscritte può arrivare in Ticino per seguire queste lezioni sull’arco di cinque giorni sborsando soltanto 500 franchi, vitto e alloggio inclusi». Quando si dice la vela sostenibile.