Sul periodico Libero Pensiero di autunno, nel mio ultimo pezzo "La sofferenza del dialogo e della democrazia", scrivo che "nelle nostre società il 56% dei giovani evita le informazioni sull’accadere del mondo". È indubbio (perché lo si vede molto bene) che quest’ultimo entra di prepotenza in ogni ambiente sociale, comprese le periferie discoste. Non c’è più evento mondiale, naturale o umano, che non si sia costretti a conoscere in ogni dove. La protezione della natura, che i nostri avi hanno praticato agendo ecologicamente, è un’idea nuova che si prospetta non più cancellabile dall’agenda politica. Sterminare i lupi "è una visione che oggi non possiamo più accettare e che la maggioranza della popolazione non intende – giustamente, secondo me – seguire". La frase fra virgolette, letta – con un pizzichino di sorpresa – sul quotidiano laRegione, è di Luigi Pedrazzini.
I dati delle predazioni sono in aumento, ma la situazione non è fuori controllo. Ciò è quanto dice l’ufficio cantonale preposto al monitoraggio. Senza alcuna verifica, io, ragionevolmente, credo a Tiziano Putelli e non a Sem Genini. La protezione della natura, quindi anche del lupo, è sempre più istituzionalizzata, quindi regolata tecnicamente e giuridicamente, comprendendo le misure di abbattimento dopo predazioni e di abbattimento preventivo. È una istituzionalizzazione diventata ormai cosmopolita. Ed è anche qui che il mondo bussa alla porta delle periferie. Per la gestione del lupo sugli alpeggi le regole esistono, sono applicate, quantunque siano non sempre convenevoli e sempre discutibili. Ma mi pare fuorviante presentare il pascolo ticinese come impervio rispetto a quello d’Oltralpe. Negli altri cantoni la pratica in luoghi impervi è rara, mentre la questione sta nel tradizionale "vago pascolo". Questa pratica era un tempo quella di sfruttare ogni posto erboso in vicinanza di alberi, rocce, creste e dirupi, affidando le bestie al sentimento dello spera-in-dio. Impossibile immaginare che l’onorevole Zali, sebbene abbia bevuto latte giulianobignaschese e sia un po’ ancora rimasto nostrano-centrico rispetto alle leggi federali, non abbia accertato la situazione locale. Ha infatti affermato: "La questione di fondo è quella della possibile protezione o meno del vago pascolo, che è una pratica tipicamente ticinese, ma che non rientra in quello che l’ordinanza federale intendeva quando è stata allestita". La questione del lupo protetto e viandante-predatore nel nostro territorio va dibattuta con tutti gli interlocutori. Non si può capricciosamente ripetere di avere ragione. È come se io andassi al supermercato, mi arrabbiassi per i prezzi maggiorati e gridassi nelle orecchie della cassiera.
Oggi il fatto di ammettere che l’antropocentrismo della nostra cultura e della nostra storia può essere anche distruttivo, che i vegetali e gli animali sono alla base alla nostra vita e acquistano una considerazione prioritaria, queste sono cose di una logicità disarmante. Le capiscono anche gli allievi delle scuole elementari. Come procede anche alle nostre latitudini la dialettica, tra l’eliminazione di ogni ostacolo all’attività umana e la protezione di una parte di natura, fa pensare a una riduzione del vago pascolo o a una sua riforma. Bisogna trovare anche nelle valli la giusta resistenza all’avanzare dei nuovi disequilibri/equilibri imposti dalla civiltà. Sterminare il lupo è politicamente improbabile, nettamente sproporzionato e in quanto svizzeri un derivato di guglielmotelliana nostalgia. La sfida colpisce i giovani che non possono avvalorarsi dei pregiudizi delle vecchie generazioni. Che Albert Rösti venga a trovare sul posto Germano Mattei non servirebbe a niente. Spero che i giovani lo capiscano: è già il meglio che a loro possa capitare.