Il Consiglio di Stato si esprime sulla proposta di modifica dell’Ordinanza federale. L’APTdaiGP: ‘Facciano stato gli attacchi’
Misure meno rigide per l’abbattimento dei lupi problematici, che tengano conto anche delle difficoltà "pratiche" della loro regolazione e diano più margine di manovra ai cantoni. È questa, in estrema sintesi, la posizione del Consiglio di Stato ticinese sulla modifica dell’Ordinanza sulla caccia confezionata e messa in consultazione dal Consiglio federale lo scorso novembre. Una revisione (parziale) che segue quella fatta nel 2021 e mira, fa sapere l’Ufficio federale dell’ambiente, "ad allentare la situazione nelle regioni interessate fino all’entrata in vigore della prossima revisione della legge sulla caccia". Revisione che, dopo l’avvio della consultazione (scade dopodomani) sulla citata ordinanza, è nel frattempo stata approvata a Berna sia agli Stati che al Nazionale. Un voto importante (e discusso): si è di fatto cambiato il paradigma, dando il via libera ad abbattimenti preventivi.
E proprio nella direzione di un’agevolazione per gli abbattimenti dei lupi va la modifica dell’Ordinanza federale sulla caccia. Con il governo ticinese che però – in diversi punti – chiede maggiore rigore e più precisione. Riguardo alla proposta di abbassare da 10 a 8 la soglia di predazioni per autorizzare un abbattimento il Consiglio di Stato chiede di scendere a 5. "Si tratta di un danno già considerevole. È incomprensibile e irragionevole che gli allevatori aspettino la ripetizione della predazione per vedere abbattere un singolo lupo". Un abbassamento della soglia comporterà un aumento di entrate in materia sugli abbattimenti e le regolazioni. "Questo richiede un adeguato numero di persone incaricate – sottolinea il governo cantonale –. Sarà importante che la Confederazione riconosca ai Cantoni una partecipazione sui costi sostenuti per la gestione del dossier lupo".
Criticata pure la proposta di rendere regolabili – attraverso l’abbattimento di un cucciolo nato l’anno precedente – anche branchi che non si sono riprodotti quell’anno: "La clausola del cucciolo nato l’anno prima non è di fatto praticabile". Questo perché "è quasi impossibile distinguere un lupo sub-adulto da un adulto. È dunque necessario per i cantoni un maggior margine di manovra per rendere possibile il tiro". In che modo? "Potendo regolare la metà degli individui del branco senza riproduzione, dando priorità per quanto possibile all’abbattimento degli esemplari sub-adulti". Ciò perché, afferma il governo, "nella pratica i piccoli dell’anno precedente non sono morfologicamente distinguibili dagli adulti. Anzi, un lupo maschio subadulto potrebbe essere più grande di una femmina adulta. L’unica possibilità di distinguerli è in base al comportamento. Ma questo richiede un’esperienza che i più non hanno e molto tempo di osservazione, che non è mai possibile". Per lo stesso motivo è vista con scetticismo la proposta di lasciare ai cantoni la possibilità di rilasciare un’autorizzazione di abbattimento per singoli esemplari non appartenenti a un branco che causano danni rilevanti o mettono in pericolo le persone. "Definire la non appartenenza è molto difficile. Per questo motivo è necessario concedere un adeguato margine di manovra".
Altro punto delicato: il pericolo per l’uomo. La Confederazione vuole consentire l’abbattimento diretto – senza quindi l’approvazione dell’Ufam, necessario invece negli altri casi – qualora un individuo "costituisca un pericolo grave per l’uomo". Il Consiglio di Stato si dice d’accordo sul principio, ma ritiene "imperativo definire meglio questo punto. Così da evitare interpretazioni soggettive e classificazioni di questo tipo per ogni avvistamento nelle vicinanze degli insediamenti".
Sul progetto di modifica dell’Ordinanza federale si esprime anche la sezione ticinese dell’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori (APTdaiGP). Sezione che afferma di apprezzare "i tentativi di semplificazione nella gestione dei grandi predatori rispetto alle norme precedenti: ciononostante, e come ben formulato dalla nostra associazione mantello a livello nazionale, i miglioramenti introdotti non sembrano sufficientemente efficaci per contrastare l’espansione esponenziale dei lupi e le drammatiche conseguenze sulle attività di allevamento e sulla sicurezza delle persone". E allora, scrive la sezione presieduta da Armando Donati, "tenuto conto della situazione in rapido degrado, confermiamo di aderire alle osservazioni introduttive" dell’associazione mantello. In particolare "sulle necessità seguenti: interventi di abbattimento/regolazione/dissuasione immediatamente dopo ogni attacco; definizione di ‘danno rilevante’ sulla base degli attacchi per zona e non del numero di capi predati; tolleranza zero nelle zone abitate".
Per la sezione ticinese dell’APTdaiGP il concetto di numero di capi di bestiame uccisi o feriti "deve essere urgentemente sostituito dal numero di attacchi". E questo perché il conteggio del bestiame ucciso o ferito "non è adatto a valutare la pericolosità di un lupo". Pertanto "dovrebbe essere il numero di attacchi al bestiame a fare stato per un decreto di abbattimento".
E a proposito di "espansione esponenziale" dei lupi e conseguenze, l’associazione nella sua presa di posizione riporta il numero di capi di bestiame predati per anno in Ticino. Nel periodo 2001-2009 la media era di 8,5 capi. Tra il 2010 e il 2019 di 22,8. Nel biennio 2020-2021 di 49. Nel 2022: 302. Ben oltre 300 capi predati in un solo anno. "Un’evoluzione assolutamente drammatica", sottolinea l’APTdaiGP.
"Mentre fino al 2021 erano presenti ufficialmente in Ticino un solo branco (quello elusivo della Morobbia, che dopo la scomparsa della femmina alfa F08 era diventato transfrontaliero) e un numero imprecisato di lupi stanziali o mobili", dallo scorso anno, rileva l’associazione, è stata accertata la presenza di "quattro branchi e un numero di lupi che dovrebbe superare la trentina". Una simile evoluzione, avverte la sezione ticinese dell’APTdaiGP, "sta mettendo in crisi un intero settore composto di aziende già fragili per loro struttura (una media di quaranta capre o pecore adulte per azienda) e da un sistema di estivazione che permetteva di alpeggiare quasi 20mila capi in un territorio formato soprattutto da tanti piccoli alpeggi spesso impervi (media capre munte estivate per alpe: 86; media ovini estivati per alpe: 134) dove si pratica il libero pascolo degli animali con un controllo regolare, ma non quotidiano delle greggi". Se tra il 2009 e il 2017 "vi era già stata una diminuzione delle aziende di base, dei capi allevati e degli alpeggi superiore alla media svizzera (tra il 19 e il 25%), non è difficile prevedere che cosa capiterà con l’espansione del lupo che vi è stata e l’impossibilità a mettere in atto misure di protezione delle greggi efficaci e finanziariamente sostenibili". Ogni azienda o alpeggio che chiude, tiene a rimarcare l’associazione guidata da Donati, "significa una grossa perdita a livello della biodiversità e della qualità del paesaggio (chilometri di sentieri abbandonati, decine di ettari di maggenghi non più sfalciati)".
Questo abbandono "ha conseguenze importanti nell’offerta di prodotti locali di qualità, nell’accelerazione dello spopolamento dei villaggi di montagna e ha ricadute anche in altri settori, in particolare il turismo".