L’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori commenta il nullaosta del governo all’uccisione del canide
La decisione del Consiglio di Stato di decretare l’abbattimento di un lupo in Val Rovana sta suscitando dibattito nell’opinione pubblica. Motivo per cui l’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori ritiene opportuno ribadire alcuni punti già espressi più volte in passato. Innanzitutto il concetto di "non proteggibilità" era già contenuto nella Strategia lupo svizzera del 2004 ed è stato ripreso nelle versioni seguenti, inclusa quella in vigore. Gli unici cambiamenti di sostanza in quell’Ordinanza riguardano il numero di capi che devono essere uccisi prima di poter intervenire.
"Sorprende quindi molto sentire il DT giustificare l’inaccettabile ritardo di questa decisione con il tempo necessario a esaminare bene delle direttive che risalgono a 18 anni fa. Il ritardo di tre settimane non ha aggiunto nulla se non la conferma, tramite DNA, che la strage del 26 aprile era dovuta a uno o più lupi, anche se non c’erano dubbi in proposito. Ha però esacerbato gli animi, suscitato polemiche e diminuito la possibilità di abbattere l’esemplare ‘colpevole’.
Secondariamente, "l’impossibilità di mettere in atto misure di protezione passiva, è un aspetto che gli allevatori avevano subito avvertito e che è stata confermata da diversi studi commissionati dal Cantone e dalla Confederazione a partire dal 2001. Da queste constatazioni oggettive sono derivati i nostri pressanti, ripetuti e inascoltati appelli rivolti alle autorità di fare tutto il possibile per contenere l’espansione del lupo (modifica della Convenzione di Berna, aggiornamento della Legge federale sulla caccia)". Laddove era possibile, molti allevatori hanno adeguato la gestione dei loro animali, "spesso peggiorando la qualità di vita degli stessi e sempre aumentando l’onere lavorativo e finanziario (chiusura notturna in stalla in autunno e primavera, recinzioni, cani da protezione). Vi sono tuttavia molte realtà dove non si può fare nulla. In particolare molti alpeggi, ma anche sui maggenghi dove avviene il pascolo primaverile e autunnale, spesso impervi, piccoli, sassosi, invasi da vegetazione arbustiva, non si possono né tendere recinzioni né utilizzare cani da protezione".
Non restano, secondo i firmatari della presa di posizione, che due soluzioni: o arrischiare a mandare gli animali al pascolo, oppure smettere e abbandonare quei siti all’inselvatichimento. Quest’ultima è purtroppo la scelta che diverse aziende hanno già adottato, e saranno seguite da altre, visto che i lupi spuntano come funghi.
Terzo, in alcuni casi anche "laddove sono state messe in atto misure di protezione, gli attacchi non si azzerano, anzi. Il lupo che il Consiglio di Stato vallesano ha deciso di abbattere l’altroieri aveva predato 28 animali "protetti" secondo le regole federali! Durante la scorsa estate in Ticino la maggior parte delle predazioni è avvenuta su greggi protetti in Alta Valle di Blenio e in Val Bedretto". In conclusione, si legge, "la diminuzione del numero di lupi presenti con abbattimenti preventivi è l’unica possibilità che resta alle autorità se si vuole evitare la fine dell’allevamento ovicaprino tradizionale di montagna. Se poi la tecnologia permetterà di concretizzare nuovi metodi per tener lontani i lupi dalle greggi e dagli abitati, gli allevatori saranno senz’altro disposti a fare la loro parte".