Stiamo attraversando un periodo difficile, da molti punti di vista. Il lavoro è diventato una corsa a ostacoli. Difficile da trovare, difficile ottenere condizioni di lavoro adeguate, visto che ormai sono di moda i falsi stage, il dumping salariale, il lavoro su chiamata, i contratti a termine e non da ultimo abusi di ogni genere. Il costo della vita, in barba all’indice dei prezzi, da anni immutato o quasi, aumenta in seguito ai costi della cassa malati, degli affitti e, da qualche tempo anche dei costi dell’energia, derivanti dalle speculazioni dei soliti mercanti. Le pensioni sono immutate da vent’anni. La qualità dei servizi pubblici diminuisce. Molte aziende pubbliche, come le Poste e le ferrovie, sono state infatti trasformate in società anonime e il loro obiettivo non è più quello di fornire il miglior servizio possibile all’utenza, bensì la realizzazione del miglior risultato finanziario. Altri servizi soffrono per l’indifferenza della politica oppure per le restrizioni ai quali sono stati sottoposti, per esempio con la riduzione degli effettivi.
Questa situazione necessiterebbe di un intervento robusto da parte dell’Ente pubblico: per sostenere in modo serio uno sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro di qualità; per garantire sicurezza sociale, ai giovani, alle famiglie e agli anziani; per garantire l’accesso e la qualità ai servizi pubblici, sanitari, sociali, postali, dei trasporti. Quelli amministrativi, sono sempre più irraggiungibili, anche ma non solo per l’adozione indiscriminata di modalità elettroniche. L’ultima decisione in ordine di tempo è la chiusura degli sportelli delle Ffs di Biasca, un polo di importanza regionale.
La proposta in votazione il prossimo 15 di maggio non corregge questa tendenza negativa, non va nella direzione di disporre di uno Stato più forte e attento a risolvere le numerose questioni care ai cittadini del nostro Paese. Come si ricorderà, infatti, il 19 ottobre dello scorso anno, il Gran Consiglio accettò, con 45 voti contro 39, una proposta tendente a introdurre un limite nella spesa pubblica. Si voterà su questo oggetto in quanto è stato lanciato un referendum. Questo decreto introduce un ostacolo artificiale nell’attività delle nostre istituzioni. Esso impone un limite all’intervento dello Stato, senza tener conto dei bisogni dei cittadini. Allo Stato è vietato assumere nuovi compiti o migliorare quelli esistenti se ciò dovesse comportare un aumento dei costi, salvo se fossero soppressi o ridotti altri servizi o attività. Se questo decreto fosse stato in vigore nella primavera del 2020, al momento dello scoppio della pandemia, non sarebbe stato possibile né combattere efficacemente il Covid19, né sostenere i salariati e le aziende che hanno dovuto ridurre o sospendere le loro attività. Se sarà accettato significherebbe che in futuro sarebbe impossibile per esempio migliorare le prestazioni e le condizioni di lavoro del personale del settore sanitario, adottare la pianificazione sociopsichiatrica la quale, per la prima volta, propone di occuparsi seriamente dei problemi dei minori, degli adulti e delle persone della terza età. Impedirebbe qualsiasi miglioramento nel campo scolastico oppure nelle case per anziani. Renderebbe impossibile un intervento in favore dell’economia e dell’occupazione, come pure un aiuto per le cure dentarie o per ridurre i premi della cassa malati.
Il limite di spesa avrebbe ripercussioni gravi per il nostro futuro. Dal profilo istituzionale costituirebbe addirittura un’assurdità: il Gran Consiglio, ossia i rappresentanti del popolo, anche se lo volessero, non potrebbero più accettare nuovi compiti e nuovi interventi, anche se giudicati importanti e magari pure urgenti.