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Un esempio nostrano di fake news

(Ti-Press)

Domenica 8 dicembre sono rimasto colpito dall’annuncio di una locandina del ‘Mattino della domenica’ che affermava a caratteri cubitali: “Spesa federale triplicata in trent’anni”. Ho preso una copia (gratuita) del giornale dove pensavo avrei trovato tabelle, confronti e riferimenti relativi alla fonte dei dati. Come si fa di solito quando si scrivono affermazioni così precise e importanti. Non ho trovato niente di tutto questo: a pagina 2 ritrovai il titolo riprodotto nella locandina, il cui soprattitolo precisava: “Con i soldi altrui partitocrazia senza freni – ringraziamo l’immigrazione scriteriata – che prosegue in modo incontrollato”. Seguiva l’articolo a firma Lorenzo Quadri con attacchi alla spesa sociale, alla spesa per la “kultura”, all’aiuto allo sviluppo, al numero “eccessivo” del personale della Confederazione, ai sacrifici che “hanno riguardato solo l’esercito” ecc. In definitiva il solito mantra con il quale Lega e Udc cercano di conquistare le simpatie degli elettori evitando di affrontare i problemi reali. Tutto legittimo, intendiamoci, in democrazia si è liberi di fare politica anche in questo modo. Ma non quando si tirano in ballo i numeri: allora, se si truccano i numeri, si diventa venditori di pericolose fake news. Pericolose perché facili da imparare e ripetere. Si diventa imbroglioni.

I numeri che mancavano e che ricavo dal sito Gfs sono i seguenti: le spese della Confederazione nel 2023 sono di 83,6 miliardi, mentre quelle del 1995 erano di 42,4 miliardi. Quindi la spesa federale in trent’anni non solo non è triplicata, ma è poco meno che raddoppiata. Significativo è il confronto tra spesa pubblica e Prodotto interno lordo (Pil), che rappresenta la ricchezza prodotta nel Paese in un anno. Significativo perché il Pil comprende sia l’effetto dell’aumento di popolazione, sia l’effetto dell’inflazione e perché è comprensibile che i servizi forniti dallo Stato (comunicazioni, formazione, giustizia, amministrazione…) crescano con il crescere della ricchezza prodotta. Ora il Pil della Svizzera ai prezzi di mercato nel 1995 era di 316 miliardi di franchi (vedi ‘Annuaire statistique de la Suisse’ 1999), mentre nel 2023 è stato di 800 miliardi. Quindi il rapporto tra spesa della Confederazione e Pil è sceso dal 13,4% (42,4/316) nel 1995 al 10,40% (83,6/800) nel 2023. Pertanto, se consideriamo che mantenere costante il rapporto spesa pubblica/Pil è ritenuto ragionevole, l’andamento della spesa pubblica della Confederazione, che continua a rappresentare circa il 31% della spesa pubblica svizzera (il 40% appartiene alla spesa di Cantoni e il 29% a quella dei Comuni) negli ultimi trent’anni è da ritenersi più che virtuoso, al limite persino risparmista.

Ma dove l’articolo di Lorenzo Quadri mostra tutto il suo contenuto ideologico è quando afferma che “nemmeno la Confederazione (sottinteso come il nostro Cantone) ha un problema di entrate. Sono le uscite a essere cresciute in modo sproporzionato”. Abbiamo visto che non c’è stata nessuna crescita sproporzionata delle uscite, comunque certamente non nei termini scorretti esposti nella locandina e nell’articolo, ma quello che tutta la destra federale (e cantonale) si ostina a non considerare è che i problemi che l’economia scarica sullo Stato crescono molto più rapidamente che nel passato e molto più rapidamente delle entrate. I problemi dell’invecchiamento demografico (oggi in Svizzera vivono più di 2’000 centenari), la popolazione con più di 90 anni (91’000 persone) è quasi triplicata (quella sì!) in trent’anni e la popolazione in età Avs è passata dal 15% al 20%, i problemi provocati dal riscaldamento climatico e i problemi posti dai flussi migratori spesso provocati da guerre, sfruttamenti, sconvolgimenti climatici (terre inaridite, terre finite sotto il livello del mare, terre sconvolte da inondazioni). Ma Lorenzo Quadri si accorge di quello che sta capitando solo quando si lamenta “che la Confederazione ha il braccino corto quando si tratta di risarcire i Cantoni colpiti dalle alluvioni”.

La realtà è che se la Confederazione (e tutti gli altri Paesi dove vivono e si arricchiscono di miliardi di dollari in poco tempo pochi avventurieri della finanza e qualche genio che immagina di essere padrone del mondo) continua a favorire l’elusione, a rifiutarsi di far pagare le imposte a chi potrebbe fornire allo Stato i mezzi per affrontare l’esplosione dei problemi e delle contraddizioni di “questo terribile e intricato mondo di oggi” (Enrico Berlinguer a Padova il 4.6.’84 poco prima di morire), arrischia di restare con il braccino corto non di fronte alla Vallemaggia, ma di fronte alla Storia.