Pene parzialmente sospese ai due albanesi beccati con oltre 10 chili di eroina nascosti in auto: la Corte ha risconosciuto 'l'errore sui fatti' invocato dalla difesa
Sebbene siano stati presi «con le mani nella marmellata – per usare le parole del presidente delle Assise criminali Marco Villa – per questa Corte non vuol dire che soggettivamente sapevate senza ombra di dubbio che stavate trasportando 10 chili di eroina». Da qui, dunque, il riconoscimento, da parte dei giudici e degli assessori giurati, che vi sia stato «l’errore sui fatti» invocato, ieri durante l’arringa, dall’avvocatessa Sabrina Aldi. Si chiude dunque con una massiccia riduzione delle pene il processo a carico di una 35enne e di un 26enne, entrambi cittadini albanesi, beccati al valico di Brogeda, lo scorso 24 luglio, con quasi 10,5 chili di eroina celati in un ricettacolo creato nel cruscotto dell’auto sulla quale viaggiavano (vedi ‘laRegione’ di ieri). L’accusa, rappresentata dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni, aveva chiesto durante la requisitoria – forte dell’ipotesi di reato di infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti – 7 anni 3 mesi per lui, 6 per lei (difesi dalle avvocatesse Sabrina Aldi rispettivamente Fabiola Malnati). Avviso diverso, invece, per la Corte, la quale ha sì confermato l’atto d’accusa ma, come detto, «nella forma dell’errore dei fatti».
Cosa significa in concreto? Che i due imputati sono stati condannati in base al quantitativo di droga pesante che pensavano di trasportare e non su quella trasportata effettivamente. Dunque, la commisurazione della pena ha preso quale base l’aver tentato di importare in Svizzera (partendo dall’Albania) un chilogrammo di stupefacente cosiddetto pesante (materialmente, però, in auto ve n’erano nascosti quasi 10,5). È per questo motivo – ha spiegato il giudice durante la lettura della sentenza – che «la pena richiesta dalla pubblica accusa non è più sostenibile». Insomma: a pesare sono stati «l’assenza di prove sicure sul fatto che gli imputati sapessero che in auto c’erano oltre 10 chili», nonché il racconto dei fatti della 35enne, «che non possiamo contestare».
Al di là del riconoscimento del quantitativo trasportato, la colpa dei due imputati è stata ad ogni modo grave ed entrambi, in una certa qual misura, si sono dati da fare per far sì che il trasporto dai Balcani alla Svizzera andasse a buon fine: lei facendosi intestare l’auto utilizzata per il viaggio; lui già solo per il fatto che «rispondesse alle telefonate topiche» effettuate dai mandanti. Tutto considerato, dunque, la Corte delle assise criminali oggi in tarda mattinata ha condannato l’uomo a 3 anni di detenzione, la metà dei quali sospesi per un periodo di prova di due anni. Alla 35enne, per contro, la Corte ha inflitto una pena di 23 mesi, 12 dei quali sospesi per due anni. Calendario alla mano, per la donna significa ancora qualche giorno di carcere prima dell’espulsione dalla Svizzera (per entrambi 8 anni). Una pena minore, per la 35enne, dettata anche dal fatto che sia stata ritenuta «credibile», abbia dimostrato «sincero pentimento», fornendo «elementi concreti anche a rischio della propria persona». All’uomo invece, per chiudere con le parole del presidente della Corte, «la ‘Palma d’oro’ del bugiardo».