Suonare e cantare gli inni nazionali prima delle gare sportive, oltre che pratica discutibile, è esercizio che può provocare situazioni imbarazzanti
La scorsa settimana nel web ha imperversato per qualche giorno la gaffe del dj dell’Open tennistico d Vienna, che volendo omaggiare con una canzone italiana Sonego e Sinner impegnati in un derby negli ottavi di finale, ha fatto partire durante un cambio-campo ciò che credeva fosse ‘Sarà perché ti amo’ dei Ricchi e Poveri.
In realtà, il brano diffuso di quel tormentone anni 80 aveva soltanto la melodia: il testo infatti - lontanissimo dall’originale - a un certo punto diceva che …‘chi non salta è un gobbo juventino’. Sinner (milanista) e Sonego (torinista), dopo una sana ghignata, hanno ripreso tranquillamente a giocare, ma l’episodio nel Belpaese ha suscitato qualche polemica, anche perché l’identico inconveniente si era già verificato in Polonia, in giugno, durante un’importante gara di atletica leggera.
Per quanto imbarazzanti, non si tratta comunque di episodi capaci di provocare incidenti diplomatici come è stato invece il caso nel passato, quando a risuonare in stadi o palazzetti sono stati addirittura inni nazionali sbagliati. Scivoloni che a volte hanno suscitato solo ilarità - come quando in Slovacchia prima di una partita di calcio invece dell’inno maltese partì una canzone dei Linkin Park - mentre in altri casi hanno quanto meno fatto storcere il naso, come la volta in cui a Saint-Denis agli albanesi venne fatto ascoltare l’inno andorrano: anche perché, accortisi dell’errore, i responsabili hanno pensato bene di chiedere scusa a tutti i tifosi … armeni (!), consegnando dunque all’Albania, oltre al danno, pure la beffa. Magra figura la fecero anche i moldavi ospitando Gibilterra: la melodia diffusa era giusta (God save the Queen), ma le parole erano quelle dell’inno del Liechtenstein, che appunto ha musica identica ma testo del tutto diverso. Fra l’altro, i più giovani forse non sanno che sulle stesse note dell’inno britannico si cantava pure ‘Ci chiami o Patria’ - il vecchio inno elvetico - fino al 1961, quando fu rimpiazzato dall’attuale Salmo.
Personalmente, l’esecuzione degli inni in ambito sportivo mi lascia piuttosto indifferente, e fatico a capire chi si offende quando i giocatori non cantano, quasi si trattasse di un obbligo. Fino a 20-30 anni fa, intonare l’inno era una cosa che facevano solo i giocatori che vivevano sotto le dittature, come in certi Paesi latinoamericani o nelle nazioni del patto di Varsavia. Gli europei non lo facevano praticamente mai, tranne forse i francesi, per via della loro consolidata tradizione repubblicana, e qualcuno fra gli scozzesi, probabilmente i più indipendentisti. Tutti gli altri, durante quel minuto protocollare se ne restavano composti e muti.
Nell’Olanda degli anni Settanta - la celeberrima Arancia meccanica di Krol, Neeskens e Cruijff - nessuno si sarebbe mai sognato di mettersi a cinguettare strofe patriottiche. Idem per la Germania Ovest e per gli italiani: nessuno fra gli azzurri campioni mondiali nell’82 ha mai cantato una sola parola dell’inno nazionale, senza che la gente o i politici si scandalizzassero o dubitassero dell’attaccamento alla maglia di gente come Scirea, Tardelli o Zoff.
Sgolarsi per la patria prima di una gara importante, oltretutto, può perfino essere controproducente: a Belo Horizonte l’8 luglio del 2014 i brasiliani intonarono così forte il loro inno tanto da esaurire in quel canto isterico buona parte delle energie nervose che avrebbero invece fatto meglio a conservare per la partita. Alcuni giocatori terminarono di cantare piangendo letteralmente come fontane, stremati fisicamente e a livello nervoso. Fra questi c’erano David Luiz e Julio Cesar, fra i maggiori responsabili del disastro contro la Germania nella semifinale iridata: dopo venti minuti, infatti, stavano già perdendo cinque a zero, e alla fine sarebbero stati umiliati addirittura 7-1.
Andate a rivedervi le immagini di quell’inno cantato in maniera così folle e poi ditemi se sbaglio a sostenere che sia da considerare fra i fattori che determinarono la peggiore e più celebre sconfitta che una squadra di casa abbia mai subito nell’intera storia del calcio mondiale.