Edy Mottini ed Enzo Filippini (presidente onorario di TiSki) hanno visto crescere Doris De Agostini nello Sci Club Airolo e l'hanno aiutata a spiccare il volo
«Era tosta già da ragazzina, la Doris». Ad affermarlo all’unisono sono due persone che hanno conosciuto e cresciuto una giovane Doris De Agostini sulle piste della Leventina, i suoi primi allenatori Edy Mottini ed Enzo Filippini.
«Ricordo che la sorella maggiore di Doris, Daniela, faceva già parte del nostro sci club e un giorno mi disse di avere una sorellina di nove anni (a quei tempi si cominciava a 10) che era molto brava e che voleva già venire con noi – racconta emozionato Mottini, classe classe ‘43 ma ancora oggi attivo nello Sci Club Airolo –. In quegli anni avevamo un bel gruppo, si sciava tutto l’anno visto che in estate ci spostavamo con un piccolo scilift sulla Gönerli in Valle Bedretto, e le risposi che se mi avesse aiutato lei, avrebbe potuto aggregarsi anche la sorella. Inizialmente Doris faceva un po’ fatica in quanto era più piccola degli altri, però a lei non andava e ha sempre lottato per non rimanere indietro, tanto che capimmo rapidamente che aveva qualcosa in più degli altri. Questa sua tenacia le è sempre rimasta e le ha permesso di arrivare dove è arrivata. Anche perché non aveva propriamente un fisico da discesista: era alta, magra e molto agile, tanto che era brava anche nella ginnastica, ma non era compatta. Questo però come detto l’ha compensato dando sempre il massimo. Non si tirava mai indietro, di fronte a una pista difficile non si spaventava e anzi, era lei a far paura nel vederla venire giù “buttando” gambe e braccia da tutte le parti. Era il suo stile, tanto che anche negli anni a venire quando si rivedeva nei vecchi filmati si vergognava parecchio».
Uno stile forse non convenzionale, ma indubbiamente efficace… «Era veloce, più veloce di tutti i suoi coetanei (e non solo), maschi compresi. Per questi ultimi battere la Doris era ormai l’obiettivo di giornata, ricordo che si riunivano in fondo alla pista e quando lei finiva la sua discesa mi guardavano in attesa del responso cronometrico. Io ogni volta scuotevo la testa e dicevo loro: “Mi dispiace ragazzi, non c’è niente da fare, anche stavolta ha vinto lei”».
Vittorie che sono poi rapidamente arrivate anche lontano dalle piste ticinesi, ma che non hanno cambiato la genuinità della ragazza di Airolo, che negli anni ha sempre ricordato Edy Mottini… «Se non sbaglio è passata nei quadri nazionali a 16 anni e ha avuto la fortuna di parlare già il tedesco (grazie alla mamma), cosa che l’ha aiutata molto. Evidentemente ho sempre seguito con grande attenzione le sue gesta e siamo rimasti in contatto, per un certo periodo anche i suoi due figli Andrea e Alessia hanno fatto parte dello sci club ma poi si sono spostati più sul tennis. In ogni caso era sempre bello rivederci, l’ultima volta è accaduto in occasione dell’inaugurazione delle due nuove piste di Airolo-Pesciüm. Ci mancherà».
Parole quelle di Mottini condivise anche da un Enzo Filippini particolarmente scosso, airolese pure lui (classe ‘51) e che prima di diventarne a sua volta allenatore, ha visto una giovane De Agostini... indicargli la via. «Quando io gareggiavo, lei ci faceva da apripista nelle competizioni regionali – ricorda con la voce spezzata dalla commozione il presidente onorario della Federazione ticinese di sci (oggi TiSki, di cui anche De Agostini era membro onorario), che ha diretto per ben 19 anni, dal 2001 allo scorso settembre –. Poi in un certo senso è diventata un’apripista anche per lo sport ticinese, visto che è diventata la prima ticinese a raggiungere certi livelli in Coppa del mondo. Le sue imprese, unite a quanto fatto in seguito anche da Michela Figini, hanno segnato l’inizio di un’era per lo sci ticinese attirando interesse, persone e anche finanziamenti. Basti pensare all’entusiasmo che si creò al suo ritorno in patria con la medaglia di bronzo dei Mondiali del 1978, portò il centro del mondo ad Airolo, fu davvero incredibile».
Un entusiasmo contagioso non solo per le gesta sportive… «La chiamavano “La Dura” ed effettivamente aveva una forza di volontà incredibile, sapeva esattamente quello che voleva e non mollava mai, ma ricorderò per sempre anche il suo sorriso. Più che allenatore quando ha iniziato a fare gare nazionali e internazionali sono diventato una sorta di suo accompagnatore (avevo circa 25 anni) e devo dire che è sempre stato un piacere poterlo fare. Sorrideva sempre, anche nei momenti difficili trovava il lato positivo ed è quel sorriso che non ha mai perso che mi porterò per sempre nel cuore».