Domenica contro la Turchia Petkovic e sua squadra si giocano l'accesso agli ottavi, ma forse anche la possibilità di continuare assieme il loro percorso
La Svizzera e Vladimir Petkovic sono di fronte a una delle sliding doors più importanti, se non la più importante, del loro recente passato. Da una parte, una vittoria con la Turchia domenica a Baku nell’ultimo impegno del girone A dell’Europeo itinerante permetterebbe in un sol colpo di far dimenticare (cancellarla è impossibile) l’imbarazzante sconfitta di mercoledì all’Olimpico (ben più pesante di quanto dica il 3-0 in favore dell’Italia), riavvicinare i rossocrociati a dei tifosi decisamente delusi da quanto mostrato in generale in questo inizio di rassegna continentale e andarsi a giocare la redenzione totale agli ottavi di finale. Obiettivo minimo dichiarato – e pure traguardo stabilito per permettere Xhaka e compagni di mettere le mani sui premi, a sto punto è giusto attaccarsi anche a questo – e nel quale gli elvetici avrebbero la possibilità di scrivere la storia tornando a distanza di 67 anni dall’ultima volta (1954) nei quarti di finale di un grande torneo, la prima volta all’Euro.
Ma questa è decisamente un’altra storia, quasi una favola per quanto mostrato fin qui dalla Svizzera, che se ha ancora una buona chance di guadagnarsi un posto tra le migliori 16 squadre d’Europa lo deve solo alla formula che “ripesca” le quattro migliori terze dei sei gironi. Posto che il Galles a quota quattro punti può ancora essere superato dagli elvetici ma solo con una vittoria ampia contro i turchi e una sconfitta altrettanto decisa dei gallesi con l’Italia (già certa del primo posto ma che vorrà salutare nel migliore dei modi i suoi tifosi), è proprio a uno degli ultimi quattro biglietti disponibili che si aggrappa la nazionale elvetica. Un successo sulla squadra di Senol Günes dovrebbe bastare per andare a Budapest, Siviglia, Bucarest o Glasgow a sfidare la prima classificata dei gruppi C, B, F o E. Ma stiamo ancora una volta guardando troppo lontano e anche volendo le variabili sono troppe per gettarsi in qualsivoglia calcolo, d’altronde non necessario per capire che la Svizzera ha una sola possibilità se non vuole tornarsene già mestamente a casa: battere la Turchia.
Una missione che sulla carta potrebbe apparire non così impossibile visto che gli zero punti in classifica di Calhanoglu e compagni, battuti prima 3-0 dagli Azzurri e poi 2-0 da Bale e soci, tolgono loro praticamente ogni speranza di passaggio del turno, ma che proprio per questo nasconde delle insidie, a cominciare dal fatto che la pressione sarà tutta sulle spalle dei rossocrociati. E abbiamo visto che non sempre (eufemismo) quando sono sotto pressione e obbligati a fare la partita, i ragazzi di Petkvoic riescono a esprimersi al meglio (altro eufemismo).
Una notizia positiva per il selezionatore elvetico è arrivata venerdì, con Yann Sommer che dopo aver lasciato la “bolla” della Nati per volare in Germania dalla moglie che ha dato alla luce la loro secondogenita Nayla (nata mercoledì), dopo aver svolto tutti i test del caso si è già riaggregato al gruppo prendendo parte all’allenamento mattutino a Roma e potrà quindi essere schierato a Baku, dove la Svizzera atterrerà in serata. Ritrovato il suo numero uno, rimangono però molte le scelte attraverso le quali l’ex allenatore di Acb e Lazio dovrà disegnare il proprio futuro e quello della Nazionale.
Contro l’Italia Vlado ha tirato dritto lungo il solco tracciato sin dal suo arrivo sulla panchina rossocrociata nel 2014, ossia dimostrandosi rigido nei suoi schemi e conservatore nel riproporre il modulo e soprattutto gli uomini già inizialmente mandati in campo con il Galles, nonostante le chiare difficoltà palesate da elementi quali ad esempio Shaqiri, Rodriguez e Schär, chiaramente a corto di minuti nelle gambe (e nella testa), Ma anche un Remo Freuler che dall’arrembante giocatore a tutto campo che è nell’Atalanta, quando cambia maglia sembra perdere come Sansone di colpo la sua forza. E che dire di un Seferovic impegnato più a lamentarsi con i compagni che a trovare la via di un gol che alla fase finale di un grande torneo gli manca ormai da 12 partite? Le alternative non mancano e avrebbero già meritato una chance contro la squadra di Mancini visto quanto mostrato in stagione e una volta chiamate in causa: i vari Widmer, Zuber, Zakaria e Gavranovic scalpitano, con in particolare il ticinese autore di 19 reti e 9 assist in stagione con la Dinamo Zagabria (e ben 14 in sole 32 presenze con la maglia della Nati) che contro il Galles in un minuto è andato vicinissimo (rete annullata per fuorigioco millimetrico) a fare quello che Seferovic non riesce a realizzare come detto da 12 partite (21 in 76 gettoni in totale): gol, che è (anche) quello di cui la Svizzera ha maledettamente bisogno.
Un discorso a parte lo merita poi Granit Xhaka, capitano che al posto di presentarsi davanti ai microfoni nel post-partita di Roma e semplicemente ammettere che lui e la sua squadra avevano fatto pena, ha preferito attaccare i compagni, rei di non essere stati abbastanza propositivi. Da che pulpito, ma in ogni caso non quello che ci si aspetta da un capitano. Anche se forse pure stavolta il problema sta nelle scelte di chi ha messo la fascia al braccio di un giocatore decisamente non idoneo per ricoprire un ruolo così delicato e importante, visto che fatica a controllarsi dentro e fuori dal campo, tra espulsioni, problemi con tifosi e dirigenza del suo club (l’Arsenal), aquile (l’ormai famoso gesto contro la Serbia agli ultimi Mondiali), tatuaggi e acconciature varie. Scegliere un leader che sa esserlo anche senza mettersi in mostra – ad esempio lo stesso Sommer – no?
Sliding doors, dicevamo. Già perché detto cosa aspetta la Svizzera e il suo tecnico in caso di vittoria con la Turchia, rimane l’altra possibilità, quella che tutti preferiamo non prendere in considerazione ma che purtroppo è tutt’altro che remota per quanto visto finora. Un mancato successo in quel di Baku, potrebbe senza troppi giri di parole significare la fine di un ciclo per la nazionale maggiore, quello targato Vladimir Petkovic. E questo a una sola partita dal record di 77 presenze sulla panchina rossocrociata, detenuto al momento da Karl Rappan. Un peccato a un niente dal suggellare anche con i numeri una collaborazione tra le più (con)vincenti della storia elvetica, ma mal vediamo come l’Asf e il tecnico bosniaco di origine croata potrebbero proseguire lungo gli stessi binari su un treno deragliato in maniera in maniera così fragorosa. Perché tale sarebbe, un’uscita di scena (in questo modo) prematura dall’Euro.
Nonostante tutto, Petkovic e i suoi ragazzi hanno però ancora il destino nelle loro mani. O meglio nei piedi. O meglio ancora nella testa e nel cuore, ciò che è mancato finora ma di cui la piccola Svizzera, se vuole essere un po’ più grande, non può davvero fare a meno.