Calcio

Benfica squadra di regime? Un libro smentisce la tesi

Il volume sarà presentato a Lisbona proprio oggi, nel giorno del 50° anniversario della Rivoluzione dei garofani che portò la democrazia in Portogallo

In sintesi:
  • Nel giorno del cinquantesimo anniversario della Rivoluzione dei garofani, che portò la democrazia in Portogallo dopo quasi mezzo secolo di dittatura, un libro confuta la tesi secondo cui la squadra di calcio del Benfica fosse uno strumento del regime
  • L'autore sostiene che, in realtà, alcuni giocatori e dirigenti del club fossero sostenitori dell'opposizione e che la società sportiva sia sempre stata vicina al popolo
25 aprile 2024
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Dopo essere stato ministro della Finanza nella Ditadura Nacional presieduta da Carmona già dal 1926, António Salazar instaurò in Portogallo un regime dittatoriale denominato “Estado Novo”. Era il 1933 e quel regime che simpatizzava con Mussolini e Hitler si avviava a diventare il più longevo del Novecento europeo. Anni bui in cui il Benfica, la squadra di calcio della capitale, vinse molto in patria (venti campionati e quindici coppe nazionali) e altrettanto all’estero, conquistando due Coppe dei Campioni nel 1961 e 1962, la seconda delle quali con in campo il fenomenale Eusebio, nato nell’allora colonia portoghese del Mozambico). Ancora oggi, 50 anni dopo la Rivoluzione dei Garofani con cui il Portogallo si liberò dalla dittatura, il Benfica è la squadra più titolata del Paese.

Queste vittorie ormai lontane nel tempo, così come quelle conquistate in altre discipline come ad esempio ciclismo o hockey su pista, vennero sfruttate dal regime come strumento di propaganda. E così i rivali del Benfica – Sporting Lisbona e Porto soprattutto – hanno a lungo considerato quei successi, e spesso tuttora lo fanno, come conquiste in qualche modo sporche. Il giornalista e scrittore João Malheiro ha fatto un lavoro di ricerca per confutare questa tesi che poi è diventato un libro intitolato ‘A Cartilha da Benficofobia’, con prefazione vergata dal presidente del Benfica Manuel Rui Costa, il famoso fuoriclasse di Milan e Fiorentina, oltre che della Nazionale lusitana. «Durante i quarantotto anni di dittatura fascista – dice João Malheiro a laRegione – Il Benfica è stato un club democratico e mai sottomesso al regime. Era anzi discriminato: alcuni suoi dirigenti e atleti furono monitorati o addirittura perseguitati dalla dittatura repressiva. Il Benfica è da sempre la squadra del popolo, d’altra parte è il club più grande del Portogallo, con sei milioni di tifosi in un Paese di dieci milioni di abitanti. Fu l’unico, in quegli anni bui, ad avere elezioni democratiche e a ingaggiare dirigenti e atleti antifascisti, alcuni dei quali furono anche sostenitori e finanziatori dei movimenti di liberazione nelle colonie portoghesi». Per esempio, Cândido Plácido Fernandes de Oliveira – giocatore, allenatore e poi uno dei giornalisti che fondarono il quotidiano sportivo A Bola – fu arrestato e imprigionato nel campo di concentramento di Tarrafal, a Capo Verde.

Il presidente del club Borges Coutinho invece, il 30 aprile, pochi giorni dopo l’avvicendamento del potere, si recò a rendere omaggio alla Junta de Salvação Nacional, che aveva preso il comando politico del Portogallo. «Borges Coutinho, un democratico, annunciò il sostegno del club alla Rivoluzione antifascista e anticolonialista – continua Malheiro – mettendo a disposizione tutte le squadre del club per dare una mano alla democratizzazione del Paese». L’Unione dei calciatori, presieduta dal giocatore del Benfica Artur Jorge (che fu anche selezionatore della Nazionale elvetica e che è scomparso recentemente), sostenne le manifestazioni popolari. «Ovviamente ciò avvenne dopo il 25 aprile – è ancora Malheiro a parlare – perché prima era impossibile: sotto il regime fascista una cosa simile poteva portare alla carcerazione. La dittatura, ad esempio, vietava le celebrazioni del 1° Maggio, la Festa dei lavoratori».

Cinque anni prima della rivoluzione, si apprende leggendo il libro, ci fu una partita di Coppa del Portogallo che mise in difficoltà il regime. Si giocava la finale tra il Benfica e l’Académica de Coimbra, «una squadra composta da studenti con un chiaro atteggiamento antifascista. La partita si trasformò in una manifestazione antifascista sugli spalti dello Stadio Nazionale, con il sostegno congiunto dei tifosi dell’Academia e del Benfica. La televisione non trasmise l’incontro e il presidente della repubblica, contrariamente alla tradizione, non volle presenziare al match».

L’Académica passò in vantaggio dopo pochi minuti di gioco, ma il Benfica riuscì a pareggiare e ad andare ai supplementari. Non si poteva fare niente di fronte alla classe di Eusebio, ancora capace di fare la differenza e di regalare infine con un gol la coppa al Benfica. Curiosamente, dopo il 25 aprile, all’Università di Coimbra gli studenti manifestarono contro il calcio professionistico, e decisero di ritirare dal campionato nazionale la squadra che li rappresentava. Grazie ad altri studenti, però, dopo qualche tempo fu riorganizzata e riuscì a dare seguito a un’esperienza che va avanti ancora oggi.

La dittatura in Portogallo aveva cominciato a traballare già nel 1968. Dopo un incidente domestico (cadde dalla sedia), il despota Salazar ebbe un ictus cerebrale che lo rese invalido, e il suo posto fu preso da Marcello Caetano, che rimarrà al potere fino al 25 aprile 1974, esattamente cinquant’anni fa, quando si consumò la cosiddetta Rivoluzione dei Garofani, un colpo di Stato operato da una parte dell’esercito, cioè il Movimento delle forze armate (Mfa), che si era spostato a sinistra dopo aver combattuto la guerra coloniale, conflitto che aveva provocato morti da entrambi i lati. I militari ebbero l’appoggio della gente, che finalmente ebbe il coraggio di scendere in strada. Il golpe – che si contraddistinse per i garofani infilati nelle canne dei fucili – provocò la morte di quattro civili, uccisi da quelle forze militari che erano rimaste fedeli al regime. Dopo la Rivoluzione, nel Paese venne permessa la fondazione di sindacati, che apparvero anche nel mondo del calcio, consentendo ai giocatori di affrancarsi dai club ai quali appartenevano in teoria per tutta la loro carriera, e ai quali dovevano dunque sottostare in tutto e per tutto.

Il 25 aprile 1974 era un giovedì, per il Benfica un normale giorno d’allenamento. Al campo iniziarono a giungere voci sul cambio al potere, e i calciatori – guidati da Artur Jorge e Toni – si misero in cerca di informazioni su ciò che stava accadendo. Lo Sporting però, altra squadra di Lisbona, visse in verità giorni ancora più avventurosi. Nel tardo pomeriggio del 24 aveva giocato infatti in Germania Est una semifinale di Coppa delle Ccppe, persa 2-1 contro il Magdeburgo. In quella notte in cui il Portogallo iniziava la rivoluzione, il cui via fu dato da una radio che trasmise un pezzo di un cantautore fin lì censurato, i biancoverdi si misero in viaggio per rincasare, ma riuscirono a farlo soltanto dopo una cinquantina di ore, perché furono costretti ad atterrare a Madrid e poi a sostare a lungo alla frontiera fra Spagna e Portogallo. Dal loro Paese, in anni in cui le comunicazioni non erano quelle di oggi, arrivavano solo notizie frammentarie. Quando finalmente giunsero a Lisbona la mattina del 26 aprile, il Portogallo era ormai un Paese libero, dopo quasi mezzo secolo di dittatura.

Il calcio lusitano, ad ogni modo, non si fermò: il weekend successivo, quello del 27 e 28 aprile, erano in programma gli ottavi di Coppa del Portogallo: lo Sporting vinse il derby col Belenenses 2-1, mentre il Benfica sconfisse 8-0 il Clube Oriental. La finale fu poi disputata in giugno allo Stadio Nazionale proprio tra Benfica e Sporting, col successo di quest’ultimo (2-1) ai supplementari. Il libro ‘A Cartilha da Benficofobia’ di João Malheiro verrà presentato proprio oggi, 25 aprile 2024, allo Stadio Da Luz.