Un estratto dal libro “Balkan Football Club”: a caccia di bellezza nei luoghi dell’estetica brutalista e di storie di sport dimenticate
Per il ponte del 25 aprile abbiamo deciso di fare un giro in macchina nella Bulgaria nordorientale. Non potevamo spingerci fino al mare perché le autostrade bulgare, o meglio la loro assenza, non consentono di arrivare agevolmente né a Varna né alla Dobrugia bulgara, iniziali obiettivi del nostro viaggio. Così abbiamo optato per Ruse, ma fra atterraggio, noleggio e guida, la città sul Danubio sarebbe stata praticamente irraggiungibile prima di tarda notte. Per “spezzare” il giro abbiamo pensato a una tappa intermedia: Loveč.
Confesso che prima di visitarla non sapevo davvero che cosa aspettarmi. Conoscevo la città soltanto per i trascorsi calcistici degli arancioverdi del Litex Loveč, uno di quei classici club spuntati dal nulla, grazie ai soldi di qualche oligarca. La squadra fu fondata negli anni Venti del Novecento, ma non ha mai lasciato il segno nel massimo campionato nazionale fino al 1997, quando da neopromossa ha vinto il titolo, bissando l’anno successivo. Dopodiché è rimasta stabilmente fra i primi posti fino al 2015, vincendo anche quattro coppe nazionali, una supercoppa e un altro titolo.
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La finale di Coppa di Bulgaria 2003 tra Levski Sofia e Litex Lovec
Tuttavia, nel 2016 il Litex è stato retrocesso per decisione federale, ma non ha mai disputato il campionato di seconda divisione: il titolo è stato acquisito dal Cska, la squadra dell’esercito, che così è tornato in prima serie dopo il fallimento. Ovviamente questo passaggio è avvenuto in maniera un po’ losca: il vecchio proprietario del Litex Loveč, nel frattempo, era diventato presidente proprio della squadra dell’esercito e aveva lasciato il club arancioverde al figlio, che non si era opposto alla cessione del titolo sportivo. Da questa acquisizione è derivato anche lo scisma che ha portato alla nascita del secondo Cska, quello denominato Cska 1948.
Il fiume Osăm scorre tutt’altro che placido lungo la strada che porta in città. In alcuni punti l’asfalto gli corre così vicino e senza barriere da far dubitare che siano stati presi tutti gli accorgimenti necessari in fatto di sicurezza. Loveč si trova in una sorta di vallata, incastrata fra due rilievi, con il fiume a segnare la divisione della città. Da una parte quella storica e antica, davvero ben conservata, con la fortezza, un’enorme statua del patriota nazionale Vasil Levski e una chiesa dalle cupole a cipolla che quasi non sembrano bulgare, ma russe. Dall’altra parte del fiume, raggiungibile anche tramite il ponte coperto, simbolo della città e un tempo pure della squadra di calcio, vi è la zona nuova di Loveč. Lungo il viale pedonale si trovano tutti i punti nevralgici della città: il municipio, il teatro, le poste e anche la vecchia stazione degli autobus che oggi versa in una situazione di totale abbandono. Si alternano gli stili: liberty e brutalismo socialista si assecondano uno dopo l’altro senza soluzione di continuità, mentre dall’altra parte del fiume si vedono delle casette colorate, che spiccano nel sostanziale grigiore collettivo.
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Vujadin Boskov (a destra) in divisa da calciatore
Proprio camminando dal corso principale verso il fiume ci si trova in una via particolare, dove una serie di betulle incornicia il cosiddetto “viale degli astronauti”. Negli ultimi anni solo il Litex ha rimesso la città al centro delle cronache nazionali mentre, prima dell’exploit calcistico, Loveč era celebre per aver dato i natali al primo uomo “spaziale” proveniente dalla Bulgaria: Georgi Ivanov.
Baffoni neri, sguardo fiero, in patria è un volto conosciuto, ma è praticamente ignorato all’estero. Fu lui l’11 aprile 1979 a lasciare la Terra a bordo del Sojuz 7K-T insieme al capitano della missione, il fisico sovietico Nikolaj Rukavišnikov. In realtà Georgi si chiamava Kakalov, ma il suo cognome suonava male ai russi, perché ricordava il verbo “fare la cacca” e per questo venne cambiato in Ivanov (equivalente per diffusione al cognome Rossi in Italia). Grazie a lui la Bulgaria divenne il sesto Stato in assoluto ad aver lanciato un cittadino nello spazio, dopo Unione Sovietica, Stati Uniti, Cecoslovacchia, Polonia e Germania Est.
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Goran Pandev, mito macedone
Ma Ivanov non è l’unico astronauta del paese. Il 7 agosto 1981 andò in orbita il primo satellite artificiale di fabbricazione bulgara, l’Interkosmos 22. Quando cominciarono le selezioni, fra le oltre trecento candidature pervenute alla fine la spuntò Aleksandăr Aleksandrov, classe 1951, già selezionato come riserva dieci anni prima. Il decollo della navicella Sojuz TM-5 dal cosmodromo di Bajkonur, alle ore 14.03 del 7 giugno 1988, venne trasmesso in diretta televisiva. Partito insieme ai due colleghi russi Anatolij Solov’ëv e Viktor Savinych, Aleksandrov fu il secondo cosmonauta della storia bulgara, ma il primo a visitare una stazione spaziale.
Mentre i tre erano in orbita venne effettuato un telecollegamento con il capo di Stato bulgaro, Todor Živkov. Il 10 giugno una sala del Palazzo nazionale della cultura, il famoso NDK (pronuncia: Endekà) di Sofia, venne appositamente allestita. Su YouTube si trovano ancora degli stralci. Ma in rete circola anche un breve video dei secondi che precedono il collegamento, una sorta di dietro le quinte. Ci sono i tecnici televisivi che spiegano a Živkov come funzionerà la diretta. Il leader del Paese li incita a fare presto. Il motivo? «Inizia la partita, il calcio!».
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La finale di Coppa Campioni 1986 vinta dai romeni della Steaua
Al che i tecnici lo tranquillizzano dicendo che non c’è fretta: il telecollegamento è previsto per le 20.50 mentre la partita comincerà alle 21.15 ora locale. Con tutta probabilità si tratta di Germania Ovest-Italia, partita inaugurale del Campionato europeo di calcio 1988 al quale si era qualificata anche l’Unione Sovietica, ma non la Bulgaria.
Todor Živkov fu uno dei più longevi leader socialisti del Ventesimo secolo, avendo mantenuto il potere dal 4 marzo 1954 fino al 10 novembre 1989. Il giorno dopo la caduta del Muro di Berlino dette le dimissioni, lasciando la carica che aveva ricoperto fino ad allora e sottraendosi in questo modo a possibili ritorsioni e vendette violente, come invece accadde al suo “collega” romeno, Nicolae Ceaușescu.
Non è questa la sede per una disamina dell’operato di Živkov, ma appare evidente a chi visita il Paese che il sentimento anticomunista è forte, ma non uniformemente diffuso tra le fasce della popolazione. La presenza di alcuni monumenti in giro per la nazione testimonia come il rapporto con la memoria del periodo socialista in Bulgaria sia molto più complesso e sfaccettato di quanto si possa invece osservare in Romania – solo per fare un esempio –, dove non è raro imbattersi in memoriali della rivoluzione del 1989. In centro a Sofia, al contrario, si trova ancora il Monumento all’Armata Rossa ed esiste anche un museo, giusto dietro il Ministero della Cultura, che conserva i busti di Lenin e di altri protagonisti del periodo socialista.
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L’ex leader bulgaro Todor Zivkov
Ma al di là dell’eredità politica di Živkov, visitare la Bulgaria è stata l’occasione per indagarne il rapporto con il calcio, e cioè: che squadra tifava il capo della Bulgaria socialista?
Rispondere a questa domanda è difficile per qualsiasi figura di spicco. Di Tito si dice che simpatizzasse per l’Hajduk Spalato, tanto da chiedere al club di spostarsi a Belgrado e diventare la squadra dell’esercito. Probabilmente la richiesta era però arrivata non tanto per ardore nei confronti della formazione dalmata, quanto per l’impegno dei suoi tesserati nella guerra partigiana. Una sorta di premio e attestazione di fiducia.
Ancora più appassionante è la storia che c’è dietro al tifo di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Turchia moderna. Sui siti delle tre principali squadre del Paese – Galatasaray, Beşiktaş e Fenerbahçe – esiste un’apposita sezione che ha il compito di dimostrare come “il padre dei turchi” tifasse proprio per quella squadra. Documenti, foto antichissime: tutto vale per tirare la giacchetta di Atatürk e mettergli addosso i colori della propria formazione. Probabilmente il capo di Stato aveva colto l’importanza di questo sport sbarcato da poco nel Paese e che stava penetrando a grande velocità fra le masse turche, dopo essere stato prerogativa degli inglesi. In questa situazione Atatürk aveva adottato un atteggiamento lungimirante di occasionale vicinanza a tutte e tre le grandi squadre di Istanbul, capitale calcistica della Turchia.
A Ceaușescu, invece, del calcio non importava davvero niente. Era suo figlio Valentin che faceva parte della dirigenza della Steaua Bucarest campione d’Europa (e l’amicizia con i calciatori sarà uno dei motivi grazie a cui riuscirà a salvarsi nei giorni della rivoluzione). Le leggende sull’Olt Scornicești, squadra del piccolo centro da cui veniva il Conducător, non riguardano tanto lui, quanto il fratello della moglie, vera eminenza grigia della squadra.
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Lo stadio dell’Fk Tirana
Ma, tornando a Živkov, è abbastanza condiviso che non impazzisse per il calcio. Non aveva una chiara appartenenza, però ci sono almeno due aneddoti degni di essere raccontati. Il primo è quello secondo cui il leader bulgaro avesse la tessera numero 1 del Lokomotiv Sofia. Probabilmente fu una sorta di trabocchetto dei dirigenti del club, che chiesero al politico se avesse avuto piacere a sostenere la squadra dei lavoratori ferroviari. Živkov, incastrato in questa sorta di vicolo cieco dottrinale, non poté rifiutare. Da allora si dice che ogni anno il suo autista andasse a pagare la quota della tessera fino a Ilijantsi, all’estremo nord della capitale bulgara.
Il secondo aneddoto invece riguarda un presunto sostegno allo Slavija. Esiste infatti una foto, scattata negli anni Ottanta, che ritrae Živkov con indosso una T-shirt con il simbolo bianco e nero della squadra. Si è parlato anche di un fotomontaggio, ma pare che quel giorno il capo di Stato dovesse inaugurare una piscina gestita proprio dalla società. Gli venne chiesto di indossare quella maglietta e, pensando che non ci fosse niente di male, Živkov accettò. La foto venne scattata e il resto è storia.
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Tifosi kosovari espongono la bandiera