Le competenze socio-emotive ci aiutano a gestire non solo le nostre emozioni, ma anche quelle degli altri, permettendo relazioni più soddisfacenti
Lo scorso 22 novembre gli studenti e le studentesse del terzo anno di Bachelor, futuri docenti di scuola dell’infanzia ed elementare, hanno partecipato a una lezione del corso “Le competenze socio-emotive nella relazione educativa”, solitamente tenuto al Dipartimento formazione e apprendimento /Alta scuola pedagogica. In quest’occasione, la lezione è uscita dalle mura del Dipartimento di Locarno per svolgersi a Cavergno, in Vallemaggia, teatro quest’estate di violenti nubifragi. Una scelta ovviamente non casuale, volta a sensibilizzare e preparare futuri e future docenti a gestire eventi inaspettati e di forte attivazione emotiva. Approfondisce la tematica Davide Antognazza, Docente-ricercatore Senior in Scienze dell’educazione al Dfa/Asp.
Cosa si intende per competenze socio-emotive?
Le competenze socio-emotive riguardano la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni (ad esempio rabbia, felicità, tristezza, ansia e via dicendo), ma anche quelle degli altri, aspetto primario e fondamentale nei rapporti tra persone. Ogni relazione comporta infatti un vissuto emotivo che, quando riconosciuto ed eventualmente gestito, permette un miglioramento dei rapporti e un più efficace svolgimento del lavoro pedagogico.
Che importanza – e che applicazione – rivestono in ambito educativo e formativo?
Prima di essere individui razionali, siamo individui senzienti. Lo dimostrano le neuroscienze, in quanto l’emozione è più veloce del pensiero razionale, il che presuppone la necessità di trovare un equilibrio tra emozione e ragione. Lo dimostrano le nostre scelte più importanti – chi sono i nostri amici, quale lavoro svolgiamo, quale persona sposiamo –, tutte scelte che hanno, o vogliono avere, alla base una forte connotazione emotiva. Se non ci occupiamo delle emozioni, queste si occuperanno comunque di noi, influenzando le nostre decisioni, azioni e relazioni. Da qui, l’importanza di trattare il tema in ambito formativo, con un taglio di conoscenza e consapevolezza, il tutto al fine di aggiungere una competenza prioritaria alla professionalità dei/delle docenti, che non possono pensare di lasciare le proprie emozioni, e quelle di allieve e allievi, fuori dall’aula.
Le emozioni sono ovunque, quando impariamo con piacere o quando siamo spaventati da un compito nuovo o difficile, quando un allievo o un’allieva si sente contento/a per un traguardo raggiunto o quando un genitore condivide la preoccupazione per le difficoltà della crescita. Le soluzioni non sono solo strategie, ma sono preparazione e comprensione: preparazione nel riconoscere i segnali delle emozioni, comprensione nel capire che spesso non scegliamo come sentirci, ma che con questo sentire dobbiamo comunque avere a che fare.
Supsi
Lezione extra-muros in Vallemaggia sull’importanza delle competenze socio-emotive
Che strumenti e competenze particolari può trarre un insegnante da una formazione di questo tipo?
Il primo strumento è riconoscere in sé e negli altri i segnali delle emozioni: per loro natura, le emozioni sono reazioni e movimenti, le sentiamo nel nostro corpo e ne possiamo cogliere indizi e tracce nei gesti e nei volti degli altri, nel tono della voce e nelle posture. Non occorre essere perfetti per interpretarne significati e motivi, ma a scuola essere curiosi delle emozioni dei bambini e delle bambine significa avere qualche strumento in più per entrare in relazione in maniera più efficace e completa: a volte dietro a una difficoltà, anche scolastica, non si nasconde un’incomprensione o un deficit, ma un modo di vivere una certa situazione che può portare a evitare la situazione stessa, oppure bloccare nei comportamenti. Dare un nome a queste reazioni, insegnare che non sono sintomo di stranezza ma risposte costitutive del nostro modo di essere, aiuta appunto a riconoscerle, accettarle (tecnicamente diciamo validarle, cioè accoglierle per come sono) e ci aiuta ad averci a che fare, dato che sono appunto parte integrante di noi.
Quanto si è fatto, e quanto si sta facendo attualmente, in Canton Ticino?
Ci sono molte persone che si occupano di emozioni, anche a scuola. L’importante è farlo con un po’ di conoscenza del tema, che non deriva solo dall’aver sperimentato un’emozione (quello tocca a tutti), ma dal comprendere che tutte le emozioni sono accettabili, ma che non tutti i comportamenti lo possono essere. Al Dfa/Asp tutti i futuri maestri e tutte le future maestre seguono un corso sulla tematica, tra l’altro una peculiarità del nostro Istituto, e sono quindi resi attenti al tema e alle ricerche che vengono svolte, e di come sia necessario dare cittadinanza alle emozioni in classe, parlandone e riconoscendole nella loro espressione.
In un contesto di crisi come quello avvenuto quest’estate in Vallemaggia, come si possono applicare le competenze socio-emotive alla pratica e all’urgenza del momento?
Le fasi sono spesso, se non sempre, le stesse. Se non c’è proprio un pericolo imminente che ci porta ad agire in emergenza, riconoscere la propria emozione e prenderne per un certo tempo la distanza, osservarla e comprenderla, porta a una gestione più definita, e probabilmente anche a scelte migliori. Ad esempio, nel corso “Le competenze socio-emotive nella relazione educativa” trattiamo il tema del Coaching emotivo, ovvero le fasi da seguire quando un bambino o una bambina manifesta una forte emozione: in quel momento è difficile intervenire, è in atto una sorta di sequestro emotivo. In seguito occorre contenere, riconoscere, validare, per poi discutere su come alcuni comportamenti possono essere non adeguati, e trovarne insieme altri, da attivare in situazioni simili in futuro. È in questo momento che viene svolto il lavoro di educazione socio-emotiva ed è questo che insegniamo ai nostri studenti e alle nostre studentesse.
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Davide Antognazza
Che tipo di lavoro personale è richiesto a un/una docente per poter sviluppare e integrare questo tipo di competenze?
Per me il primo passo è essere curiosi di questa cosa, di come si manifesta in noi. Anche solo interrogarsi, due o tre volte al giorno, su come ci sentiamo, dando un nome a queste sensazioni e descrivendole, può essere di grande aiuto: nella mia esperienza, e in quella di molti altri, anche solo due settimane di questo esercizio ci rendono più precisi nella descrizione e più consapevoli nella gestione. Certo, poi occorre continuare, però i primi passi sono semplici, e sempre più efficaci se questa diventa una nostra routine.