Le competenze trasversali, anche dette soft skills, si possono sviluppare cantando, suonando e anche danzando
Alle nostre latitudini è molto diffuso il luogo comune secondo il quale le capacità musicali sono doti naturali che possono essere sviluppate solo a partire da un talento innato: “portati” per la musica, quindi, si nasce. Per sfatare questo falso mito dobbiamo discostarci dalla concezione di performance come fine ultimo dell’apprendimento musicale e abbracciare una visione olistica dell’educazione, dove la musica può concorrere allo sviluppo globale della persona nella stessa ottica per cui l’insegnamento dell’italiano non è riservato ai futuri scrittori o quello della fisica ai potenziali scienziati. Un gruppo di docenti della Svizzera italiana si sta specializzando in questo campo.
Definiamo stonata una persona che non intona perfettamente una canzone e crediamo che non potrà migliorare, ciononostante correggiamo con pazienza gli errori linguistici di nostro figlio perché siamo persuasi che prima o poi parlerà correttamente. Eppure non dovremmo fare distinzioni tra il parlare e il cantare poiché il sistema uditivo, l’apparato fonatorio e molte delle funzioni cerebrali su cui si basano l’apprendimento e la produzione della lingua orale, sono i medesimi su cui è fondato il canto: entrambe sono capacità per le quali l’essere umano ha una predisposizione naturale, ma che possono essere sviluppate solo se stimolate. Le capacità musicali possono essere sviluppate nelle persone integre a livello fisiologico e neurologico. Ciò non avviene in chi soffre di patologie degli apparati uditivo o fonatorio oppure di un raro disturbo neurologico, detto amusia, che causa una compromissione delle abilità musicali.
Allo stesso modo potremmo riflettere sull’affermazione “avere la musica nel sangue” riferita alla capacità ritmico-motoria nella danza, intesa spesso come un’attitudine innata, dove ci sembra lecito condannare gli errori piuttosto che sostenerli, quando, nella certezza della riuscita, accettiamo come normali le cadute e gli inciampi nell’apprendimento del camminare.
E ancora: suonare uno strumento richiede capacità coordinative importanti, ma anche queste devono essere sviluppate e miglioreranno solo con la convinzione che si potrà imparare, anche se osserveremo una iniziale goffaggine proprio come le prime volte che abbiamo provato ad allacciare le scarpe, usare le posate o disegnare.
È importante rispettare gli errori musicali come tappe importanti per la crescita, così come accettiamo le scorrettezze in altri contesti. Impariamo ad esempio a dire “hai stonato” piuttosto che “sei stonato”: in questo modo daremo fiducia a chi ci sta di fronte e considereremo la questione come temporanea e perfettibile (“hai commesso un errore, ma puoi migliorare”) piuttosto che un tratto identitario ineluttabile (“sei così e non ci puoi fare niente”).
depositphotos
L’orecchio vien suonando
Come genitori e come docenti, se prendiamo le distanze dalla valutazione della qualità di una performance, se riusciamo ad astenerci dal giudizio e consentiamo a noi stessi e agli altri di godere dell’atto musicale in quanto tale, molti potranno essere i benefici indiretti che la pratica musicale porterà con sé, e daranno un valore aggiunto al piacere genuino del fare musica.
La materia della scuola dell’obbligo, che fino a pochi anni fa veniva chiamata “Canto e musica”, ora è denominata “Educazione musicale” e così viene presentata nel Piano di Studio della scuola dell’obbligo ticinese: “L’esperienza della musica vissuta e praticata in prima persona è un momento privilegiato che alimenta la curiosità e l’interesse dell’allievo (…) tanto nell’educazione all’ascolto quanto nelle attività pratiche e creative, all’interno di un contesto pedagogico atto a esaltare sia i processi estetici, culturali, espressivi e creativi, sia quelli affettivi e sociali”.
L’educazione musicale, tramite attività che spaziano dal canto all’ascolto attivo, dalla danza alla produzione sonora, può diventare un canale privilegiato per lo sviluppo di alcune competenze trasversali, o soft skills, ovvero quelle abilità personali e interpersonali come l’ascolto, la comunicazione e la collaborazione, che vanno oltre le conoscenze specifiche in una materia e possono essere spese a livello globale nella vita sociale, di studio o lavorativa. La dimensione dell’ascolto è il fulcro di ogni produzione musicale: suonando, danzando o cantando in gruppo si sviluppano delle relazioni interpersonali forti poiché, per creare l’armonia dell’esecuzione, l’attenzione reciproca deve essere costante e si mettono in atto strategie comunicative in un dialogo senza parole.
Facendo musica insieme si possono rinforzare la collaborazione e il senso di appartenenza: per cantare in coro dobbiamo ascoltarci, per danzare insieme dobbiamo muoverci tutti allo stesso ritmo, nessun singolo deve prevalere sul gruppo e, se qualcuno sbaglia, può contare sull’aiuto degli altri. Una volta sviluppate, le competenze trasversali potranno poi essere traslate in altri contesti sociali dove sia importante, ad esempio, mantenere un atteggiamento di ascolto attivo nei confronti del prossimo oppure sia necessario collaborare o ancora sia utile comunicare in maniera efficace.
depositphotos
In realtà sono pochi i casi di amusia
Un gruppo di docenti di Scuola dell’infanzia ed elementare della Svizzera italiana si sta specializzando in questo campo frequentando un corso di Formazione continua, il Certificato di studi avanzati “Musica nel 1° ciclo: percorsi trasversali per lo sviluppo globale del bambino”, erogato dal Dipartimento formazione e apprendimento/Alta scuola pedagogica della SUPSI (DFA/ASP). Andando oltre la dimensione prettamente disciplinare e nella prospettiva di un’educazione generale, le insegnanti, durante il primo anno di formazione appena concluso, hanno acquisito le competenze per poter inserire consapevolmente la dimensione percettivo-uditivo-espressiva in una progettazione ad ampio spettro con il focus sull’uso dell’ambito musicale come mezzo per promuovere lo sviluppo personale dei bambini e delle bambine a livello trasversale.
Durante il prossimo anno scolastico ciascuna docente realizzerà un percorso con i propri allievi, sulla base di un progetto annuale creato in risposta ai bisogni e alle caratteristiche di ciascun contesto classe.
L’auspicio è che i bambini e le bambine che parteciperanno a questi progetti, siano quegli adulti di domani che diranno ai loro figli: “Hai stonato, riproviamo!".
In collaborazione con il Dipartimento formazione e apprendimento/Alta Scuola Pedagogica