Con Gérard Demierre, attivo nell’Ufficio cantonale di mediazione penale minorile di Friborgo, entriamo ‘nel cuore di una forma di umanità ritrovata’
È un episodio in grado di racchiudere l’essenza del lavoro che svolge da 20 anni a questa parte quello che Gérard Demierre racconta con emozione, riferendosi a uno dei circa 500 casi che ha finora trattato nella sua carriera di mediatore presso l’Ufficio di mediazione penale per minori del Canton Friborgo: «Di recente ho telefonato a un signore di quasi 90 anni per proporgli un incontro con l’autrice di un reato che lo riguardava. Mi ha subito risposto “sì, si può fare, ma non so proprio cosa dire alla ragazza”. Suo figlio invece era molto scettico: “Come le viene in mente di chiedere una cosa del genere a un uomo così anziano?”. Quando alla fine siamo riusciti a sederci tutti attorno a un tavolo è successo qualcosa di molto toccante. Il signore ha mostrato alla ragazza la foto di sua moglie venuta a mancare alcuni anni prima, “ma petite chérie” la chiamava, la mia piccola cara. Ha parlato della loro vita insieme, del duro lavoro e dei sacrifici fatti nell’arco di un’esistenza, e di come si era sentito per il danneggiamento che la giovane aveva provocato. La ragazza, evidentemente commossa, gli ha raccontato del difficile periodo che aveva trascorso e del suo impegno per trovare un lavoro, e quando scusandosi gli ha chiesto cosa potesse fare per riparare al torto causato lui ha risposto: “Nel momento in cui arriverai a un traguardo importante nella tua vita professionale, quando tra sei mesi o un anno ti assumeranno, scrivimi. Mi farai felice”».
Come stabilisce l’articolo 17 della Legge federale di procedura penale minorile (PPMin), “l’autorità inquirente e le autorità giudicanti possono sospendere in ogni tempo il procedimento e affidare l’incarico di svolgere una procedura di mediazione a un’organizzazione o persona idonea se non sono necessarie misure protettive o l’autorità civile ha già disposto provvedimenti adeguati”. Nel caso in cui abbia successo, il procedimento viene abbandonato, altrimenti viene ripreso in via ordinaria. La mediazione penale è dunque un’alternativa alla condanna e alle tradizionali sanzioni penali per giovani che hanno commesso un reato. Si tratta di una procedura che si inserisce nel solco della giustizia riparativa con l’intento di portare il minore a riconoscere il suo errore davanti alla vittima e a fare ammenda, e che può essere sperimentata come soluzione per qualsiasi tipo di reato su proposta del magistrato dei minorenni. Qualora ci sia il consenso di autore e vittima – entrambi liberi di aderire e interrompere il percorso in qualsiasi momento – il dossier passa a un mediatore che si occupa di creare uno spazio in cui, tramite il suo aiuto, le persone coinvolte possano occuparsi delle conseguenze di quanto successo.
Secondo i dati più recenti dell’Ufficio federale di statistica, dal 2020 al 2023 in media su 22mila casi penali contro minori giudicati annualmente in Svizzera, 393 si sono trasformati in mediazioni che hanno avuto successo. Il canton Friborgo – seguito da Ginevra e Vallese – guida la classifica, mentre il Ticino è tra quelli in fondo: zero le mediazioni andate a buon fine nell’arco dei quattro anni menzionati.
Ufficio federale di statistica / Rapporti della magistratura / Messaggio del Consiglio di Stato 8257
«Dalla mia esperienza ventennale nell’ambito della mediazione penale minorile posso dire che funziona molto, molto bene», afferma con convinzione Demierre. Laureato in diritto, nel 1988 è stato assunto come cancelliere presso il Tribunale dei minori di Friborgo, dove ha lavorato per 16 anni accanto al giudice Michel Lachat, molto vicino al collega vallesano Jean Zermatten che ha contribuito a elaborare la Legge federale di procedura penale minorile in cui è stata introdotta la nozione di mediazione. «Entrambi ritenevano che come giudici avessero dei limiti e che in alcuni casi ai giovani avrebbe fatto bene percorrere altre strade fuori dalle mura dei tribunali. Avevano insomma la capacità di guardare oltre le righe degli articoli di legge. A quel tempo pure io ho iniziato a interessarmi a questo approccio e nel 2001-2002 ho fatto una formazione approfondita sulla mediazione e il mio lavoro finale è consistito nello scrivere la legge cantonale friborghese sulla mediazione penale in ambito giovanile che prevedeva l’istituzione di un ufficio cantonale». Legge che ancora oggi viene applicata. «A quel punto mi sono candidato per uno dei posti di mediatore – ripercorre Demierre – e il 1° novembre 2004 abbiamo aperto l’ufficio. Da allora io e i miei colleghi abbiamo eseguito all’incirca 1’800 mediazioni con giovani».
Friborgo è l’unica realtà in Svizzera a disporre di un ufficio cantonale a tale scopo. Altrove, dove la pratica viene impiegata, i giudici dei minori si affidano a mediatori privati attraverso dei mandati. Ciò che talvolta può creare dei problemi, come testimonia Demierre: «Ci sono dei colleghi indipendenti che dopo aver condotto delle mediazioni che non sono andate a buon fine, come talvolta succede, non hanno più ricevuto dossier da parte dei giudici che si sono rivolti ad altri». Il modello friborghese, evidenzia il nostro interlocutore, nel 2010 è stato riconosciuto dal Consiglio d’Europa come “best practice” (buona pratica) per la giustizia adattata ai bambini. «Si tratta di una pratica ben rodata – considera Demierre –. Un mediatore indipendente può senza dubbio lavorare bene quanto noi o di più, ma la nostra forza è quella di essere un’istituzione, con una visibilità e una credibilità che sono fondamentali nel rapporto con le persone che sono passate prima dalla polizia e poi dal giudice. Solo il 5% di coloro a cui viene proposta tale pratica rifiuta». Secondo Demierre anche per i giudici è rassicurante avere un sistema uniformato, senza troppi oneri burocratici. L’ufficio friborghese impiega 1,7 unità lavorative: «Abbiamo una segretaria, dei locali in affitto a nostra disposizione, e riceviamo uno stipendio confortevole data la nostra buona formazione. Indicativamente il Cantone spende tra i 200 e 250mila franchi all’anno per questo servizio. Non sono pochi, ma di sicuro è un ottimo investimento. Purtroppo però nessun altro in Svizzera ci ha seguito».
A livello di casistiche, negli anni 2005-2018 l’ufficio si occupava in media tra gli 80 e i 90 casi di mediazione all’anno che corrispondono a circa 120-150 procedure; da sei anni a questa parte il numero di pratiche è un po’ diminuito e si situa intorno ai 60-75 casi l’anno. Specifica Demierre: «Il Tribunale dei minori apre una procedura per ogni autore di reato, per cui se tre giovani hanno compiuto insieme un furto con scasso, vengono fatte tre procedure separate. Se il caso passa a noi queste confluiscono in una sola mediazione con i tre minori e la vittima».
La diminuzione del numero di pratiche trasmesse, osserva Demierre, ha coinciso con una maggior complessità delle stesse e una maggiore necessità di tempo per trattarle, nonché con un cambiamento significativo nella tipologia di reati commessi dai giovani: «Un tempo i casi di furti con scasso erano più numerosi, dal 30% del totale sono passati al 15%. Ora che i giovani trascorrono gran parte del loro tempo sul telefonino si fanno più del male con quello. Per i reati contro l’onore e la dignità delle persone si è passati dal 5% al 20% visto che gli insulti si sono molto diffusi online. Anche i reati contro l’integrità sessuale sono cresciuti dal 5-7% al 10-12% e riguardano giovani di età sempre più bassa perché il primo approccio con la sessualità passa sempre più spesso dalla pornografia su Internet accessibile dai telefonini. Le lesioni corporali continuano comunque a essere alte e sono anche tra i casi che i giudici ci mandano di più. A caratterizzare i fascicoli che arrivano al nostro ufficio è anche il fatto che riguardano soprattutto giovani che commettono infrazioni per la prima volta e che non soffrono di gravi disagi».
I benefici della mediazione a giudizio di Demierre sono molteplici. «Innanzitutto viene data centralità alla vittima, che accompagniamo nel percorso, ciò che in tribunale non avviene. Ci sono numerose testimonianze di vittime che dicono di non essersi sentite rispettate nei processi, troppo tecnici e privi di una componente umana, talvolta definiti perfino orribili da vivere». Qualcuno di primo acchito potrebbe vedere la mediazione come una facile scappatoia per scampare a un processo: «Mi è già stato detto da persone che hanno subìto un danno: “Il comportamento di quel giovane mi ha messo paura, ha rovinato qualcosa a me caro, deve pagare e non lo voglio vedere”. In simili situazioni io rispondo: “Vede, questo il giudice non riuscirà a trasmetterlo al ragazzo, lei invece può farlo”. Ed è quello che spesso succede». Per Demierre la mediazione è particolarmente indicata per fatti che riguardano ad esempio giovani della stessa scuola e che pertanto continuano a vedersi nella quotidianità: «Se non hanno regolato la questione, la mediazione permette di approfondire le ragioni del conflitto, di sviscerare il problema».
In media tre mediazioni su quattro hanno successo, per cui al giudice ne torna indietro una su quattro di quelle inviate da riprendere. Quanto agli effetti sulla recidiva, vere e proprie statistiche in Svizzera non ci sono: «Servirebbero dei ricercatori – dichiara Demierre, esprimendo un auspicio –. Tuttavia sappiamo dalle analisi svolte negli Stati Uniti che la recidiva diminuisce in modo significativo grazie alla mediazione». Demierre evidenzia infine come questa procedura aumenti il sentimento di giustizia: «Qualche anno fa una studentessa iscritta al Cas (Certificato di studi avanzati) in mediazione in cui insegno ha comparato le dichiarazioni di persone che avevano seguito il percorso ordinario in tribunale e altre che invece erano passate dal nostro ufficio. Ebbene, le seconde percepivano un senso di giustizia molto più alto, erano più soddisfatte dell’iter e dall’esito della mediazione. In fondo si tratta di uno spazio di discussione e apprendimento che ha tra gli altri anche il pregio di cercare di aderire ai bisogni di ognuna delle persone prese a carico. E questo lenisce le ferite lavorando sulle relazioni per poter ripartire. Siamo nel cuore di una forma di umanità ritrovata nei rapporti personali». La giovane dell’episodio raccontato da Demierre non è ancora riuscita a scrivere all’anziano signore, ma nell’attesa di poterlo fare va a casa sua una volta al mese per dei piccoli lavori di pulizia: «Ha insistito lei».
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Si tratta di un tema approdato sui banchi della politica cantonale ticinese grazie a un’interrogazione della deputata del Centro Maddalena Ermotti-Lepori che chiedeva conto della situazione della mediazione penale minorile in Ticino. Risposta: dal 2011 al 2020 sono stati fatti 25 tentativi, di cui 6 riusciti. Ritenendoli dati troppo bassi, sempre Ermotti-Lepori con un gruppo interpartitico di altri granconsiglieri (Aldi, Gardenghi, Gendotti, D. Lepori, Noi, Pagani, Pugno Ghirlanda, Quadranti, Soldati) nel gennaio 2022 ha presentato una mozione con la richiesta al Consiglio di Stato di promuovere l’applicazione della mediazione penale nel settore minorile e di riflettere sulle modalità di promozione in generale della giustizia riparativa. Consiglio di Stato che nel relativo messaggio governativo – pur riconoscendo si tratti di uno strumento giuridico importante, una rilevante opportunità e una valida alternativa alla giustizia tradizionale – rileva come la promozione del tema non competa all’Esecutivo, bensì a istituti universitari o altri enti e associazioni, motivo per cui invita il Gran Consiglio a respingere la proposta. Il dossier è ora in attesa di essere trattato dalla Commissione parlamentare giustizia e diritti prima di approdare in parlamento.
«Al momento in Ticino la mediazione nell’ambito penale minorile non è usata in modo sistematico perché come condizione principale occorre esaminare se servono o meno delle misure di protezione e resta comunque importante per la magistratura che vi sia da parte di entrambe le parti l’adesione che non sempre è facile da ottenere in quanto manca una certa cultura al riguardo. Non vi è un ufficio ad hoc come quello di Friborgo, inoltre sono veramente pochi i mediatori specializzati nell’ambito penale rispetto a quelli in ambito civile». Così la magistrata dei minorenni ticinese Fabiola Gnesa – in carica da ottobre 2022 dopo aver preso il testimone da Reto Medici, ma attiva nel settore da 24 anni – spiega la ragione per cui negli ultimi anni non sia stata registrata alcuna mediazione penale minorile riuscita nel nostro cantone. Uno scenario non molto diverso da quello del decennio precedente al 2020 in cui il massimo di tentativi annuali è stato di 6, e i successi di 3. «Talvolta ci proviamo, in particolare per reati come l’ingiuria o le vie di fatto, ma anche trovare l’adesione delle parti per procedere in tal senso non è così scontato – considera Gnesa –. O forse non osiamo abbastanza in quanto ad esempio escludiamo a priori alcuni reati, in particolare i casi di abusi sessuali, che invece a Friborgo vengono trattati. Lì però hanno un’esperienza quasi trentennale».
Quella della magistrata dei minorenni non è tuttavia una posizione di contrarietà: «Anzi – afferma –, credo che la mediazione possa avere molti benefici. Nel diritto penale minorile in molte circostanze è utile che si intervenga prima della sanzione, e in questo senso spesso se ci sono i presupposti si tenta la conciliazione già a livello di polizia. La mediazione penale è un bene anche considerato che la vittima e l’accusatore privato nella procedura penale minorile attuale hanno un ruolo limitato in quanto non possono ad esempio interporre opposizione contro il tipo di sanzione e alla qualifica del reato (se magari si condanna per furto anziché per rapina) e non vengono citati al verbale di interrogatorio dell’imputato in quanto prevale una procedura scritta attraverso cui possono far valere certi diritti».
Uno spiraglio potrebbe però iniziare ad aprirsi: «A seguito degli atti parlamentari presentati è stato attivato un gruppo di lavoro che ha lo scopo di proporre una regolamentazione per l’esercizio della professione di mediatore ma anche per diffondere maggiormente questa cultura a tutti i livelli», rileva Gnesa. Un sistema come quello di Friborgo sicuramente non è dietro l’angolo in Ticino, mancano le basi, ma per la magistrata è un esempio interessante a cui guardare, «anche in ottica di alleggerire dei procedimenti a volte molto lunghi». Il primo passo? «Iniziare a sensibilizzare un po’ di più», dichiara.
La mediazione penale (minorile e non) è, come accennato, uno degli strumenti della giustizia riparativa, «un approccio pragmatico che intende la giustizia come cura del sentimento di ingiustizia e si pone in modo complementare rispetto alle categorie dogmatiche della giustizia ordinaria. Possiamo raffigurarci questa complementarietà pensando a un’operazione chirurgica: accanto alla giustizia che giudica e taglia con la spada, occorre la giustizia che cura e ripara». A proporre tale similitudine è Bruno Balestra, membro dell’associazione rJustice, sezione ticinese dello Swiss RJ Forum (dove RJ sta per “restorative justice”), mediatore penale, avvocato, già procuratore pubblico nonché procuratore generale del Canton Ticino dal 2002 al 2010. Il Consiglio d’Europa definisce giustizia riparativa “ogni processo che consente alle persone che subiscono pregiudizio a seguito di un reato e a quelle responsabili di tale pregiudizio, se vi acconsentono liberamente, di partecipare attivamente alla risoluzione delle questioni derivanti dall’illecito, attraverso l’aiuto di un soggetto terzo imparziale”.
A questo approccio Balestra si è avvicinato perché, «dopo molti anni di lavoro sia come difensore che come accusatore, provavo una insoddisfazione rispetto al senso di giustizia, mi mancava qualcosa». Dismessi i panni da pg la sua ricerca è continuata oltreconfine: «Studiando e lavorando in Italia per esplorare le nostre capacità di scelte responsabili, una fortunata sequela di coincidenze mi ha permesso di conoscere alcuni fra i maggiori esperti di giustizia riparativa. Mi sono innamorato di questa prospettiva e mi sono abilitato come mediatore penale potendone fare esperienza grazie alla maggior diffusione e sensibilità a questi approcci rispetto alle nostre latitudini». La giustizia riparativa è infatti molto più diffusa in alcuni Paesi europei che non nella Confederazione (dove ci sono solo dei frammenti) in quanto promossa da direttive dell’Unione europea. «A dare delle raccomandazioni in tal senso sono tuttavia anche il Consiglio d’Europa e l’Onu – indica Balestra –. Siamo però un Paese molto prudente nell’adottare dei cambiamenti. Oltre a ciò, un’idea di libertà e indipendenza, a volte sopravvalutata, ci rende più difficile accogliere l’esempio di altri».
Tra le funzioni di primo piano della giustizia riparativa vi è quella di lavorare sul bisogno di riabilitazione delle parti coinvolte per tornare nella società. Balestra insiste sull’importanza che questo avvenga non solo per l’autore: «Chi ha subìto un crimine deve essere aiutato a uscire dal sentimento di essere vittima, a guardarsi e a essere visto in altro modo per riprendere attività e ruolo sociale. Ciò non può e non deve dipendere dall’esito del procedimento penale, il quale riguarda il rapporto fra lo Stato e il reo che ne ha violato le regole, e in cui la vittima non è che un mezzo di prova». È necessario che quando quest’ultima lo desidera, «col giusto accompagnamento per evitare vittimizzazioni secondarie – sottolinea l’ex pg –, abbia la possibilità di incontrare l’unica persona che può rispondere alle domande che sempre assillano le vittime: perché? Perché a me? Come potevo evitarlo? Guardandola negli occhi e riconoscendone la sofferenza, l’autore restituisce dignità di persona alla vittima e a sé stesso, e la vittima può cessare di vederlo come un mostro disumano. Al contempo in questi faccia a faccia l’autore si rende molto meglio conto del male commesso che non attraverso le parole di rimprovero di un giudice o di un procuratore pubblico. Lo confermano i dati di diminuzione della recidiva».
La giustizia riparativa non può cancellare i fatti e la sofferenza subiti, «ma nel lavorare sul sentimento di ingiustizia – attingendo in modo transdisciplinare a competenze e conoscenze derivate da criminologia, diritto, scienze sociali, vittimologia, medicina, neuroscienze, psicologia, elenca Balestra – può perlomeno placare paura e rabbia, che sono fasi in cui si cristallizza la sofferenza alimentando depressione, odio e vendetta spesso all’origine di altre sofferenze. È una cultura volta a curare le relazioni che legano anche la maggior parte di coloro che sono coinvolti in reati, e di riflesso a curare le persone».
In modo «provocatorio ma vero», riprende Balestra, si può dire che «per sua natura la giustizia penale dà priorità alla condanna piuttosto che all’accertamento della verità. Con questo non intendo dire che la giustizia penale crei false verità per condannare, ma evidenziare – come mostrano il legittimo principio “in dubio pro reo”, per cui nel dubbio l’accusato viene assolto, e il diritto di tacere e mentire concesso all’imputato – che come perno di questo sistema di giustizia ci sia la condanna e non, appunto, la ricerca della verità. Non a caso parliamo di giustizia penale basata sulla pena vuoi come vendetta vuoi come punizione rieducativa». Inoltre, «se lo sguardo della giustizia che soppesa, taglia e giudica è necessariamente rivolto al passato – dice Balestra – quello della giustizia riparativa per curare e infondere speranza e fiducia guarda al futuro. Anche in questo le due prospettive sono necessarie e complementari».
Tra i punti di forza della giustizia riparativa vi è pure la sua applicabilità anche qualora l’autore del reato venga a mancare o non si trovi, o ancora quando una delle parti non vuole partecipare. Si può organizzare l’incontro dell’autore con altre persone che hanno subìto reati analoghi a quelli da lui commessi o della vittima con altri autori che hanno commesso reati simili a quelli da lei subiti. Gli incontri possono altresì avvenire in gruppo coinvolgendo più persone.
L’associazione rJustice è attiva con eventi rivolti al pubblico, ma anche con progetti mirati per autori e vittime coinvolgendo pure persone che si trovano a lavorare con loro. Per promuovere questa cultura nei diversi ambiti è iniziata una collaborazione con l’Università della Svizzera italiana, la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana e la Scuola universitaria federale per la formazione professionale. Si parla di diversi ambiti in quanto, occupandosi di curare le relazioni, la giustizia riparativa «non si riduce alle fattispecie del diritto penale, riguarda pure il diritto privato e amministrativo che già contemplano pratiche di mediazione, ed esce anche dalle categorie del diritto per promuovere una cultura che non nega il conflitto, bensì cura la capacità di stare in relazione fra persone diverse – specifica Balestra –. Una cultura che privilegia quindi la libertà e il riconoscimento dell’originalità di ognuno, che sono oggi più che mai una risposta a una certa crisi dei valori e dei diritti, e della stessa democrazia che li ha generati».
Questa sera al Cinema Lux di Massagno alle 19.30 rJustice e Usi propongono la proiezione del film-documentario ‘Les cornes de la vache’ e la presentazione del progetto Atena. La pellicola mostra come il recupero della giustizia tradizionale e riparativa permetta alle comunità di villaggio ruandesi di affrontare i conflitti, anche di violenza domestica. Segue un dibattito con Bruno Balestra e Salomé Van Billoen, criminologa e mediatrice.