Buona parte della politica fraintende l’avversione all’austeritarismo e preferisce portare avanti il rigorismo sulla spesa e il lassismo sulle entrate
Per fortuna c’è sempre un Bielsa per ogni cosa: “Il successo è un’eccezione. Gli esseri umani qualche volta trionfano, ma di solito progrediscono, combattono, lottano e, di tanto in tanto, vincono. Ma solamente di tanto in tanto”, rispose quando qualcuno gli rimproverò il fatto di non aver ottenuto grandi vittorie nella sua carriera da allenatore.
Ora, potrà sembrare un salto logico un po’ lungo, ma se provassimo a estrapolare quella frase dall’ambito strettamente calcistico per inserirla nel contesto dell’attuale dibattito sulla gestione delle finanze cantonali, e più in generale sul ruolo delle politiche pubbliche quali interventi tesi a regolare e/o ad accompagnare le varie fasi dei cicli economici, ne potremmo ricavare qualche riflessione piuttosto interessante.
Prima di tutto, una constatazione: nessuna economia cresce in maniera ininterrotta, anzi. Ogni periodo di crescita contiene già, sin dall’inizio, le premesse che porteranno prima o poi all’esaurimento della fase di espansione. La contrazione dell’attività invece costituisce a sua volta il momento che determina le condizioni per una futura ripresa (agli appassionati di economia politica ci si permetta di suggerire uno sguardo alla teoria sulle ‘onde lunghe’ di Nikolai Kondratiev ed Ernest Mandel). Il Ticino, in effetti, non è estraneo a queste dinamiche. Ciò che caratterizza il nostro Cantone (ma non solo) è l’incapacità di riconoscere allo Stato un ruolo economico definito all’interno del ciclo, in particolare di concedergli la possibilità di attenuare gli effetti negativi sull’intero tessuto sociale nei momenti di difficoltà, attraverso politiche mirate.
C’è infatti chi fraintende l’avversione all’austeritarismo e la definisce un’irresponsabile propensione a vivere al di sopra dei propri mezzi: “Il debito di oggi saranno le tasse di domani”, è la proposizione preferita di una buona parte della classe politica locale. Falsa. Il debito può, a determinate condizioni, essere uno strumento funzionale al rilancio. Lo sanno bene gli imprenditori, e vale ancora di più per lo Stato.
Che poi quest’ultimo non spenda in maniera efficiente tutte le sue risorse è assai probabile: ed è proprio per questo che il Gran Consiglio all’inizio di quest’anno approvò un mandato di revisione della spesa da affidare a un ente esterno. Un vecchio cavallo di battaglia del Centro (dai tempi in cui si faceva chiamare Ppd), dal quale però il suo ‘homo oeconomicus’ in Gestione pare essersi dimenticato al momento di sottoscrivere il rapporto di maggioranza concernente il Preventivo 2025. Quel rapporto che appesantisce i tagli proposti dal governo, andando a colpire tra le altre cose la pedagogia speciale e il “tabù” degli investimenti. Un eccesso di zelo commissionale – piuttosto scontato da parte della Lega e dei liberali, un po’ meno dai democristiani – che rischia di compromettere il già fragile consenso attorno al documento finanziario del Cantone. Sarà che la lontananza da appuntamenti elettorali di rilievo fa in modo che la linea economica del Centro torni a essere dettata – senza interferenze – “dal Fabio e dal Pippo”, mentre i vari Fonio e Isabella si intrattengono con qualche battaglia sindacale periferica? Chi lo sa.
Fatto sta che la politica è fatta anche di numeri e ad oggi la ragionevolezza finanziaria gioca con qualche uomo in meno rispetto all’ambigua accoppiata composta da rigorismo sulla spesa e lassismo sulle entrate; ambiguità (o ipocrisia) che ci allontana sempre di più da un ipotetico ed eccezionale successo, economico e sociale.