La centenaria alluvione di fine giugno ha riposizionato i paletti. Nel 2024 del Locarnese anche Pini sindaco e il pasticcio elettorale ad Ascona
Rientrando a casa, trovare la porta scardinata. E, dentro, la devastazione: cassetti svuotati, mobilio distrutto, calpestati gli oggetti cari, violentata la privacy, derubato d’armonia il contesto in cui riconosciamo passato e presente e possiamo immaginare il futuro.
Devono aver vissuto qualcosa di simile gli abitanti di Cevio, della Lavizzara e della Bavona, la mattina del 30 giugno 2024, aprendosi al loro mondo dopo l’alluvione della notte appena trascorsa. Non riconoscere il territorio in cui si vive e ritrovarsi senza più punti di riferimento annulla le certezze, determina e alimenta le angosce e trasfigura quanto di più essenziale c’è in ognuno di noi: la propria identità. Che nel caso specifico racchiude la forza delle specificità periferiche e, insieme, tutte le fragilità che le rendono esse stesse uniche e fondamentali.
Le infrastrutture, nelle valli più che altrove, sono innanzitutto simboli. In Alta Vallemaggia il ponte di Visletto, che collega, unisce e convoglia ricchezza e progettualità; il Centro sportivo Lavizzara, che a Prato Sornico, a 40 chilometri da Locarno, offre importanti opportunità sportive, sociali e aggregative tenute assieme da volontariato e resilienza; le vie di collegamento, che trasmettono vita ed energia; e i pascoli, con le aziende agricole, che grazie alla tradizione generano economia sostenibile. Molto è stato spazzato via, come le sette vite cancellate in una notte, cui si aggiungono lo strazio di una famiglia che ancora non può elaborare un lutto e le molte ferite invisibili ma dolorose. Straordinarie sono sia la reazione, sia la prova più importante che la comunità si ritrova ad affrontare: convivere con le Cassandre dell’abbandono e ritrovare – sapendolo rinnovare e insieme rafforzare – il senso di essere periferia.
Del 2024 locarnese ricorderemo anche il cambio della guardia a Palazzo Marcacci. Confermando il secolare filone liberale radicale, la Città ha salutato il suo sindaco Alain Scherrer e deciso di concedere fiducia a Nicola Pini, ancor giovane esponente di una politica dell’impegno che nei prossimi 8 anni metterà in cantiere opere per 270 milioni di franchi, completamente trasformando, fra l’altro, gli spazi pubblici del centro urbano. E ugualmente in profonda trasformazione è il Festival del film, principale simbolo di Locarno nel mondo. L’auspicio è che l’era Hoffmann sia nel segno del progresso, e non solo dello sviluppo. Alcune avvisaglie sono, purtroppo, tutt’altro che incoraggianti, ma alla nuova presidente va concessa l’evidenza che empatia e capacità non per forza si accompagnano. Devono invece farlo, per il bene della rassegna e del contesto che la ospita e ne beneficia, identità, memoria e soprattutto rispetto.
Rispetto che è proprio, infine, la parola emergente dal 2024 di Ascona. Ad aprile non c’era stato quello delle regole in occasione delle elezioni comunali, dove un utilizzo disinvolto del tritacarte mantiene sub iudice, 8 mesi dopo, l’esito della tornata. Poi, è storia recente, v’è stata la clamorosa bocciatura vescovile del nome di Boas Erez, professore laico, convertito e di sinistra, per il Rettorato di un Collegio Papio in cerca di rilancio: sul rispetto per il pragmatico e per certi versi coraggioso slancio progressista di un Consiglio di fondazione che chiedeva ascolto ha prevalso quello nei confronti di un tradizionalismo clericale apparso anacronistico, almeno considerando la posta in gioco.