Non è rabbia, anche se credo che possa essere istintiva.
Non è neppure tristezza, per la necessità di strumentalizzare qualsiasi cosa.
L’agenda scolastica, diventata il casus belli nostrano delle “culture wars” tanto care alla destra di oltre oceano, è sulla bocca di parecchi.
Credo che la mia sia purtroppo, e me ne rendo conto, una sana invidia.
Cresciuto e istruito oltre confine, da un sistema scolastico sempre in difficoltà, ma estremamente esigente e valido, che mi ha formato a dovere per arrivare con successo fino a quarant’anni, non posso che invidiare ciò che il cantone produca per gli alunni ogni anno: un diario.
Da noi c’era la mitica Smemoranda, abbandonata in seconda superiore perché “caxyzo... è più punk” (ho passato l’adolescenza a cavallo tra i 90 e i 2000) scrivere i compiti su un quaderno o non scriverli affatto.
E qui invece, oltre che a dare un bel supporto agli studenti per imparare a organizzarsi, si prova pure a spiegare loro che alcune situazioni sono più profonde e complesse di quanto tanti di noi siano abituati a interpretarle, riguardino esse il genere, la sessualità o il razzismo.
E mostrare sin dalle scuole dell’obbligo che qualcosa può essere diverso da come abbiamo sempre concepito il mondo, o ce lo hanno spiegato, può servire a creare una società futura dove gente della mia età non perda del tempo a indignarsi per situazioni che non riesce a capire e quindi non vuole accettare, ma che sia più gentile e propensa a garantire accoglienza e fornire una opportunità a chi ne desidera una.
Accidenti, a pensarci bene, che responsabilità civile e politica per una semplice agenda...
Fortunatamente alla destra delle nostre latitudini il made in Italy – anzi, la vicina Repubblica – non piace, la Smemoranda non avrà possibilità e magari l’agenda e i suoi buoni propositi sì.