Nonostante la nostra sia un’epoca di crescente smemoratezza, è davvero difficile dimenticare quanto si è consumato, nei fatti e nelle parole, fra i banchi del nostro parlamento in occasione del dibattito sull’abrogazione della tassa di collegamento. Quel che è avvenuto lunedì scorso, riportato ampiamente dai media e commentato opportunamente in questa sede da Daniel Ritzer, ci dice di un indecente degrado dei rapporti istituzionali, dell’incandescente conflitto fra esecutivo e legislativo dentro un contesto mefitico in cui, in Gran Consiglio, ogni partito di governo si mostra nella veste di “oppositore”, anche dei suoi stessi rappresentanti.
Quel che viene comunemente definito “dibattito” parlamentare diventa così una sorta di teatrino in cui le parti possono anche cambiare secondo necessità o opportunità, l’obiettivo è trovare occasionali alleanze (tendenzialmente piegate a destra) e i protagonisti diventano autori (o lettori) di interventi di circostanza, magari farciti con qualche dotta citazione, che più è dotta e più è “apoditticamente” goffa e inutile. Ma il “dibattito”, appunto, dovrebbe essere un’altra cosa, dovrebbe implicare un confronto da cui sia possibile ricavare idee, progetti, prospettive (visioni pare troppo) nella discussione aperta fra rappresentanti della collettività democraticamente eletti per prendere, se possibile, ponderate decisioni a favore del bene pubblico. Ma come è mai possibile immaginare che questo avvenga quando palesemente, lì alle Orsoline, pare che nessuno si parli e (si) ascolti? Quando si constata sempre più che lì dentro è tutto un far la voce grossa e poco più, in barba alle voci che dalla piazza pongono domande cruciali, inascoltate.
Intorno al tema della tassa di collegamento si sono succeduti numerosi interventi più o meno strumentali, disarticolati, frutto di lotte interne a partiti e schieramenti, che hanno portato al “gran finale” della replica del consigliere di Stato Claudio Zali, in stato di evidente fibrillazione. Certo, sappiamo tutti che non è politicamente il suo momento più facile e sereno, e sappiamo che tendenzialmente, appena può, si astiene dal parlare (esigendo magari che certa stampa faccia la stessa cosa), oppure prende la parola di malavoglia, come borbottando fra sé e sé, con fastidio esplicito verso chi lo circonda. Se poi intorno o davanti a sé si ritrova (anche fra i banchi dei suoi alleati) più nemici che amici, apriti cielo, giù con gli improperi, con le accuse di sostenere falsità, di raccontare frescacce, di contraddire il principio della sovranità popolare (abolendo una tassa formalmente non entrata in vigore, ma approvata in votazione); il tutto, ha detto ancora Zali, per contrastare in ogni modo la sua “tassa del fallo” (che forse è una citazione che deve al suo ex collega Ermani), così, tanto per toccarla piano. In realtà esisterebbe una logica, che darebbe pure ragione a Zali nel sostenere che si doveva andare al voto popolare. Ma quello che il direttore del Dt ha mostrato è tutta la debolezza di un governo che non sa che pesci pigliare se non quelli che gli rifila in faccia il parlamento. Un dramma (in senso teatrale) che va in scena soprattutto a destra, in una battaglia tra “fratelli coltelli” che sta mettendo all’angolo la Lega e soprattutto Zali, a favore di chi da tempo, di decreto in decreto, punta direttamente, attraverso una presunta opposizione di facciata, a occupare finalmente qualche scranno governativo. Tutto il resto sembra contare poco (a cominciare dall’imbarazzata sinistra di governo che neanche la trasparenza dei finanziamenti ai partiti riesce a portare a casa).
Fra istituzioni, schieramenti, partiti, e dentro i partiti stessi, andrebbe forse istituito un “tasso di collegamento” che induca chi ci rappresenta politicamente a smetterla al più presto con gli esercizi di autoreferenzialità e mettersi seriamente a pensare alle prossime generazioni più che alle prossime elezioni. Insomma, una quota di disponibilità e competenza che consideri importante essere in ascolto (dei propri colleghi come degli altri, soprattutto gli elettori) in nome di una coerenza e una chiarezza di progetti e obiettivi. In un contesto tanto scollegato fra poteri (non parliamo del terzo e men che meno dei rapporti con il quarto, quello dei media), di prospettive non se ne scorgono. Per ora siamo ben sotto il tasso zero degli interessi per la grande maggioranza della popolazione.