Siamo arrivati al punto di non ritorno in cui è necessario trovare delle formule e delle motivazioni per far sì che le aziende preferiscano gli esseri umani ai robot. Se qualche anno fa sembrava fantascienza, ora la sostituzione della manodopera umana con macchine è e sarà sempre più spesso realtà.
Al di là dell’etica, si impone una riflessione relativa al costo sociale che scelte del genere potranno avere su una società strutturata come quella svizzera. Non solamente si potrebbe riscontrare un aumento della disoccupazione, ma si rischia seriamente di trovarsi con delle importanti mancanze anche dal punto di vista dei contributi sociali. Infatti, i robot non li pagano, come avviene invece con una persona che ha un lavoro, la quale va a sostenere indirettamente pensionati, invalidi e disoccupati. Se nessuno più lavora, perché sostituito da una macchina, chi pagherà affinché lo Stato mantenga chi non ha più un posto?
Una azienda, investendo su un robot, spende una cifra iniziale, ammortata in diversi anni: un costo decisamente più sostenibile di quello richiesto dalla formazione e dall’assunzione di una persona. Va da sé che potrebbe diventare sempre più conveniente, con la tecnologia che avanza, affidare crescenti funzioni a robot, macchine, software e intelligenza artificiale. L’uomo potrebbe divenire quasi superfluo, un mero consumatore, finché potrà permetterselo, di beni e servizi prodotti dai robot.
È necessario sapere a che punto siamo in Ticino e intervenire prima che sia troppo tardi e che il sistema sociale non sia più sostenibile. Quanti sono, oggi, i robot meccanici e semi-intelligenti impiegati? Quanti posti di lavoro sono stati rimpiazzati dai robot e applicazioni dell’AI e quanti lo saranno in futuro e in che settori?
Un possibile intervento è quello di prevedere un contributo sociale da parte degli imprenditori per ogni robot impiegato, in base al prezzo di acquisto senza ammortamento, non una tassa, ma un finanziamento per pensioni e rendite di disoccupazione e di invalidità.
Renderebbe meno attraente il mercato ticinese, ma ci si deve anche chiedere se veramente vogliamo sul nostro territorio aziende che preferiscano le macchine alla manodopera. Si possono trovare delle formule che non compromettano le condizioni fiscali e generali del mercato del lavoro. E se decidessero di andarsene, a lungo andare potrebbe non essere un danno, anzi.
Si tratta, però, di muoversi in fretta. La tecnologia e l’evoluzione, se così si può chiamare, non aspettano.