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Tra Regazzi e Farinelli visione simile, ma strade diverse

Secondo e ultimo dibattito de ‘laRegione’ in vista del ballottaggio per gli Stati: al centro canone Rsi, migrazione, costi della salute, Avs e Gottardo

In soffitta
(Ti-Press)
13 novembre 2023
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Regazzi, perché lei personalmente e l’Unione svizzera delle arti e mestieri che presiede non siete soddisfatti della revisione dell’Ordinanza sulla radiotelevisione che propone di abbassare il canone a 300 franchi e porta altre 63mila aziende a non pagarlo arrivando così all’80% delle stesse? Non è stato fatto abbastanza?

Regazzi: Innanzitutto è apprezzabile che il Consiglio federale abbia fatto lo sforzo di andare incontro alle richieste dell’iniziativa che abbiamo sottoscritto, ma per quello che riguarda le aziende sono deluso: è una proposta più cosmetica che di sostanza. Passare da 500mila franchi di fatturato a 1,2 milioni non risolve il problema. Perché il canone a carico delle ditte è una forzatura, un doppione: le persone che lavorano in un’azienda già lo pagano, non si capisce perché le aziende in quanto tali debbano pagare questo balzello. Noi come Usam avevamo proposto, con una mia iniziativa parlamentare, di esentare tutte le Piccole e medie imprese, che hanno fino a 250 collaboratori. La cifra d’affari è il peggior criterio da considerare, non dice niente: ci sono casi dove si ha un fatturato molto alto ma pochissimo margine, ad esempio.

D’accordo, ma parlando proprio di aziende non teme che ci sia un calo dell’indotto economico che comunque la Ssr garantisce?

Regazzi: Con questa proposta non si azzerano né la Ssr né la Rsi. L’iniziativa popolare è piuttosto aggressiva, con un impatto importante, ma c’è comunque, nel caso venisse approvata, la possibilità di adeguare alla nuova situazione i programmi o restringere l’offerta dell’online. Anche se spero si arriverà a un compromesso tra lo status quo e l’iniziativa, in modo da evitare un contraccolpo così duro. Ma parlare di messa in pericolo della democrazia, come ha fatto il direttore della Ssr Marchand, mi sembra fuori luogo.

Farinelli, lei invece come valuta questa proposta? E come commenta la presa di posizione dell’Associazione degli editori che denuncia la concorrenza sleale della Ssr sull’online? Serve anche rivedere il mandato del servizio pubblico?

Farinelli: Sarebbe molto sbagliato iniziare a chiedersi che servizio pubblico vogliamo utilizzando come casella di partenza il fatto che c’è un’iniziativa che chiede di dimezzare i mezzi a disposizione, così si stravolge il modo di ragionare. E il fatto che il Consiglio federale sia uscito con questo progetto non è istituzionalmente corretto: c’è un’iniziativa popolare, che dovrà essere discussa in parlamento, che non si limita a piccoli correttivi ma vuole sovvertire un sistema che è uno dei pilastri del federalismo, del rispetto delle minoranze culturali e linguistiche e della pari dignità delle regioni. Deve essere il parlamento a discutere di un controprogetto, perché è qui che le sensibilità devono essere rappresentate. In particolare al Consiglio degli Stati, dove i Cantoni hanno lo stesso peso. Questa proposta del Consiglio federale messa in consultazione, comunque, non va sottovalutata. Si parla di 200 milioni in meno, e utilizzando la chiave di riparto attuale una trentina potrebbero essere nella sola Svizzera italiana. Qui si apre un grosso problema, e bisognerà mettere sul tavolo con molta chiarezza che qualsiasi revisione si debba fare – e sul risolvere la questione delle aziende posso essere d’accordo – questa non avvenga sulle spalle delle minoranze. Non è solo una questione economica, per quanto importante. Nessuno può sacrificare la pari dignità delle regioni del Paese.

Regazzi: Se ci saranno meno risorse tutti dovranno fare la loro parte, ma l’iniziativa prevede che anche con meno risorse le stesse verranno ripartite secondo la chiave di riparto attuale. Pur con meno soldi, il principio di non penalizzare le regioni periferiche c’è. Capisco il ragionamento di Farinelli, ma bisogna riconoscere che senza l’iniziativa ‘200 franchi bastano!’ non ci sarebbe stato un vero dibattito su ruolo e mandato dell’Srg Ssr. La mossa del Consiglio federale, benché lecita dal profilo istituzionale, è discutibile. Il tentativo di spaccare il fronte degli iniziativisti non sembra abbia avuto effetto. Ma mi concentrerei su un altro tema importante: non si può ignorare che un quarto delle firme, oltre 30mila, vengono dal Ticino. Le firme sono una cosa e il voto un’altra, certo, ma da un cantone che, si sostiene, sarebbe maggiormente penalizzato è un segnale che vuol dire qualcosa. Forse le cose non stanno davvero come si crede, e un certo disagio sull’ente stesso, su come viene gestito, sui programmi, sulla linea politica dell’emittente non è così fuori luogo.

Farinelli: Quando a una persona viene proposto di firmare un’iniziativa può farlo per mille motivi, non solo perché è già convinta di votare in una determinata maniera. 30mila firme sono tante? Sono poche? In Ticino gli aventi diritto al voto sono oltre 200mila… E attenzione, però. Gli italofoni in Svizzera non sono solo in Ticino, ma anche nelle valli del Grigioni italiano e coloro che risiedono oltralpe. Noi ticinesi siamo depositari dell’italianità e dobbiamo farci carico del nostro ruolo che va oltre i confini cantonali. Ci dicono che guarderemo i canali italiani, o francesi o Netflix? No, qui c’è l’italofonia in ballo. È inutile che a ogni sessione a Berna si discuta dell’importanza dell’italofonia e poi quando arriva un tema centrale come il servizio pubblico radiotelevisivo si sia così remissivi.


Ti-Press
Dibattito pacato

Passiamo alla migrazione. Regazzi, lei vivrebbe a Chiasso?

Regazzi: Non ci vivrei perché sono troppo legato al posto dove sono nato, cresciuto e in cui vivo e che non cambierei per nessun luogo al mondo. Detto questo, e rispondendo alla vostra domanda, la situazione di disagio che si sta vivendo nel Mendrisiotto non va sottovalutata. Noi, come Deputazione, abbiamo ricevuto parecchie sollecitazioni dalle autorità locali, che si sono fatte interpreti del malessere che viene dal basso, e ci siamo fatti carico di questo tema in un incontro con la consigliera federale Baume-Schneider. Mettendo un po’ di pressione su di lei e sui suoi servizi. Il suo arrivo a Chiasso è stato tardivo, avrebbe dovuto muoversi prima perché i segnali erano chiari da tempo. In una visita non si risolvono tutti i problemi, la situazione è tesa e complessa: servono provvedimenti per attenuare questo disagio, questo malessere e questo abbandono percepito.

L’Udc però lamenta a piè sospinto che tutte le sue proposte per risolvere la situazione voi le avete bocciate in toto.

Farinelli: Ma possiamo dire una buona volta di che proposte si parla? O erano irrealizzabili, o non avrebbero risolto niente. Ad esempio, chiedevano di uscire dal Trattato di Dublino. Allora, che non funzioni bene siamo d’accordo. Ma cosa vorrebbe dire uscirne? Ricordiamo una regola importante del Trattato, che l’Udc si dimentica sempre di citare: una volta che una persona viene respinta, non può fare domanda di asilo in un altro Paese di Dublino. Diventeremmo, di conseguenza, il secondo approdo delle centinaia di migliaia di persone che vengono respinte da ogni Paese europeo, se uscissimo da Dublino, e non è nell’interesse di nessuno. Quella dell’Udc è propaganda, ogni volta rivangano queste proposte che, ripeto, non portano a niente.

Regazzi: Concordo con Farinelli, si trattava di proposte molto estreme o inapplicabili, messe sul tavolo con il solo scopo di farsele respingere per giustificare così la propria azione politica. È discutibile, anche se non sta a me giudicare. A problemi complessi, però, non esistono mai soluzioni semplici. Quelle dell’Udc sono semplificazioni controproducenti, uscire da Dublino sarebbe un autogol clamoroso.

E quindi che fare? Il sindaco di Chiasso Arrigoni ha detto che manca solidarietà tra cantoni ma anche tra comuni. Farinelli, provochiamo sapendo di provocare: lei accoglierebbe 50 migranti a Comano, paese di cui è sindaco?

Farinelli: Il Cantone ha la responsabilità della gestione dei migranti, dotandosi di strutture per rispondere alle loro esigenze e per evitare che dove il problema si presenta questo problema rimanga. Il Cantone può fare di più, non solo con le riallocazioni ma anche per esempio facendo partecipare maggiormente i richiedenti asilo al mondo professionale. Non va sottovalutato, chi non ha niente da fare da mattina a sera tende a essere più problematico. Si terrebbero occupate queste persone e in più, integrandole, si aumenterebbe il senso di accettazione da parte di chi oggi si preoccupa: vedrebbero qualcuno che si dà da fare. Il vero problema di Chiasso, comunque, sono i richiedenti in transito. Ed è la Confederazione che decide dove sistemarli, approntando dei centri. Torniamo all’Udc: nel mese di giugno ha combattuto ferocemente la proposta di creare, in tre aeroporti militari, dei villaggi prefabbricati che avrebbero messo a disposizione circa 3mila posti sotto competenza federale. Il parlamento, su pressione dell’Udc, si è opposto ed è stato un errore. Ci fossero stati questi 3mila posti in più, ora a Chiasso non ci sarebbe alcun problema.


Ti-Press
Alex Farinelli

Farinelli, sostiene l’iniziativa federale del Centro “Per un freno ai costi della salute”?

Farinelli: No. L’iniziativa per come è strutturata presenta due problemi principali. Il primo: si vuole introdurre un tetto di spesa. Questo vuol dire che se un anno ci si dovesse avvicinare a questa soglia si entrerebbe quasi in una logica di razionamento delle cure. Questo è sbagliato. Il secondo: si lega il tetto di spesa alla crescita dei salari. Un ragionamento che va bene in un periodo di progressione economica, dove gli stipendi salgono e si può spendere di più. È invece un problema in fasi di ristrettezza finanziaria, dove i salari scendono ma le necessità generalmente aumentano. È però giusto il ragionamento che porta l’iniziativa, ovvero che il nocciolo della questione sono i costi del sistema sanitario.

Regazzi: Ogni iniziativa contiene qualche aspetto critico, che può essere corretto una volta che si elabora la sua applicazione pratica. Il problema è che se non abbiamo il coraggio di affrontare il tema dei costi, e questa iniziativa lo fa in modo chiaro, continueremo ogni anno a lamentarci inutilmente.

Il problema centrale, come detto, è l’esplosione dei costi. Parliamo di possibili misure concrete: perché non chiudere gli ospedali nelle zone periferiche, ad esempio quello di Faido, e centralizzare le cure in poche strutture?

Regazzi: La situazione è un po’ schizofrenica. Da un lato tutti ci lamentiamo giustamente dell’esplosione dei premi, dall’altro ogni volta che si propongono misure che vanno a incidere sui costi c’è subito un’insurrezione delle varie cerchie interessate (popolazione, lobby farmaceutiche, ordine dei medici). So che togliere a una regione periferica un ospedale vuol dire incidere nella carne viva di una comunità. Siamo quindi di fronte a un dilemma: dover ridurre i costi e gestire le reazioni di chi viene toccato dalle misure. Una soluzione semplice non c’è, ma penso che dobbiamo metterci un corsetto, come fatto anche con le finanze federali.

Farinelli: Si può parlare di centralizzazione. Bisogna però spiegare il perché si va in questa direzione. Ovvero per garantire, oltre al risparmio, la qualità delle cure. In Ticino voler centralizzare certi servizi è un discorso che parte primariamente da qui. Già oggi sappiamo che certe prestazioni non possono essere erogate sul nostro territorio perché manca una massa critica. Se poi si vorrà arrivare ad avere un ospedale universitario deve essere chiaro che tutta la medicina di punta dovrà essere concentrata lì. Altro esempio molto discusso negli ultimi tempi: la maternità all’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio. Bisogna avere il coraggio di dire che la qualità garantita in questo settore oggi a Mendrisio non può essere la medesima di quella garantita a Lugano. Lo affermano gli specialisti: partorire a Lugano è più sicuro perché il numero di parti eseguiti lì è molto maggiore e quindi c’è più esperienza per affrontare eventuali complicazioni. La domanda da farsi è: quanto siamo disposti a sacrificare della qualità per favorire la prossimità? In prospettiva futura bisognerà chiedersi se tutti gli ospedali che ci sono nei centri urbani devono fare tutto quello che fanno oggi. E la risposta probabilmente è no, bisognerà concentrare nell’interesse della qualità.


Ti-Press
Ballottaggio nel mirino

Siamo in un periodo di rincari, tra bollette dell’elettricità che aumentano e costi della salute che esplodono. Farinelli, lei ha votato no a un adeguamento dell’Avs. Perché?

Farinelli: La Legge prevede che ogni due anni ci sia un adeguamento delle rendite Avs in base a un indice misto composto da salari e inflazione. Le stesse regole decise dal parlamento dicono che si procede con un adeguamento, anche se non previsto, nel caso in cui ci sia un aumento di questo indice superiore al 3%. Nel 2023 c’è stato un adeguamento, secondo questa regola, del 2,5%. Qualcuno si è però inventato che siccome l’inflazione era al 2,8 bisognava riconoscere un ulteriore 0,3%. Ecco, io mi sono opposto a questo. Non c’era motivo di ‘strapazzare’ una regola che stabilisce un indice misto e un adeguamento straordinario solo in certi casi. Faccio inoltre notare che se si fosse adottato sempre e solo l’inflazione come parametro avremmo delle rendite inferiori del 7 per cento a quelle attuali. Va poi detto che l’Avs è un sistema che garantisce una rendita a tutti, anche a chi non ne ha bisogno. Sarebbe quindi più utile andare a rivedere gli adeguamenti delle prestazioni complementari, che si rivolgono proprio a chi ha più bisogno.

Regazzi, tra le varie proposte sul tavolo della politica per risolvere la stabilità del sistema previdenziale c’è l’innalzamento dell’età pensionistica, da legare secondo i Giovani liberali all’aspettativa di vita. Cosa ne pensa?

Regazzi: Dal profilo materiale è un’iniziativa che avrebbe senso. Dal profilo politico credo che sia un suicidio. Mi sembra una forzatura. Capisco l’esigenza di fare qualcosa, ma allo stesso tempo bisogna guardare in faccia la realtà. Andare ad affrontare una votazione di questo tipo, viste anche le difficoltà avute in passato per far passare dei cambiamenti in questo ambito, rischia di pregiudicare gli sforzi che andranno comunque fatti per garantire le rendite in futuro.

È davvero un suicidio politico?

Farinelli: Non sono così sprovveduto da non sapere che una votazione così davanti al popolo ha poche possibilità. Anche per il momento che stiamo attraversando. In realtà con questa iniziativa si voleva lanciare il dibattito, magari attraverso una controproposta che però non c’è stata. Ci sono comunque due questioni che bisogna guardare in prospettiva. La prima è il finanziamento dell’Avs, che da qui al 2050 con la struttura attuale avrà circa 100 miliardi di deficit. Bisogna decidere cosa fare, ci sono diverse soluzioni ma non bisogna dire alla popolazione che ‘va tutto bene’. L’altro tema è quello del mondo del lavoro. Bisogna chiedersi come sarà tra 15 o 20 anni. Sappiamo già che in Svizzera mancherà molta manodopera, non solo qualificata. Se guardiamo Paesi più ‘vecchi’ come il Giappone ci accorgiamo che circa il 50% degli over 65 e un terzo degli over 70 lavora ancora a tempo parziale. Questo non va visto solo in una logica di sistema pensionistico o di necessità di lavorare. Ma anche come strumento per evitare l’isolamento degli anziani. Bisogna quindi interrogarsi su come aiutare chi vuole andare avanti a lavorare. Ci saranno sicuramente da fare dei cambi sul piano legislativo e organizzativo.

Regazzi, ma questo prolungamento non rischia di ripercuotersi sulla mancata assunzione dei giovani e una fuga verso l’estero?

Regazzi: Col fabbisogno che si sta delineando a tutti i livelli non vedo questo rischio. Va poi detto che le nuove generazioni hanno un approccio al lavoro differente da quelle precedenti. Si tende a privilegiare un lavoro a tempo parziale. Se la mia generazione, pensando al suo impiego, ragionava dal 100% in su, ora si ragiona dal 100% in giù. Un potenziale interessante da sfruttare è quello delle donne, spesso anche molto formate. Bisogna creare però i presupposti, penso alla conciliabilità lavoro-famiglia. Sarebbe anche una risposta alla denatalità. Ho l’impressione che diverse donne rinuncino ad avere figli per non essere penalizzate a livello lavorativo.


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Fabio Regazzi

Dopo la comunicazione della prolungata chiusura della galleria di base del San Gottardo, almeno fino a settembre 2024, dal Ticino si è alzato comprensibilmente un vespaio di proteste e richieste di risarcimento. Ma concretamente, in che modo le Ffs o la Confederazione dovrebbero indennizzare il nostro cantone?

Farinelli: Ci sono due o tre punti che come cantone dovremmo esprimere in maniera chiara. Bisognerebbe capire se c’è un modo, anche costoso, per ridurre i tempi di ripristino della galleria. Spesa aggiuntiva che potrebbe assumersi Berna, come indennizzo. Una promessa fatta è l’aggiunta di nuovi collegamenti con l’aggiornamento dell’orario. Ecco, si potrebbe vedere se è possibile anticipare queste misure. Sulla questione degli abbonamenti: una riduzione generalizzata mi sembra esagerata. Si dovrebbe però riconoscerla a chi può dimostrare di dover percorrere regolarmente la tratta nord-sud. Un numero probabilmente abbastanza contenuto di viaggiatori. Bisogna poi anche agire sul collegamento autostradale, riducendo al minimo le chiusure della galleria per manutenzione durante il periodo invernale e anticipando nel limite del possibile la riapertura del passo, senza aspettare maggio.

Regazzi: Sono un po’ arrabbiato con le Ffs. Generalmente chi provoca un danno ne risponde. È innegabile, il Ticino è il cantone più penalizzato da questa situazione e la pessima comunicazione delle ex Regie federali sicuramente non aiuta a migliorare il clima. Quello che mi aspettavo era un segnale concreto, un gesto. Eppure si è percepita solo una grande lontananza. Come Deputazione ticinese alle Camere riceviamo molti messaggi e sollecitazioni. Dalle Ffs non ci è arrivato nulla, nonostante abbiamo tre deputati all’interno della commissione parlamentare dei trasporti.


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