Cade quest’anno il 150esimo anniversario dell’istituzione della Scuola magistrale. Iniziò infatti la sua attività nel 1873. Prese il posto dei corsi di metodica, introdotti da Stefano Franscini nel 1837. Non disponevano però di una propria sede stabile e duravano appena due mesi. Non ci volle molto a capire che quella formazione fosse carente. Ci voleva invece una Scuola magistrale.
Fu in particolare la “Società ticinese degli amici dell’educazione e di utilità pubblica - Demopedeutica” (ovvero l’associazione fondata nel 1837 da Franscini con lo scopo di contribuire al progresso dell’educazione pubblica in Ticino) a perorare insistentemente la causa dell’istituzione di una Scuola magistrale. Lo fece con richieste reiterate apparse sulla rivista della società, “L’Educatore della Svizzera Italiana”, di cui il canonico Giuseppe Ghiringhelli fu l’instancabile redattore; ma anche con alcune memorie come il “ragionato indirizzo al Consiglio di Stato” del 1861, firmato dal Ghiringhelli e dall’ingegnere Sebastiano Beroldingen, allora presidente della Demopedeutica. Si chiedeva una scuola permanente; di durata pluriennale; nella quale il futuro insegnante fosse “sempre circondato di un’atmosfera tutta pedagogica”; a cui fosse affiancata una scuola elementare ove si potesse far pratica dell’insegnamento. Il modello era quello di altri Cantoni più progrediti, di cui il Ghiringhelli aveva potuto constatare personalmente i positivi risultati. Lì la pratica dell’insegnamento era ritenuta indispensabile per la formazione magistrale, a differenza di quanto accadeva allora in Lombardia.
Ci volle tuttavia ancora più di un decennio prima che l’idea giungesse a buon fine. La legge che trasformava il corso di metodica in Scuola magistrale fu approvata il 29 gennaio 1873, allineando così il Ticino a “tutti gli Stati, anche i meno avanzati, [che] hanno riconosciuto l’insufficienza di questi brevi corsi; e istituirono, sotto il nome di scuole normali, di scuole magistrali, di seminari dei maestri, corsi duraturi dove due, dove tre e dove quattro anni”, come si leggeva nel Messaggio del Consiglio di Stato. Non poco merito di quel risultato aveva la Demopedeutica che portava in dote la cultura politica del suo fondatore.
Per qualche anno la Scuola ebbe sede a Pollegio. Poi, con il governo del “Nuovo Indirizzo”, fu trasferita a Locarno, che era la sede auspicata da Gioachimo Respini, il capo del Partito conservatore: dapprima nel 1878 la sezione maschile, ospitata ove vi fu il convento di San Francesco; poi dal 1881 anche quella femminile, a Villa Belvedere.
Oggi la Scuola magistrale non esiste più; al suo posto, dopo un processo di trasformazione molto faticoso, a tratti concitato, c’è ora un’Alta Scuola Pedagogica che è pure un dipartimento della Supsi. Nella sua storia secolare la formazione magistrale ha così conosciuto due metamorfosi: la prima nell’Ottocento, con l’istituzione di una scuola con una sede stabile, un curricolo pluriennale e pure una sua concezione pedagogica, in sostituzione dei corsi di metodo; la seconda a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, con l’adozione dell’attuale formazione professionale di livello terziario. Fu in entrambi i casi la scelta giusta. Molti problemi però restano.
Alcune settimane or sono ebbe un certo rilievo la conferenza stampa dell’Associazione svizzera degli insegnanti (Lch), preoccupata per la carenza di candidati all’insegnamento. In alcuni Cantoni si è sopperito anche con l’incarico di persone sprovviste totalmente di formazione pedagogica e didattica. Pare di tornare ai tempi del giovane Franscini che nella “Statistica della Svizzera” proprio questo lamentava: “Siccome tra il sapere una cosa e il saperla insegnare passa gran divario, ci parrebbe che a’ maestri non dovesse bastare la prima condizione, e che per non esporsi al pericolo di malamente insegnare e di nuocere a’ figliuoli, dovessero conseguire anche l’altra”.
Il problema che la Lch ha segnalato è noto anche in Ticino, ma il Decs è stato previdente e si è mosso per tempo: d’un lato con la richiesta di aumentare considerevolmente le ammissioni alla formazione di base, soprattutto quella per insegnanti della scuola dell’infanzia e di quella elementare; dall’altro con la proposta di modifica della Legge della scuola (art. 47a), poi approvata dal parlamento, che introduceva la possibilità di assumere a determinate condizioni i docenti in formazione.
Ci sono poi altre sfide che la professione deve affrontare oggi, dai nuovi bisogni degli allievi ai mutamenti sociali e culturali contemporanei, alle quali la formazione magistrale deve saper dare risposte convincenti. Interpretare correttamente il ruolo istituzionale di insegnante, dalla scuola dell’infanzia al liceo, è oggi più impegnativo di ieri; più facile per l’insegnante è oggi trovarsi nel dubbio, perfino quando vi fosse chiara consapevolezza dei principi e dei valori su cui si regge l’istituzione scolastica pubblica in Ticino.
La formazione magistrale è però anche una questione di pubblico interesse: non riguarda soltanto chi ha il compito di formare i futuri insegnanti e coloro che aspirano a esercitare la professione. Vi sono ovviamente altri “stakeholders”, altri portatori di interessi, che hanno anche diritti, almeno in qualche caso: gli allievi; i loro genitori; gli insegnanti in carica, in particolare coloro che nelle sedi scolastiche si occupano della formazione pratica dei novizi eccetera. Non è eccessivo affermare che sia una questione che importa a ogni cittadino che si senta parte attiva della “res publica”.
Insomma riguarda “l’utilità pubblica”. La pensava così anche Stefano Franscini quando fondò nel 1837 la “Società ticinese degli amici dell’educazione e di utilità pubblica - Demopedeutica”.