I nuovi docenti devono disporre di una formazione che li metta in grado di conoscere la professione al di là degli stereotipi e delle storie tramandate
La scuola la fa il docente (o la docente), e per farla bene deve avere una formazione specifica. Di questo era consapevole il padre della nostra scuola pubblica, Stefano Franscini, quando nel 1828 scrisse nel terzo capitolo del libro Della pubblica istruzione nel Cantone Ticino: "Riconosciamo per una parte, che chi eserciti un mestiere cui non ha bene studiato, lo esercita per lo più alla peggio. Riconosciamo per l’altra, che altro è sapere una cosa e altro saperla insegnare; e nondimeno osserviamo quasi con indifferenza che ad ammaestrare i nostri figliuoli attendano persone, le quali ignoriamo se posseggano la capacità di farlo convenevolmente".
Tutti saremmo inclini a dare ragione al Franscini, e oggi si ammette che il nesso tra formazione pedagogico-didattica dei docenti e qualità della scuola vale anche ai livelli di scuola superiore (dove a lungo è rimasta viva la convinzione che l’importante fosse soprattutto, se non esclusivamente, sapere le cose). Quest’anno, il Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi offre per la prima volta una formazione per coloro che insegneranno l’informatica nelle scuole medie superiori (molti dei quali già docenti di un’altra materia). La nuova disciplina deve infatti essere accompagnata da una "didattica disciplinare" che aiuti a "saperla insegnare". Eppure la quasi indifferenza nei confronti di una preparazione specifica all’insegnamento lamentata dallo statista è un rischio osservabile anche oggi. In alcuni cantoni della Svizzera tedesca e romanda, dove c’è penuria di docenti soprattutto nella scuola dell’obbligo, è stata sdoganata l’idea di assumere docenti con una rapida formazione ad hoc o addirittura senza percorso di formazione abilitante.
Per tornare al Franscini, è noto che organizzò, dieci anni dopo aver scritto il brano citato, i primi corsi di metodica per docenti, organizzati secondo il modello di formazione già in vigore nel Lombardo-Veneto austriaco. Tenuti durante i mesi estivi, fortemente incentrati sul curricolo di base (leggere, scrivere, far di conto) e accompagnati da esercitazioni pratiche, questi corsi erano per molti docenti la formazione a una professione che già esercitavano (come succede anche oggi) e il superamento dell’esame dava loro l’agognato attestato delle capacità professionali: ma non di rado sugli attestati troviamo l’indicazione che il candidato, prima di diventare eleggibile come titolare, avrebbe dovuto "certificare" (come diremmo oggi) alcuni anni di pratica sotto la guida di un collega più esperto.
supsi - dfa
Regolamento scuola pratica 1899
Nel resto della Svizzera si era intanto imposto un altro modello di formazione, quello seminariale, chiamato così per analogia con i seminari dei sacerdoti: si entrava in queste scuole subito dopo la scuola dell’obbligo, si stava in convitto, si studiava per diversi anni e si usciva, giovane adulto, con una patente di maestro o maestra. Nelle scuole magistrali la formazione era più teorica, più incentrata sulla cultura e sulle conoscenze, il ruolo della pratica professionale era piuttosto limitato. Erano, e sono rimaste fin verso la fine del secolo scorso, scuole di cultura più che luoghi di formazione professionale. In Ticino, una scuola magistrale di questo tipo aprì le porte nel 1873, a Pollegio, da dove pochi anni più tardi venne trasferita nella città di Locarno che ancora oggi ospita la formazione degli insegnanti nel nostro cantone.
Una svolta rispetto al modello seminariale si è avuta negli ultimi 30 anni con il processo di "accademizzazione" delle formazioni (Scuola magistrale postliceale diventata Alta scuola pedagogica successivamente integrata nella Supsi) che ha avuto l’ambizione di portare la formazione dei docenti a una duplice dimensione di pratica "in azione" e pratica di riflessione sulla dimensione culturale, sociale e pedagogica della professione stessa. Anche con queste riforme rimane però un nodo cruciale: l’insegnamento è una professione, e l’insegnante è un professionista con una sua autonoma sfera d’azione? Oppure l’insegnamento è un lavoro, da svolgersi secondo regole e procedure rigidamente codificate? La storia dell’educazione ci narra di un sistema-scuola che spesso tendeva a ridurre il ruolo dell’insegnante a quello di lavoratore subordinato, una condizione che gli insegnanti hanno spesso contestato. I piani di studio e l’organizzazione delle scuole di formazione per insegnanti hanno sempre risentito, nel corso della storia, di questa tensione tra autonomia e subalternità del docente nel sistema della scuola pubblica.
Come si vede, per comprendere l’evoluzione del "profilo" dei docenti bisogna sapere com’erano organizzate le scuole di formazione. Studiare i documenti ufficiali – dagli atti parlamentari ai piani di studio – che documentano le decisioni politiche sulla formazione dei docenti, permette di comprendere che cosa lo Stato voleva che fossero i docenti e che risorse metteva a disposizione della loro formazione. Ma per comprendere che cosa fossero veramente i docenti e la loro formazione, non basta questo. Bisogna studiare gli allievi-maestri stessi, ad esempio attraverso i quaderni con le loro esercitazioni didattiche e i loro appunti scritti sui banchi della Scuola magistrale. Il Laboratorio ricerca storico-educativa, documentazione, conservazione e digitalizzazione della Supsi, di cui sono responsabile, si dedica a ritrovare, conservare e studiare questi documenti, che forniscono la viva testimonianza di un insegnamento cattedratico e di esercitazioni pedagogico-didattiche piuttosto schematiche, ancorché rigorose e serie, di giovani uomini e donne che aspiravano a trovare un impiego di docente. Studiare il quaderno di un’allieva-maestra di fine Ottocento o un quaderno di esercitazioni didattiche svolte da allievi-maestri nella "scuola pratica" annessa alla Scuola magistrale non è solo emozionante, ma anche importante sul piano scientifico.
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Regolamento scuola pratica 1899
La nostra attività di ricerca e documentazione permette ai docenti in formazione, ad esempio al momento di scrivere la loro tesi finale o all’interno di alcuni corsi sul concetto di "sistema educativo", di gettare uno sguardo riflessivo su come si diventava e si diventa insegnante ieri e oggi. Permette però anche di dare un contributo costruttivo e scientificamente aggiornato al dibattito sulla formazione e sul profilo professionale dei docenti.
*professore in storia della didattica, Laboratorio ricerca storico-educativa, documentazione, conservazione e digitalizzazione, Dfa-Supsi
In collaborazione con il Dipartimento formazione e apprendimento