Il ricordo di Luigi Pedrazzini su John Noseda, scomparso domenica sera all’età di 74 anni
I miei primi ricordi di John Noseda risalgono al 1979 quando entrambi fummo eletti nel Parlamento cantonale, lui per il Partito socialista autonomo, io per il Partito popolare democratico. Non posso nascondere di aver avuto inizialmente nei suoi confronti qualche pregiudizio, dettato dalla sua precedente appartenenza al mio medesimo partito. Bastarono poche occasioni di lavoro "gomito a gomito", soprattutto nella Commissione della legislazione e nella Sottocommissione che esaminò il progetto di legge sociopsichiatrica, per superare ogni riserva. Con John, persona intelligente, colta, sensibile era facile intendersi e collaborare, andare alla sostanza dei problemi e cercare un confronto finalizzato alle soluzioni. Abilissimo oratore – probabile eredità della sua prima giovanile esperienza nei Tribunali penali – dimostrava grande passione per le posizioni sue e del suo partito; non ricordo però, in tanti anni di comune frequentazione della sala parlamentare, atteggiamenti fanatici. Anzi: messa ben in chiaro la sua posizione, era sempre disponibile a cercare un terreno d’intesa.
Si candidò al Consiglio di Stato nel 1999, l’anno della mia elezione. Sorprendentemente non fu eletto, ma non per questo diminuì la sua passione per la cosa pubblica. Me ne resi conto quando, in un paio di occasioni, lo sollecitai a collaborare con il Dipartimento delle istituzioni. Fu particolarmente importante il suo contributo quale coordinatore del gruppo di lavoro che curò l’adattamento dell’apparato giudiziario ticinese al nuovo Codice di procedura penale svizzero. Forte di esperienza come procuratore pubblico, come politico e come professionista, John contribuì a trovare le giuste soluzioni e mi diede un grande aiuto nella preparazione del messaggio per il Gran Consiglio. Ogni volta che si riuniva il gruppo di esperti ammiravo il suo impegno: passavano gli anni ma non la sua passione per il lavoro a beneficio del Paese.
Fu probabilmente questa passione che lo convinse ad accettare di diventare procuratore generale. Non aveva certamente bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno; semplicemente voleva dare un aiuto all’istituzione, al Ministero pubblico che in quegli anni cercava una guida capace di dargli stabilità e piena credibilità. Naturalmente ci riuscì, col suo stile di condotta fondato sull’esempio, sulla competenza giuridica, sull’autorevolezza, sulla grande esperienza e su un garbato rifiuto a usare le diavolerie dell’elettronica e dell’informatica.
Pensando a John Noseda rivedo quanto ho cercato di riassumere in questo scritto, ma nel mio ricordo rimarrà soprattutto l’amico che ho sentito vicino anche quando le frequentazioni si sono fatte meno intense. L’impegno politico e pubblico più che trentennale mi ha dato moltissime conoscenze ma relativamente poche amicizie. John era una di queste!