La base del Partito socialista conferma l’orientamento della direzione. Niente da fare per Amalia Mirante
Più che netto, è un risultato schiacciante quello emerso dopo oltre otto ore di Congresso e che avalla la strategia proposta dalla direzione del Partito socialista. Saranno infatti Marina Carobbio e Yannick Demaria i due nomi del Ps nella lista rossoverde da presentare per il Consiglio di Stato alle elezioni cantonali di aprile. Niente da fare dunque per l’altra esponente socialista in lizza, Amalia Mirante, che non è riuscita nel suo intento. Dopo mesi di discussioni interne non prive di stilettate, a Bellinzona la base Ps si è espressa con 207 voti a favore di Carobbio, 38 di Mirante e 226 sì (contro 21 no) per Demaria. Questo dopo che in mattinata aveva deciso di mantenere separate le candidature cosiddette "di esperienza" e "di rinnovamento" bocciando l’emendamento proposto da Evaristo Roncelli che chiedeva di stralciare il vincolo deciso dalla Conferenza cantonale. Prima del voto i tre pretendenti si sono rivolti alla folta platea.
«Dobbiamo fare tutti la nostra parte per una società più giusta, per i diritti che vengono calpestati». Il discorso di Marina Carobbio, all’insegna di «una sincera emozione», come da lei stessa ammesso, è stato un discorso programmatico. E molto politico. «Lavoro, salvaguardia dei redditi, pensioni, parità di genere» saranno più di una priorità per Carobbio, che ha già lanciato una proposta concreta: «Serve un’assicurazione generale di reddito, dobbiamo impegnarci a colmare questa lacuna. Ne va del futuro della società, della coesione, il rischio sennò è l’aumento delle disuguaglianze», ha affermato. Serve «una visione coraggiosa e coerente per uno sviluppo sostenibile, con l’obiettivo di costruire un contratto sociale che sia alternativo agli sgravi ai ricchi e alle aziende o al concedere deduzioni solo all’apparenza sociali: non c’è nulla di sociale nel far pagare 40 franchi in meno di imposte a una famiglia con due figli e 60mila franchi di reddito e 600 franchi a chi ha un reddito di mezzo milione. Questa non è una proposta sociale, è una presa in giro!». Un contratto che, per Carobbio, «deve portare a nuove possibilità per le Pmi, contribuire a sostenere i redditi delle classi popolari, delle famiglie. In questa operazione lo Stato non deve avere solo il ruolo di regolatore, ma deve essere garante dei diritti e di una miglior redistribuzione della ricchezza, spingere per la conciliabilità tra lavoro e famiglia».
Però, ha detto ancora Carobbio, non ci sono solo problemi ma anche opportunità, «tante opportunità». Dove? «Nella biomedicina, nell’economia circolare, nelle cure. In questi settori il Ticino può attrarre giovani, nuove figure, mantenere nel mondo del lavoro persone con esperienza». Per la candidata in governo del Ps proprio «sanità, cura, cultura, ricerca, formazione e ambiente sono settori fondamentali per soddisfare i bisogni della popolazione, per rispondere alle sfide pressanti del riscaldamento climatico, per avere più servizi e avere aziende virtuose».
Yannick Demaria ha dal canto suo definito il progetto rossoverde «un gesto di speranza e resistenza di fronte al disorientamento e al disagio che nascono da questa società malata basata sui criteri di consumo». Riferendosi ai giovani, ha poi rivendicato «il diritto di essere ingenui, liberi, onesti, semplici, schietti. Questo ci permette di sentire i bisogni più veri delle persone. Io e i miei coetanei ci chiediamo spesso come saremo in futuro, come sarà il mondo, che ne sarà della natura e del nostro Paese. Siamo molto preoccupati perché siamo a un punto di svolta ma – ha rimarcato – non dobbiamo abbandonarci al fatalismo. C’è tanto lavoro da fare e bisogna farlo insieme. Pensiamo si tratti di stare dalla parte di un socialismo democratico e federale, ecologico e meticcio». Bisogna essere «partigiani – ha sostenuto –. Questo non deve avere un significato di faziosità ma deve significare prendere partito. Stare dalla parte di chi vuole ridurre le disuguaglianze e combattere la crisi climatica, di chi vuole lottare contro la povertà, di chi vuole pace, giustizia globale e coesione in Europa. Siamo partigiani per la lista rossoverde, per stare con chi vede deteriorarsi le condizioni di vita». E sostenendo che «i giovani compagni Giso meritano un’attestazione di stima per il fatto di esserci e per lo svolgimento di compiti importanti», ha infine ringraziato «per avermi scelto come rappresentante di una generazione che ha bisogno di identificazione e futuro. Qui non c’è Yannick, qui ci siamo noi e siamo tanti».
«Sono stata criticata per quello che ho detto e per quello che non ho detto, ma non sono qui per farmi dare la pagella di socialismo» ha esordito Amalia Mirante. Rispetto alla bocciatura dell’emendamento, ha espresso dispiacere per il fatto «che si sia scelto di non votare liberamente». La linea della direzione, ha poi sostenuto, «esprime una fetta importante dell’area di sinistra, ma non la rappresenta tutta». E giustificando la propria autocandidatura ha affermato: «Sono un’economista e l’economia sarà il tema dei prossimi anni. Sono una persona di scuola che incontra e forma ogni giorno ragazze e ragazzi. Sono figlia di operai migranti, poveri ma forti, orgogliosi e tosti e quando parlo di lavoro, economia, importanza della formazione so di cosa parlo. Mi riconosco – ha evidenziato – in una socialdemocrazia moderna, matura, non nemica a priori dell’economia, attenta e sensibile ai bisogni della popolazione. Credo nella collaborazione più che nel conflitto». E affermando che «le idee diventano realtà solo se ci sono i numeri», ha ricordato quelli che lei ha portato al partito: «Quattro anni fa ho preso oltre 8mila voti personali interni dal Ps e altrettanti esterni che hanno contribuito al successo della lista». Dopo aver elencato alcuni successi e sconfitte politiche personali, ha concluso: «Anche oggi sono disposta a perdere una battaglia. Ma con senso di giustizia e di coraggio mi metto a disposizione del partito e della società». Interpellata su un suo possibile futuro lontano dal Ps durante il mini-dibattito che ha svolto con Carobbio, Mirante ha affermato che prima di pensare al suo futuro «dopo una giornata così impegnativa» dovrà «riflettere».
E il copresidente Fabrizio Sirica ha sfruttato l’occasione per levarsi più di qualche sassolino dalla scarpa, nello spiegare perché «l’autocandidatura di Amalia Mirante non sia la soluzione più rappresentativa». Partendo dal fatto che «negli ultimi anni Amalia non ha presenziato molto, nella nostra casa socialista. Non ha collaborato in una sola votazione, non ha partecipato a gruppi di lavoro». La lettura di Sirica è poi stata che «Mirante ha espresso o non espresso posizioni in funzione di una strategia elettorale, per piacere anche alla destra, per prendere voti da fuori bisogna stare lontano dai marchi di fabbrica della sinistra». Comportamenti «legittimi» per il copresidente del Ps, ma «il nostro compito è portare avanti una strategia vincente: e la strada da percorrere, adesso, deve essere all’insegna di una chiara identità, un nitido progetto politico che guardi al prossimo decennio. Ad Amalia rivolgo l’invito a candidarsi per il Gran Consiglio, dove sarà interessante lavorare sui temi».
«Sono state settimane intense e difficili, politicamente ma anche umanamente», ha invece dichiarato la copresidente Laura Riget. Il congresso, ha considerato, «è un inizio, una tappa intermedia ma anche una fine», articolando: «Io e Fabrizio tre anni fa abbiamo annunciato la disponibilità a diventare copresidenti del partito con un documento che proponeva la nostra visione. Quella di giustizia sociale e ambientale». Detto altrimenti, «di rafforzare l’alleanza con i Verdi». Oltre alla visione a corto termine, ha evidenziato, «crediamo in un apporto che guardi al futuro e che sappia responsabilizzare i giovani. Non è una strategia elettorale ma un progetto politico». Oggi «è anche la fine di qualcosa», ha ripreso Riget: «O la fine di questa visione. O la fine di un periodo difficile per il partito».
Una prima, fondamentale e massiccia, conferma da parte del congresso alla visione della direzione si era vista, come detto, in mattinata con la decisione di respingere l’emendamento di Roncelli. Un emendamento che chiedeva – come ha illustrato dal palco Maurizio Canetta – «un voto aperto tra Carobbio, Demaria e Mirante. Il congresso scelga le due persone più indicate per andare in lista». Per Canetta e i proponenti dell’emendamento, «Mirante e Carobbio, con i loro accenti diversi, hanno le caratteristiche per garantire la somma di qualità e competenze che è importante avere in una lista progressista». Quindi perché rinunciarvi? «Non credo esista un giocatore di poker che vedendosi serviti due assi ne scarti uno, non possiamo accontentarci di un risultato accettabile, dobbiamo ottenere il massimo possibile». C’era un altro motivo per Canetta nel portare avanti questa proposta: «Significherebbe spazzar via ogni eventuale malumore. La discussione di questi mesi ha lasciato scorie, che davanti a un sistema di voto congressuale non aperto potrebbero restare: sarebbe un peccato che i primi metri di questo importante percorso d’area venissero inquinati da un metodo che non credo sia stato applicato da alcun consesso».
Tesi, questa, smontata dal consigliere di Stato uscente Manuele Bertoli che ha difeso la posizione della direzione: «Abbiamo visto negli ultimi mesi come i media hanno trattato la questione interna al Ps. Giudicate voi: partito in crisi, diatribe, discussioni… vogliamo andare avanti quattro mesi a parlare di queste cose?» ha tuonato suscitando un lungo applauso dalla sala. Per poi rincarare: «Se lo facciamo ci autodistruggiamo, perché il gioco fuori dal partito non è a nostro favore: è contro di noi». E non è vero, ha detto Bertoli portando degli esempi, «che una lista più forte si traduca in un ampliamento del consenso». Infine, ha difeso anche «il processo che ci ha portati fin qui: comitato cantonale e conferenza cantonale si sono espressi a larghissima maggioranza».
Nel lungo dibattito che ha preceduto il voto, in mezzo a molti contrari all’emendamento – Pepita Vera Conforti, Aurelio Sargenti, Anna Biscossa su tutti – e ai meno che invece lo hanno sostenuto – tra cui lo stesso Roncelli, Matteo Muschietti, Henrik Bang – sono spiccati due interventi. Il primo è stato quello del sindaco di Bellinzona Mario Branda, che ha sottolineato come «Marina Carobbio è la mia candidata, e non condivido le critiche di scarsa democrazia nel partito. Ma è importante pure l’immagine che si trasmette: adesso è quella di un partito che vuole concentrare la propria attenzione su una persona e non vuole che altre persone la mettano in discussione». Branda ha ribadito come «non voglio un partito che si salvi ogni volta. Voglio un partito che vinca, in questo contesto mi chiedo perché Amalia Mirante non possa far parte di questa lista». Un intervento definito «ecumenico» a stretto giro di posta da Pietro Martinelli, secondo cui «non è possibile avere tutto, questa lista progressista non è un passo regalato ma raggiunto da una direzione coraggiosa. Il partito che esce da questo congresso non è in difesa, ma è giovane, entusiasta e d’attacco». Ultima postilla del proponente, Evaristo Roncelli: «Non sono un guastatore come qualcuno mi ha detto, io voglio creare e non distruggere: questa proposta serve solo a dare una possibilità di fare scelte libere». La scelta libera del congresso è stata di respingere l’emendamento.
Nel suo discorso di congedo Manuele Bertoli ha ripercorso con la memoria «24 anni di politica istituzionale, 12 in Gran Consiglio e quasi 12 in Consiglio di Stato». Anni dove in parlamento e in governo «mi sono occupato sempre di temi a noi vicini: fiscalità e ingiustizie nella redistribuzione della ricchezza nel Legislativo, formazione e cultura nell’Esecutivo». Certo, «c’è ancora tanto da fare. Sia per la cultura, sia per la scuola dell’obbligo che da noi è scontata ma altrove non è così: e solo una scuola che riesce ad accogliere e accompagnare i ragazzi sarà giusta e rivolta al futuro». Per Bertoli «è stato un grande privilegio rappresentare voi elettori socialisti» e per il futuro l’appello è netto: «È centrale avere qualcuno in governo, ma pure avere una buona e nutrita rappresentanza nel Gran Consiglio. La politica è fatta anche di numeri, e quando non ci sono purtroppo gli argomenti da soli non bastano».