Il ricordo dell'ex Consigliere di Stato e collega di Borradori Pietro Martinelli, tra la Thermoselect e Tabucchi
Marco Borradori è morto inseguendo un sogno. Il sogno di partecipare alla maratona di Nuova York. Un sogno che non aveva nulla a che fare con la politica che pur lo ha occupato, con grandi successi elettorali e grandi onori, durante tutta la sua vita professionale. Un sogno che ha invece molto a che vedere con la natura umana perché per i nostri antenati correre era una necessità per procacciarsi il cibo, una necessità per vivere. Correre oggi, nell’era dominata dalle attività sedentarie, è quindi un gesto di ribellione romantica, di ribellione “romanzesca” alla razionalità. Potrei persino immaginare una ribellione alla realtà razionale che, qui in Ticino, è rappresentata dagli interessi economici non sempre virtuosi che condizionano da decenni anche la nostra vita politica, che a volte hanno ostacolato la modernizzazione del Cantone e che Marco ha rappresentato con successo.
Con Marco ho lavorato quattro anni, dal 1995 al 1999, in Consiglio di Stato, dove per la rinuncia degli altri quattro colleghi lui, che per ragioni procedurali come ultimo arrivato doveva accettare il dipartimento che nessun altro aveva rivendicato, ricevette, incredibile a dirsi, il dipartimento del Territorio. Ci siamo combattuti sul problema dell’impianto per l’eliminazione dei rifiuti (la famosa Thermoselect) e abbiamo collaborato su altre cose importanti (il piano viario del Luganese, ad esempio). Dopo la mia uscita dal Governo cantonale mi affidò anche alcuni importanti incarichi per il suo Dipartimento, ma eravamo molto, troppo diversi per andare, a livello personale, oltre un rapporto di cordialità formale.
Tuttavia in queste ore tristi mi è tornato alla memoria un ricordo che risale ai primi anni di presenza assieme nel Governo cantonale e che mi aveva fatto intravvedere un Borradori diverso da quello pubblico. A Marco credo piacessero i buoni film e credo avesse anche alle spalle qualche buona lettura. Sta di fatto che una sera del 1996 andai con mia moglie al cinema/teatro Kursaal poco prima della sua demolizione a vedere “Sostiene Pereira”, un film del 1995 di Roberto Faenza, musiche di Ennio Morricone, con Marcello Mastroianni come attore principale. Il film era tratto dall’omonimo romanzo di Antonio Tabucchi, un romanzo contro le dittature e che in quella storia faceva riferimento alla dittatura di Salazar. Nel romanzo un protagonista (Cardoso) riferisce di una teoria di psicologi francesi secondo la quale ogni persona non ha un’anima sola, ma una “confederazione di anime” di cui una domina (l’io egemone), ma che può essere spodestata determinando una metamorfosi nel carattere della persona stessa. La sala era quasi deserta, c’era sì e no una decina di spettatori. Tra questi notai con sorpresa la presenza di Marco, da poco collega nel Governo, accompagnato da una bella ragazza. All’uscita ci salutammo e scambiammo due parole sul film che gli era piaciuto.
Forse il sogno di partecipare alla maratona di Nuova York era quello di una delle anime di Borradori, non di quella egemone, ma pur sempre di una parte della sua complessità. Negli ultimi tempi lo vedevo raramente e non si andava oltre un ciao Pietro, ciao Marco. Eravamo troppo diversi, e lo sapevamo, per avere qualcosa da dirci oltre al saluto e a un sorriso cordiale. Eppure entrambi abbiamo avuto dei sogni.