I dibattiti

Paradossi al Macello

(Ti-Press)
23 marzo 2021
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La questione del centro sociale autogestito di Lugano non trova soluzione, ma probabilmente una buona e definitiva soluzione (per ovvi motivi evito l’aggettivo “finale”, nonostante ci sia stato uno sfratto) non si darà mai, perché si è di fronte a un paradosso. Il centro autonomo esprime un bisogno di indipendenza e anche di rottura nei confronti delle istituzioni, e nello stesso tempo necessita di una qualche forma di riconoscimento da parte loro. L’ente pubblico ha dato tempo fa questo riconoscimento, ma con ciò pretende di limitarne l’autonomia, ad esempio nella definizione delle modalità di rappresentanza, trasformando il riconoscimento in misconoscimento.

In ogni analoga vicenda, in Svizzera e altrove, si è dovuto affrontare lo stesso problema e si sono trovati più o meno stabili e soddisfacenti compromessi. A Lugano ciò sembra più difficile che in altre città, e non sta a me dire perché. Quel che però deve essere chiaro è che le soluzioni in questa materia non possono che essere provvisorie, in quanto punti di equilibrio instabili fra pretese in parte inconciliabili. L’idea di mettersi alle spalle una volta per tutte il problema, che per un altro verso è anche una risorsa, è già un primo passo verso la soluzione repressiva. A proposito di questa vicenda, bene ha fatto Luigi Pedrazzini, in una recente intervista su questo giornale, a ricordare la frase attribuita a Prezzolini, secondo cui “nulla è così definitivo come il provvisorio”: un altro paradosso.

I paradossi fanno parte della vita personale, sociale e politica. Non sempre, in questi ambiti, la linea retta è la distanza più breve fra due punti. Per fare un esempio che ha qualche attinenza al nostro tema, nel secondo dopoguerra, memori delle tragedie del loro recente passato, alcuni stati nazionali o regionali europei hanno promulgato delle costituzioni che riconoscono il diritto di resistenza nei confronti delle istituzioni, in determinate circostanze: siamo al paradosso di un potere politico che concede di sua iniziativa ai cittadini il diritto di violarne le leggi. I paradossi danno fastidio al pensiero e all’azione, che però devono imparare a sopportarli e a gestirli, quando non possono evitarli o superarli. Soprattutto, non bisogna illudersi di potersene semplicemente sbarazzare. In quei casi, di solito, la pezza è molto peggiore dello strappo, il che sarebbe un ennesimo paradosso.

La recente decisione del Municipio di Lugano, presa a stretta maggioranza, di sfrattare dall’ex Macello il centro sociale autogestito dimostra una preoccupante voglia di liquidare il problema. L’esecutivo luganese forse crede di poter tagliare un nodo che non sa sciogliere, e opta per una strategia che si vuole impostata sul principio “legge e ordine”, ma questa non è la scelta migliore. Che a determinare la decisione siano gli eredi di Giuliano Bignasca, che con la legge e l’ordine ha avuto forti dissapori, e non sempre per nobili motivi, è un altro paradosso. Come paradossale è il fatto che, secondo quanto sostenuto da qualche giurista, nel caso del presente sfratto la legge potrebbe stare proprio dalla parte del “molinari” e non del Municipio. Quanto all’ordine luganese, nonostante arredi pubblici, bancarelle natalizie ed altro, ha tutta l’aria della desertificazione (forse per questo qualcuno, con involontaria ironia, ha addirittura proposto di portare materialmente la sabbia sul lungolago cittadino): ad esempio, dal centro città negli anni sono stati di fatto evacuati i residenti, i piccoli negozi locali e le botteghe, mentre in futuro anche una parte degli impiegati comunali dovrebbe lasciarlo. Ma la popolazione di Lugano decresce nel suo complesso, non solo in centro. Naturalmente vi sono stati anche nuovi slanci vitali. Il LAC è un’iniziativa di grande valore, ma rientra comunque in un’idea un po’ patinata di offerta culturale, con forte ricaduta turistica, che per sua natura coinvolge solo una parte della popolazione. Ci sono anche i poli previsti, agognati, mancati, a cominciare dal “polo della discordia”, forse perché l’unico la cui procedura di approvazione è in dirittura d’arrivo: quello sportivo. Ma questa è musica del futuro. E poi, di per sé, i grandi progetti non sono sinonimo di un ambiente sociale più vivibile e accogliente, a misura delle esigenze degli abitanti. Per esempio, un polo sportivo non può surrogare la mancanza di campetti di calcio aperti a tutti, anche a quei ragazzini, e per fortuna ce ne sono ancora, senza particolari ambizioni e il cui piede farà sempre un po’ fatica a distinguere la palla dalla zolla. Che in questo quadro si voglia mettere ancora “più ordine”, facendo sloggiare dal Macello gli autogestiti, senza che vi sia alcuna urgenza riguardo alle eventuali destinazioni future dello stabile, non è certo un bel segnale.

Lo è ancora meno se pensiamo al periodo in cui ciò avviene. In questi duri mesi il potere pubblico ha chiesto ai cittadini - a cominciare dai giovani, che più degli altri ne hanno sofferto - di rispettare “molta legge e molto ordine”, mostrando il suo volto protettivo, ma anche repressivo. Aveva, ed ha, le sue buone ragioni per farlo, come ben sappiamo, ma comunque non è stato bello che lo dovesse e lo debba ancora fare. E non sempre, nel farlo, ha trovato i toni e i modi adeguati. Che il Municipio della più importante città del Cantone abbia deciso, in questo contesto, di aggiungere senza motivo un ulteriore atto di coercizione, inventando una finta emergenza in un tempo in cui tutti ne subiamo una molto vera, e creando inutile tensione quando siamo già tutti tesi, mi pare una scelta dissennata.

Inoltre, ecco un altro paradosso, nonostante la sua vocazione antistituzionale, il movimento degli autogestiti esprime una volontà di azione collettiva in qualche modo organizzata e pensata che, al di là di condannabili eccessi, si pone oggettivamente in alternativa a quelle forme di impulsiva ribellione e reazione anche violenta che purtroppo si manifestano, ad esempio, in occasione degli assembramenti spontanei di giovani, come ancora sabato sera alla foce del Cassarate. Dunque, il dialogo con il movimento di autogestione, per quanto problematico, rimane la via maestra.