Concerto conclusivo per la composer in residence Rebecca Saunders con la prima di ‘to an utterance’
La residenza di Rebecca Saunders è terminata con l’esecuzione di “to an utterance” per pianoforte e orchestra, il concerto commissionatole da Roche nel 2018, e per questa attesa prima esecuzione si sono aperte le porte della Konzertsaal dall’acustica mitica, che nell’unisono di sessanta violini sembra lasciar distinguere il timbro di ogni strumento. Saunders sa che ogni esecuzione deve adattarsi allo spazio architettonico che trova, ma l’acribia della sua scrittura mira anche a far emergere nella massa orchestrali il timbro, il colore, l’espressività di ogni strumento, e questa volta la sala l’ha mirabilmente assecondata.
Oso dire che la prima esecuzione di sabato 4 settembre al Lucerne Festival è stato un evento memorabile che consente un messaggio ai posteri: fra qualche decennio quest’opera sarà un classico ricorrente nella programmazione dei concerti. Il pianoforte vi ha un ruolo poco concertante, ma la sua voce si insinua nel tessuto orchestrale sempre nitida, dialoga con le sezioni dell’orchestra, con le prime parti, le ravviva. Ricupera una teatralità del passato, dipana un racconto drammatico che raggiunge il parossismo in clusters e glissando acrobatici del solista, ma alla fine si placa per lasciare gli ascoltatori in un silenzio estatico.
Il programma si era aperto con un’altra opera importante di Rebecca Saunders in prima esecuzione svizzera: “void” per due percussionisti e orchestra del 2014. Esso ha le apparenze di un lungo notturno, una convocazione incessante alle vertigini del silenzio con il riferimento a un testo letterario, che per noi di cultura italiana potrebbe essere il “vagar co’ pensieri su l’orme che vanno al nulla eterno”. Ma la presenza travolgente delle percussioni popola la notte di colori vivi, di espressioni anche sensuali. Nei momenti più vivaci ho pensato meno alle cose eterne, più al “Giardino delle delizie” di Hieronymus Bosch.
La citazione dei solisti deve confermare i consensi calorosi del pubblico per il pianista Nicolas Hodges, i percussionisti Christian Dierstein e Dirk Rothbrust, che hanno collaborato con la compositrice nella stesura della partitura e non solo per le peculiarità tecniche dei loro strumenti.
Citazione importante anche quella del direttore Enno Poppe, che ha preso il posto a prove già avanzate di Ilan Volkov, costretto a lasciare Lucerna per motivi familiari. Poppe è anche compositore e sembra totalmente a suo agio col repertorio contemporaneo.
Devo fare un’ultima citazione, che sa quasi di ammenda. Avevo seguito mercoledì scorso i componenti della Lucerne Festival Contemporary Orchestra in un concerto-prova nella Luzerner Saal: suonavano in tenuta libera e mi sembravano particolarmente a loro agio. Sabato nella Konzertsaal, in una elegante tenuta di gala, rigorosamente nera, erano altrettanto a loro agio.
In “to an utterance”, apparso sei anni dopo “void” c’è un ricupero di contenuti drammatici del passato, quasi una restaurazione. Un’evoluzione presente anche nelle tre opere del Novecento storico messe al centro del programma: “Sinfonia op. 21” (1929) e “Variazioni per orchestra op. 30” (1941) di Anton Webern, “Movimenti per pianoforte e orchestra” (1959) di Igor Stravinski.
Le due opere di Webern rappresentano forse l’esito maggiore del linguaggio seriale creato dal suo maestro Arnold Schönberg. L’opera di Stravinski fa qualche concessione a questo linguaggio, ma conserva tutti i suoi caratteri. Theodor W. Adorno nella sua “Filosofia della musica moderna” mette l’etichetta “Progresso” al linguaggio seriale, che ha abolito la tonalità, l’etichetta “Restaurazione” a quello eclettico e con contaminazioni neoclassiche di Stravinski.
È intrigante trovare queste analogie nell’evoluzione del linguaggio di Rebecca Saunders, che forse è disposta ad ammettere. La compositrice inglese-berlinese è una persona colta: memoria e contemporaneità coesistono nella sua visione del mondo e lei le rende palesi nella forma e nei contenuti delle sue opere. Serba solo un angolo di privacy nell’ermetismo dei suoi titoli, che sono più difficili da capire della sua musica.