In assenza di quasi tutto il cast originale, 24 anni dopo è in sala l'ultima fatica di Ridley Scott, una tigre di carta che si affloscia a metà parata
“Quante volte pensi all’impero romano?”. La domanda ebbe un breve momento di popolarità social un annetto fa, rivelando l’apparente inclinazione del maschio italiano a pensarci molte volte al giorno per tirarsi su il morale, e lasciando perplessi i molti di noi che all’impero romano pensano solo quando ascoltano guardano Asterix coi figli. Detto che andrebbe specificato cosa si intenda per “pensare all’impero romano” (se a volte penso al fatto che i patrizi vezzeggiavano le loro murene domestiche al punto di adornarle con gioielli, è mascolinità tossica?) l’abbinamento è ormai acclarato: Cesare e Marco Aurelio come ricostituenti, le naumachie come antidoto all’evirazione collettiva.
In questo senso va probabilmente letto l’arrivo nelle sale de ‘Il Gladiatore 2’, nuova fatica dell’87enne Ridley Scott, impresa già nelle premesse più insidiosa di quanto la rassicurante etichetta di “franchise” possa suggerire: un sequel a 24 anni dal primo capitolo, in assenza non solo del protagonista Russel Crowe ma di quasi tutto il cast originale.
‘Il Gladiatore’ originale non sarà stato cinema d’essai, ma nel 2000 aveva i suoi meriti e perfino i suoi elementi oracolari. In un colpo solo riuscì a rivitalizzare un genere morto e sepolto come il peplum, iniettandolo con una spettacolarità coreografata da cui poi il mondo Marvel avrebbe attinto a piene mani, e a inaugurare un certo modo gioioso e fracassone di prendere a calci i manuali di storia, facendo svolazzare le pagine come coriandoli e ricomponendole a piacimento, come avrebbero poi fatto in tanti da Tarantino in giù.
‘Il Gladiatore’ era sì la storia di un uomo a petto nudo che si risollevava dall’inferno facendo strage di cattivoni, ma questo primitivo elemento virile era impastato con una sorta di stoicismo, la violenza per quanto a tratti venata di un piacere orgiastico era configurata non come scelta ma come necessità. Quello di Massimo Decimo Meridio poteva sì essere letto come percorso di vendetta, ma anche come lo sforzo di sopravvivenza di un eroe riluttante in un paesaggio psichico in macerie.
A raccogliere il testimone di Crowe in questo sequel è Paul Mescal, delizioso ragazzone irlandese con una carriera fin un po’ emo, sex symbol da cameretta più che da multisala. Mescal interpreta Annone/Lucio, guarda caso figlio di Decimo Massimo Meridio, e questa ahimé non è la prima né l’ultima scelta cestone dei Dvd in offerta che troveremo nella sceneggiatura del film. A cominciare dall’epica-battaglia-iniziale d’ordinanza, ‘Il Gladiatore 2’ segue passo dopo passo le orme del primo film, radicando nel lutto il desiderio di vendetta del nuovo protagonista e contrapponendolo ad avversari che ahinoi sembrano anch’essi pescati dal succitato cestone: scimmie-zombi, rinoceronti feroci, squali giganti. Indeciso se provare a superare o riprodurre calligraficamente il primo capitolo, ‘Il Gladiatore 2’ finisce per posizionarsi rispetto all’originale in un rapporto che è una via di mezzo tra il remake e la parodia (e nei momenti peggiori il cosplay). Ma forse il problema del film, a un livello più profondo, è che involontariamente è uno specchio fin troppo fedele della mascolinità tradizionale dopo il #metoo: percorso da una strana violenza afasica, chiassoso in modo più che altro nevrotico, avviluppato in una trama inerte e contorta allo stesso tempo, è un colosso che trema su fondamenta fragilissime, una tigre di carta che si affloscia a metà parata, assumendo forme grottesche, e talvolta per verità piuttosto ridicole, a ogni colpo di vento. Ben poco possono tre grandi attori come Paul Mescal, Pedro Pascal e Denzel Washington, il cui carisma sgonfiato finisce semmai per soffocare definitivamente il film: hai sempre la sensazione di stare guardando Paul Mescal e Denzel Washington che recitano, mai Marco Acacio e Macrino che agiscono.
Il motivo per cui ‘Il Gladiatore 2’ è un’esperienza così fredda, nonostante alcuni momenti di indubbia spettacolarità, è però probabilmente il suo protagonista, e non certo per colpa dell’interprete. Pur costretto a ripercorrere la parabola epica di Decimo Massimo Meridio, Annone/Lucio ha tratti da antieroe fondamentalmente disincantato, mosso dalla rabbia e dal desiderio di distruggere un sistema corrotto più che dall’adesione a un sistema valoriale e filosofico proprio. Questo potrebbe anche essere un ribaltamento interessante, se non fosse che il film non si avvicina nemmeno alla complessità necessaria per farlo funzionare. ‘Il Gladiatore 2’ è un film che vuole rovesciare il mondo senza fare un minimo di lavoro su sé stesso, insomma un film puerile, o in altre parole ancora un film che avrebbe fatto bene a tralasciare certe bordate retoriche di Scott sull’attualità americana e, per una volta, pensare un po’ di più all’impero romano.