Spettacoli

La musica del futuro al Lucerne Festival

Nella Luzerner Saal un concerto dedicato alla compositrice in residenza Rebecca Saunders con opere scritte in collaborazione con prestigioni interpreti

Arditti Quartett (foto Priska Ketterer/Lucerne Festival)
23 agosto 2021
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Sabato 21 agosto, un concerto dedicato a Rebecca Saunders (*1967), composer in residence, si è tenuto nel Luzerner Saal, che agli adepti della musica contemporanea richiama tanti eventi memorabili. Ma stavolta c’era qualcosa di nuovo nell’aria, anzi d’antico. Le quattro opere in programma sono state scritte da Saunders in stretta collaborazione con i musicisti ai quali le ha dedicate, interpreti prestigiosi che sono venuti sabato a Lucerna, come a una convocazione ovvia e irrinunciabile.

Gran classe di un Festival, capace di assecondare le tendenze nuove della musica che adesso sanno anche di ritorno al passato. Come il conculcare l’idea romantica dell’artista eroe solitario, chiuso in una torre d’avorio, sia essa la camera sul Neckar di Hölderlin o la sordità di Beethoven. Come l’adeguarsi a un’etica aggiornata da una realtà che le neuroscienze rendono sempre meno come ci appare, a una la vita culturale e spirituale fatta di relazioni, a un comporre musica fatto di una rete di scambi, un lavoro artigianale come ai tempi di Bach.

Le quattro opere, i cui titoli il programma di sala aiutava a capire, erano per me affatto nuove. Ammetto una negligenza di recensore all’altezza dei tempi: nemmeno sbirciando in internet avevo trovato tracce delle partiture o filmati di loro esecuzioni.

“blaauw” (2004) per tromba a doppia campana, dedicata a Marco Blaauw (*1965), musicista olandese attivo come solista di tromba, insegnante, e anche ideatore di sviluppi tecnici dello strumento: suo il progetto dello strumento che ho ascoltato sabato per la prima volta. Il brano che porta il suo nome è una ricerca minuziosa di tutte le possibilità timbriche dello strumento, che va suonato sotto il coperchio di un pianoforte così che il suono penetrante della tromba venga circondato dall’alone delle corde che risuonano.

“Flecht” (2012) è un quartetto d’archi dedicato al mitico Arditti Quartet di Londra, che dalla fondazione nel 1974 si dedica alla musica contemporanea. È sempre un’emozione per i melomani ritrovare il violinista Irvine Arditti e i suoi attuali colleghi Ashot Sarkissjan, violino. Ralf Ehlers, viola, Lucs Fels, violoncello. Per l’impiego equilibrato dei quattro strumenti, per la complessità del tessuto polifonico, il lavoro di Rebecca Saunders mi è sembrato un vero capolavoro.

“shadow” (2013) è uno studio per pianoforte che sfrutta al massimo le potenzialità dello strumento, le dieci dita delle mani e i due piedi dell’interprete. C’è da credere che la stupenda interpretazione del dedicatario, il pianista Nicolas Hodges (*1970), sia il risultato di una ricerca caparbia e appassionata.

“That Time” (2020) è un trio per sassofono, percussione e pianoforte, che non contiene tracce di musica d’intrattenimento. Una ricca percussione, un pianoforte talvolta usato in modo percussivo, il suono del sassofono onnipresente come un tessuto connettivo, che non attenua le asprezze timbriche. Insomma una musica che non fa sconti all’ascoltatore. Così l’ha resa il magnifico Trio Accanto: Marcus Weiss, sassofono, Christian Dierstein, percussioni, Nicolas Hodges, pianoforte, l’unico strumentista a doppio servizio.

Anche questa volta il programma di sala veniva in aiuto all’ascoltatore con un bel saggio di Leonie Reineke (*1989), nel quale ci sono informazioni intriganti sul processo artistico di Rebecca Saunders. Conferma la sua ricerca minuziosa della natura del suono in relazione alle peculiarità dello strumento che lo produce, della commistione fra suoni e rumori. Svela l’interesse per i colori non per uso metaforico, ma per un reale accostamento della percezione visiva alla percezione uditiva e ai processi mentali coinvolti. Un approccio culturale totalizzante, ma comunque venato di una punta di umorismo, che mi richiama un illustre precedente letterario: “Il gioco delle perle di vetro”, capolavoro di Hermann Hesse, apparso nel 1943, quando le neuroscienze erano ancora lontane dalle conoscenze di oggi.