Il medico specialista: ‘La sollecitazione non è poca. Lavoriamo nella protezione, ma l’obiettivo è prevenire’. A Bellinzona un simposio sul tema
Sono circa trecento i casi di violenza domestica censiti dalle quattro sedi di Pronto soccorso dell’Eoc, l’Ente ospedaliero cantonale, durante lo scorso anno. Quasi uno al giorno. «La sollecitazione non è poca», conferma il medico specialista al pronto soccorso dell’Ospedale di Locarno Alessandro Bianchi. Un bilancio poco soddisfacente, per usare un eufemismo. «La violenza domestica – constata Bianchi – è un fenomeno che è sempre esistito e che in qualche maniera ci sarà sempre. L’obiettivo chiaramente è prevenire». Va da sé, prosegue, «che quando le vittime arrivano in pronto soccorso è emblematico che qualcosa a livello di società non abbia funzionato». L’auspicio è che si lavori «nelle scuole per sradicare determinati concetti legati alla società patriarcale, spiegando che la violenza non è la soluzione per risolvere le controversie». Difficile che si azzerino i casi dunque. Ed è qui che entra in gioco la protezione, offerta anche in pronto soccorso.
Bianchi coordina internamente al servizio di pronto soccorso dell’Eoc il gruppo di lavoro sulla violenza domestica. Costituitosi nel 2022, è composto da infermieri e medici affiancati da una rappresentante del Servizio per l’aiuto alle vittime di reati, da operatrici delle case protette e da una rappresentante dell’Ordine dei medici del Canton Ticino. Scopo del gruppo, armonizzare la presa a carico delle vittime di violenza domestica nell’ambito del pronto soccorso. «Il gruppo – rievoca Bianchi – è nato dal basso. Partendo direttamente dal vissuto di chi lavora nel servizio, l’idea era di trovare soluzioni a problemi concreti. E questo anche per poter condividere situazioni che, come esseri umani, ci hanno talvolta anche turbati e messi in difficoltà. Di fronte ad alcune storie non è raro provare senso di impotenza, frustrazione o rabbia. Al di là dell’attività professionale, è fondamentale poterne parlare tra colleghi».
Tra le innovazioni realizzate dal gruppo di lavoro, la creazione di un protocollo unico da adottare di fronte a una vittima, ma anche le linee guida su come eseguire un rilievo fotografico secondo standard medico legali per un’eventuale segnalazione al procuratore pubblico. È stata poi sviluppata una formazione adeguata per gestire queste situazioni, suddivisa in una parte teorica e una pratica e organizzata più volte all’anno, a cui partecipano medici e infermieri del pronto soccorso. «Il personale curante – osserva il medico – è abituato a rapportarsi ai malati. Le vittime di violenza possono sì avere una malattia o aver subito lesioni fisiche anche gravi, ma statisticamente il più delle volte le ferite sono poche e semplici. Il vero motivo per cui la persona è lì, il più delle volte non è per il livido, ma per tutto il resto». L’intento, illustra Bianchi, «è quindi di formare il personale su come entrare in contatto con queste persone, in modo da evitare tra le altre cose la vittimizzazione secondaria. Ovvero fare in modo che la vittima non riviva la situazione traumatica a più riprese perché il personale non è in grado di essere efficace».
Bianchi parla chiaro, una pozione magica non esiste: «Ogni persona – rileva – ha una storia e un vissuto proprio. Non c’è una soluzione unica che può essere applicata a priori come succede invece per alcuni tipi di malattia, per i quali esistono trattamenti che possono essere estremamente standardizzati». Al contrario, in caso di violenza domestica, «quando raccogliamo queste testimonianze c’è molta emotività. A volte – non nasconde Bianchi – è molto difficile mantenere il famoso distacco terapeutico, accettando per esempio che una vittima possa rifiutare l’aiuto. È tuttavia centrale riconoscere che come operatori sanitari entriamo in un punto della loro storia e che accettare o meno l’aiuto non dipenda da noi. Spesso non si tratta di una mancanza di consapevolezza, ci sono molte ragioni che non possiamo conoscere. Magari semplicemente non sono pronte, a volte va così. Capita anche che alcune pazienti si ripresentino più volte, ma non sta a noi imporre loro delle scelte».
In questa direzione, è essenziale fornire informazioni su quali altri attori attivi nella lotta alla violenza domestica esistano sul territorio. Il gruppo di lavoro, come detto, collabora con il Servizio per l’aiuto alle vittime di reati e con le case protette. «La vittima – rimarca Bianchi – non solo viene curata in caso di ferite e assistita in pronto soccorso, ma anche consigliata attivamente su cosa fare dopo. Può esserci la necessità di un supporto di ordine psicologico o psichiatrico d’urgenza. Se c’è la volontà di denunciare, offriamo anche la possibilità che sia il pronto soccorso a contattare la Polizia». E tiene a precisare: «Tutto è fatto a partire dalle richieste della vittima, non ci sono automatismi. Fino al 2019 c’era l’obbligo di segnalazione, ora non è più così. Il cambiamento è stato fatto nell’ottica di assecondare i bisogni della vittima, rispettando il segreto medico e al fine di evitare che la paura di eventuali conseguenze spingesse le vittime a non presentarsi in pronto soccorso».
La violenza domestica sarà anche al centro del simposio ‘La violenza domestica tra medicina sul territorio e medicina ospedaliera’ organizzato dall’Eoc domani, martedì 26 novembre, all’Ospedale regionale di Bellinzona e Valli dalle 15 alle 19. «Il pomeriggio – spiega Bianchi – è rivolto a medici curanti e infermieri nel solco di fornire una visione più larga di questa tematica molto complessa». Alla conferenza parteciperanno rappresentanti del Servizio di aiuto alle vittime, della Polizia cantonale, delle Autorità regionali di protezione, delle case protette, dell’Ordine dei farmacisti, nonché dei medici di famiglia.