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La violenza domestica? ‘Un fatto sociale che riguarda tutti’

Dopo il convegno di Mendrisio sul linguaggio, la Supsi accende i riflettori su un fenomeno che non incide solo sul fisico delle donne

Urge un cambiamento culturale
(Ti-Press)
27 novembre 2023
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“Vivere il mio contesto di violenza quotidiana per me era la mia normalità”. A volte basta una frase per racchiudere un mondo e una storia. E quando una donna, una vittima della violenza domestica, trova il coraggio di parlare e denunciare, ecco che si scoperchia un vaso di Pandora tenuto per troppo tempo ben chiuso; e non solo dentro le sue quattro mura di casa. «Perché è un fatto sociale che ci riguarda tutti»: Lorenzo Pezzoli, responsabile del Centro competenze psicologia applicata della Supsi, va dritto al punto. Del resto, come mostrano troppo spesso le cronache, il tempo è ormai scaduto ed è giunto il momento di avviare un vero cambiamento culturale. E il primo passo è proprio quello di scardinare un linguaggio ancora troppo spesso espressione dei retaggi di una società patriarcale. Le parole, infatti, sono importanti. Lo ha testimoniato l'11 ottobre scorso il convegno sulla violenza di genere organizzato a Mendrisio dalla Città, grazie a una preziosa alleanza con la Supsi e Zonaprotetta. Ebbene martedì 28 novembre dalle parole si passerà ai fatti: la Supsi raccoglierà il testimone per accendere i riflettori sulla conoscenza e l’accoglienza delle vittime e sulle competenze della rete territoriale, chiamata oggi più che mai a mettersi in ascolto e a dare delle risposte. Tutto ciò nel corso di una giornata dedicata prevista al Centro studi di Trevano – dalle 8.30 – a Canobbio e rivolta in particolare al settore sociosanitario.

Dal sapere all’accoglienza

«Vittime, autori, società tutta siamo dentro a dei vocabolari che forse devono essere un po’ ripensati – Lorenzo Pezzoli non fa sconti –. Nelle dinamiche di violenza domestica il linguaggio è spesso lo strumento dell’abusante per collocare l’altro in una posizione inferiore, di subordinazione, soggezione, umiliazione. Per dirla con lo scrittore Pier Paolo Segneri, “il valore della diversità è l’uguaglianza”, nei diritti, nell’accesso ai servizi, nelle cure e nel salario». Il lessico familiare dovrebbe, insomma, essere un altro per mutare i comportamenti. «Diciamo che tutti siamo tenuti a fare la nostra parte. Sia chiaro – ci rende attenti Pezzoli –, la realtà della violenza domestica è una realtà complessa. A volte le realtà complesse lo sono a tal punto che per paradosso, si semplificano troppo. Soltanto dando il senso della complessità che questa dinamica porta con sé, però, si riesce davvero a comprendere il peso che la violenza domestica ha nella società. Di conseguenza, per affrontare delle realtà complesse occorre grande preparazione. Ovvero bisogna conoscere e saper fare, che significa essere in grado di orientarsi nella rete dei professionisti, dei servizi coinvolti o coinvolgibili nella presa a carico e nell’aiuto delle persone vittime di violenza, e anche degli autori (mi permetto di dire)».

Ecco che il passo successivo, cruciale, è quello dell’accoglienza. «E qui – ci spiega Pezzoli – la chiave di volta, accanto a conoscenze e competenze, è la sensibilità, che è il presupposto per l’accoglienza di chi è vittima di violenza domestica. Ed è una sensibilità che nasce dall’esercizio, dalla capacità di fare spazio all’altro, che in questo caso arriva con qualcosa di forte e deflagrante come la violenza domestica. Infatti, è portatore di un grande fardello che parla di lacerazioni, ferite, che non sono solo il qui e ora di quell’atto ultimo di violenza per il quale la persona arriva ai servizi, ma purtroppo di un percorso di progressiva vittimizzazione. Quindi bisogna anche sapere stare in queste relazioni offrendo loro lo spazio giusto. Lo spazio ma anche il tempo necessario, al di là delle agende piene e delle impellenze anche amministrativo-burocratiche delle relazioni di aiuto. E questo affinché il grande male che si è sviluppato possa emergere, perché ci sia quella intimità e relazione sufficiente, che si crei la fiducia perché l’altro si apra e si racconti».

‘Non cogliere i segnali è un fallimento’

Per il responsabile del Centro Supsi non vi è, dunque, che una via: «Chi si occupa di violenza domestica e a tutti i livelli – dal pronto soccorso ai servizi sociali, fino allo studio di uno psicologo – deve avere grande cura». Quindi incrociare il sapere e collaborare – in altre parole dialogare tra professionisti – diventa fondamentale. «Dobbiamo lavorare tutti nella stessa direzione – Tiziana Madella, delegata alle pari opportunità della Città di Mendrisio, non ha dubbi –. Dal punto di vista della Città – che ha scelto un preciso piano d’azione con la politica di genere, ndr – è fondamentale lavorare su queste azioni e nel territorio, ma al contempo lavorare con le università, i centri di ricerca: è l’opportunità di approfondire meglio alcune tematiche e di migliorare le formazioni delle nostre équipe. I servizi sociali sono chiamati in prima linea a cogliere i segnali delle vittime di violenza domestica e ad accogliere le persone che arrivano ai servizi. Anche qui la professionalità delle nostre operatrici è una risposta in termini di diritti».

Non sempre, però, è semplice cogliere quei segnali. «Mi sono ritrovata tra le mani alcune testimonianze di persone, soprattutto donne, che hanno vissuto situazioni di violenza; e queste violenze possono essere reiterate fino al momento in cui la segnalazione non viene accolta. E questo è un tema estremamente importante – ci conferma Madella –. Vengo da 20 anni di lavoro operativo: ai miei collaboratori e collaboratrici dico sempre, infatti, di non sottovalutare i segnali, le richieste che ci arrivano. Non tutte le persone, in effetti, portano una richiesta esplicita. Da qui la complessità di un fenomeno che è a 360 gradi e riguarda tutti i servizi, soprattutto chi lavora al fronte e laddove parliamo di violenza economica, psicologica, ovvero di quelle situazioni in cui non arrivi al pronto soccorso con il braccio rotto o i lividi. Non agganciare una persona, insomma, può essere un fallimento».

‘Occorre lavorare anche con gli abusanti’

Tiziana Madella, in ogni caso, va oltre e allarga pure lei lo sguardo agli autori delle violenze. «Infatti dobbiamo lavorare anche per accogliere gli abusatori: ogni tanto ci capitano delle situazioni in cui abbiamo di fronte la coppia. A quel punto ci prendiamo a carico pure il maltrattante, perché comunque cerchiamo di investire affinché anche questa persona possa essere seguita, possa fare un percorso e abbia una operatrice dedicata. E lo dico in un momento in cui si sta parlando tantissimo di violenza domestica, in un momento nel quale dobbiamo porre attenzione anche ad altri aspetti». Per Lorenzo Pezzoli, non a caso, «approcciare vittime e autori è un segno di maturità di un servizio – ci dice –. Sappiamo che lavorare pure con gli autori può incidere sulla qualità della vita e sulle possibilità, oltre ad avere una valenza preventiva importante. Del resto, a volte l’autore è anche genitore e questo aumenta la complessità e la delicatezza dell’intervento da mettere in atto con le varie parti in gioco».

Riscoprirsi portatrici di diritti

Sul territorio a Mendrisio i servizi comunali, ci fa presente ancora Madella, sono maggiormente confrontati con situazioni di violenza psicologica ed economica. «E qui – annota – abbiamo un ruolo comunque importante, perché possiamo innestare uno spiraglio di speranza: che si può fare in maniera diversa, per sé e per i propri figli». Mentre la narrazione quotidiana ci racconta in particolare di abusi fisici e femminicidi, questa altra realtà violenta è poco conosciuta. «Molte donne – aggiunge Pezzoli – sono vittime di violenze psicologiche ed economiche di cui non si rendono conto, perché non sanno che anche quella è violenza. L’accesso alle risorse della famiglia, la possibilità di avere un lavoro, di gestire il proprio stipendio, di sapere gli investimenti economici fatti all’interno della famiglia è un diritto. E per queste donne è importante riscoprirsi portatrici di diritti. Non dimentichiamo che, etimologicamente, essere violenti significa irrompere con forza nel campo dell’altro, senza il suo permesso».

Un tema anche nella popolazione anziana

L’universo della violenza domestica, poi, sta rivelando un’altra faccia, inaspettata. «In effetti – ci fa notare Tiziana Madella – l’invecchiamento, una popolazione anziana al femminile ci porta a confrontarci altresì con vittime anziane di violenza, di cui si parla molto poco. E i numeri sono importanti. Vi sono infatti donne ultrasettantenni e ultraottantenni che perdono la vita, che non vanno all’onore della cronaca, e che spesso hanno alle spalle situazioni di questo tipo. Detto altrimenti: l’invecchiamento della popolazione fa sì che queste tematiche ce le possiamo ritrovare in situazioni anche di coppie in là con l’età. Ed è un tema che spesso arriva ai servizi e su cui non siamo ancora preparati. Ancora una volta, questo fenomeno è complesso e riguarda tutte le fasce di età».

E tra le generazioni

Pezzoli ci mette un ulteriore carico. «Dirò di più: oggi gli studi in ambito psicodinamico e neuropsicologico ci dicono che i traumi della violenza passano di generazione in generazione. Purtroppo non si risolvono con chi ha subito la violenza. Stiamo parlando di una piaga che non si ferma nell’atto e nella situazione specifica, nella storia di una persona – il che è già grave –, ma si estende nel tempo e sovrasta le generazioni». Nonostante tutto, però, non bisogna perdere la speranza. «Abbiamo tanti esempi positivi di donne che ce l’hanno fatta», ci conforta Madella. “Finalmente respiravo: è qui che ho realizzato che potevo cambiare pagina e iniziare a sognare un futuro diverso”.

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