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‘Profilazione razziale o altre discriminazioni? Segnalatecelo’

In Ticino c’è un Centro di prevenzione che si occupa di ascolto e consulenza. La coordinatrice: ‘Più dati raccogliamo e meglio possiamo intervenire’

‘Il servizio è del tutto confidenziale, si decide insieme come affrontare l’episodio’
(Keystone)
2 agosto 2024
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«È quello che succede sempre anche a mio figlio, soprattutto sui treni». Dal tono di Giuseppe nell’esclamare questa frase trapela tutta l’amarezza di un genitore di fronte a un’ingiustizia fattasi consuetudine. È sabato mattina al mercato di Bellinzona, sul tavolino l’edizione del giorno – 20 luglio – de ‘laRegione’ aperta alla doppia pagina che tratta il tema della “profilazione razziale”, quella pratica per cui una persona è controllata da agenti di polizia, di sicurezza o da guardie di confine non in base a sospetti concreti, ma per le sue caratteristiche manifeste – soprattutto il colore della pelle – riconducibili a determinate origini etniche o fedi religiose, reali o ipotetiche che siano. Il figlio di Giuseppe ha la pelle scura, come Manuel, del quale quell’articolo raccontava la storia, segnata per un certo periodo da controlli in media ogni paio di mesi, in treni o spazi affollati, con ordini di svuotare lo zaino spesso impartiti sgarbatamente, fino a un ammanettamento con trasporto al posto di comando in piena notte per un interrogatorio di diverse ore.

Nel nostro cantone come nel resto della Svizzera la profilazione razziale è una realtà e non riguarda solo pochi casi isolati, anche se le segnalazioni sono decisamente scarse. «Purtroppo molte persone non sanno che in Ticino esiste un apposito servizio che permette di segnalare episodi di discriminazione subiti o a cui si è assistito e per questo solo una minima parte si fa avanti», rileva Mariaelena Biliato, coordinatrice del Centro per la prevenzione delle discriminazioni (Cpd, www.discriminazione.ch, telefono: 0800 194 800), che opera su mandato del Servizio per l’integrazione degli stranieri (Sis) del Dipartimento istituzioni (Di). Inaugurato a gennaio 2022, il Centro con sede a Lugano offre un servizio di ascolto e consulenza contro il razzismo che fino a due anni e mezzo fa era garantito da un altro ente. Abbiamo intervistato la coordinatrice.

Da quando è stato aperto il Centro per la prevenzione delle discriminazioni avete mai ricevuto segnalazioni relative a casi di profilazione razziale?

Ci sono giunte alcune testimonianze di persone che hanno assistito a controlli ritenuti eccessivi o discriminatori, soprattutto nei treni e alle dogane, ma non ci sono mai arrivate segnalazioni da vittime dirette. Tuttavia anche le testimonianze vengono registrate e confluiscono nel Rapporto nazionale sul razzismo in Svizzera.

Come agireste di fronte a segnalazioni di questo genere nei confronti della vittima?

Avendo finora ricevuto segnalazioni solo da testimoni, le abbiamo raccolte nel dettaglio e segnalate alla Commissione federale contro il razzismo (Cfr), che si occupa di discriminazione razziale su mandato del Consiglio federale. È proprio tale Commissione a pubblicare il menzionato Rapporto nazionale sul razzismo in Svizzera. In generale, comunque, quando una vittima denuncia di aver subito razzismo, noi agiamo sempre e solo secondo la sua volontà. Le situazioni sono sempre molto complesse quindi è più utile affrontarle caso per caso e non fare generalizzazioni. L’approccio più efficace è cercare il dialogo tra le parti coinvolte.

Come vi approccereste nei confronti dell’autore, qualora identificato in agenti della Polizia cantonale o comunale? E nel caso in cui si trattasse di guardie di confine o dei trasporti – corpi gestiti a livello federale – che margine di intervento avete?

Anche se, come detto, sinora non ci sono giunte segnalazioni da vittime dirette, pure in questo caso la parola d’ordine sarebbe il dialogo. Certo è più facile entrare in contatto con gli enti cantonali e locali, ma avendo un’ottima collaborazione con la Cfr se dovessimo relazionarci con enti gestiti a livello federale, come le guardie di confine o la polizia dei trasporti, possiamo sempre contare sul supporto di questa Commissione. Più dati vengono raccolti, più possiamo agire per prevenire razzismo e discriminazioni.

Il capo area della Gendarmeria della Polizia cantonale Marco Zambetti, nel citato articolo sul tema della profilazione razziale, spiegava che nel corso delle lezioni di interculturalità per la Scuola di polizia 2023 si sono potuti integrare due momenti formativi co-gestiti con il vostro Centro. Che aspetti sono stati trattati: si è espressamente affrontata la questione della profilazione razziale? Simili momenti verranno riproposti?

Dato che siamo un Centro relativamente giovane, ci siamo inseriti da poco in un programma di formazione già molto impegnativo e consolidato. Abbiamo affrontato innanzitutto il tema della norma penale anti-discriminazione (art. 261 bis CP), con esempi di razzismo nello spazio pubblico dove la polizia può intervenire a difesa delle vittime. L’anno scorso è stato pubblicato lo Swiss crime survey 2022, l’analisi dei crimini nel Paese, che per la prima volta ha recensito anche i crimini d’odio motivati da pregiudizi, tra cui il razzismo. Questa formazione è una risposta concreta anche a questi nuovi fenomeni criminali. Poi abbiamo visitato l’esposizione “Noi e gli Altri”, promossa in Ticino dal Servizio per l’integrazione degli stranieri del Di. L’esposizione per sua natura favorisce molto il dialogo e questo ha creato momenti di scambio dove, ad esempio, le e gli aspiranti si sono interessati a come noi possiamo sostenere le vittime di razzismo laddove la polizia invece non può intervenire ad esempio perché non ci sono margini per la denuncia penale secondo il 261 bis. Penso quindi che si possa continuare a lavorare insieme.

Ritiene sufficiente la formazione relativa alle discriminazioni nelle Scuole di polizia ticinese o avete in programma di contribuire al suo potenziamento?

Abbiamo iniziato da poco quindi è prematuro fare valutazioni. Sicuramente posso dire che la nostra proposta di collaborazione è stata accolta subito e c’è un’ottima sinergia. Sulla base delle esigenze che emergeranno possiamo certamente adattare o potenziare il nostro contributo.

Più in generale, quali ambiti riguardano le segnalazioni che ricevete con maggior frequenza e quali sono le persone più colpite?

Ci vengono segnalati soprattutto episodi di vessazioni e insulti a carattere razzista ed episodi di disparità di trattamento. Le persone più colpite risultano essere le persone nere, o comunque le persone razzializzate, cioè le persone che hanno tratti somatici per i quali vengono percepite come straniere o appartenenti a minoranze. Questo rispecchia il dato nazionale.

Il vostro invito è di segnalare tutti i casi di discriminazione subiti o a cui si è assistito al Cpd? Qual è l’utilità?

Assolutamente. Segnalare serve per far emergere le situazioni più comuni e così capire quali sono le aree di intervento alle quali dare la priorità. Gli interventi possono essere svolti su vari livelli in numerosi ambiti della società come scuole, amministrazione pubblica, pubblico ampio eccetera. Un intervento può essere anche un momento di formazione, ad esempio sul linguaggio non violento, visto che vengono spesso segnalate vessazioni e ingiurie razziste. Ma rivolgersi a un Centro come il nostro serve anche per trovare uno spazio di ascolto e non sentirsi soli. In un caso che abbiamo accolto, la consulenza si è poi tradotta in uno spettacolo di teatro per sensibilizzare contro il razzismo.

Come già da voi dichiarato, è stato notato un aumento del numero di segnalazioni al Cpd a seguito di nostri approfondimenti giornalistici sul tema del razzismo in ambito scolastico. La visibilità mediatica può quindi avere un impatto concreto sul numero di segnalazioni, permettendo di far affiorare quei casi della “parte sommersa dell’iceberg”?

Decisamente sì. Dall’ultima indagine dell’Ufficio federale di statistica sulla discriminazione e il razzismo in Svizzera, sappiamo che la maggior parte delle vittime di razzismo tende a parlare di questi episodi in famiglia. È possibile che anche questo sia legato alla non conoscenza di Centri come il nostro. In tal senso, è importante che vari attori della società, dall’ambito formativo e lavorativo alle istituzioni e ai media, sappiano dell’esistenza del nostro Centro e della possibilità di usufruire del nostro servizio.

In quali altri modi vi adoperate per cercare di fare emergere questi casi nell’ombra?

Il servizio è del tutto confidenziale, ma raccogliamo segnalazioni anche in forma anonima, vale a dire che la persona non è mai obbligata a dare i suoi dati personali né a fare nomi di luoghi o persone dove ha subito una discriminazione. Nelle presentazioni del servizio specifichiamo sempre che segnalare non vuol dire esporsi, anzi, si decide insieme come affrontare l’episodio. Nelle varie attività di sensibilizzazione e formazione che svolgiamo spieghiamo sempre nel dettaglio cosa significa segnalare un episodio, al fine di aumentare la fiducia delle persone nel rivolgersi al nostro Centro. Le attività di sensibilizzazione sono particolarmente importanti poiché, spesso, chi è testimone di episodi razzisti e anche chi ne è vittima non li riconosce o tende a minimizzarli. Per chi è vittima di razzismo questo può ovviamente essere un legittimo meccanismo di auto-protezione dal dolore derivante dal raccontare la propria esperienza, solitamente ripetuta, di discriminazione. La conoscenza del Cpd e del nostro approccio di ascolto e orientamento ai bisogni della persona avviene in occasione di tutti gli interventi e le attività che facciamo in collaborazione con altre associazioni ed enti attivi nel nostro cantone.

Come invece vi adoperate per contrastare le discriminazioni?

Offriamo momenti di formazione e partecipiamo a eventi di sensibilizzazione, come la Settimana cantonale contro il razzismo promossa dal Sis. Durante questa settimana varie associazioni ed enti come scuole e Comuni propongono delle attività di sensibilizzazione al fenomeno del razzismo. Essendo il razzismo non solo un fenomeno interpersonale, ma sistemico – presente dunque a livello istituzionale e sociale –, è importante lavorare in rete e in sinergia con il maggior numero possibile di realtà. In particolare il Sis è attivo per mettere in rete associazioni ed enti pubblici verso lo scopo comune di prevenire le discriminazioni.

Può citarmi un’esperienza significativa in cui il vostro intervento ha avuto effetti concreti per risolvere un caso di discriminazione?

Ci sono alcune situazioni che sono particolarmente significative. Per esempio l’anno scorso una denuncia per un episodio grave è andata a buon fine e l’atto discriminatorio è stato punito. In un altro caso una persona discriminata nella ricerca di lavoro ha ottenuto di essere accompagnata da un consulente più adatto alle sue esigenze e infine in un episodio nel contesto scolastico vi è stato un intervento della direzione scolastica che ha preso posizione apertamente contro una situazione di razzismo in classe tra compagni e la situazione si è placata perché gli allievi hanno compreso che quei comportamenti avrebbero compromesso la loro carriera scolastica.