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Caso Gobbi, quell’opinione scomoda che compare e scompare

Tio ritira, dietro richiesta dell’autore, contributo esterno sull’incidente del ministro. Feo: ‘Sembra dopo una minaccia di querela da parte del legale’

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(Ti-Press)
19 aprile 2024
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Un’opinione prima pubblicata, poi rimossa. Su richiesta dello stesso autore, sembra dietro minaccia di querela. La vicenda dell’incidente del direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi la notte del 14 novembre sull’autostrada A2 in zona Stalvedro direzione sud-nord, assieme a tutti i suoi addentellati, non smette di arricchirsi di elementi collaterali. Alcuni preoccupanti anche se non riguardano le indagini ma il diritto d’opinione e i media.

Con ordine. Sono le 6.30 di stamattina quando sul portale tio.ch compare un articolo a firma del caporedattore Sal Feo, che informa di come il sito sia stato “costretto” a rimuovere un’opinione. “Sono meno di 900 i lettori che ieri mattina (giovedì, ndr) sono riusciti a leggere l’opinione di Lorenzo Onderka, candidato di Avanti con Ticino&Lavoro, dal titolo ‘Se questo è un leader’”, si legge nell’articolo di Feo. Un commento, quello di Onderka, “inerente alla vicenda dell’incidente che ha visto coinvolto Norman Gobbi, e che è stato pubblicato in mattinata su questo portale, nello spazio dedicato agli ospiti”. Ebbene, “il contributo di Lorenzo Onderka è stato visibile solo per alcune ore. Poco prima di mezzogiorno, a seguito di una chiamata in redazione – prima da parte di Amalia Mirante, che ci chiedeva di togliere dall’articolo di Onderka il riferimento al partito Avanti con Ticino&Lavoro, e poi da parte dello stesso Onderka che invece ci chiedeva di eliminare del tutto il suo contributo – abbiamo provveduto a togliere dal sito l’articolo ‘Se questo è un leader’”.

Il motivo di queste richieste? Il motivo è che “il contenuto dell’ospitata di Onderka ha indignato Renzo Galfetti, l’avvocato che difende gli interessi di Norman Gobbi, e sembra che li abbia minacciati di querela”. Quella che Feo definisce “doverosa chiarezza”, per lo stesso caporedattore di tio.ch “è resa necessaria a fronte di tutti coloro che ci hanno chiesto che fine avesse fatto il contributo ‘Se questo è un leader’”. Una “chiarezza” che non sempre viene resa pubblica quando appaiono e scompaiono articoli o, come in questo caso, opinioni esterne al media coinvolto. E che sono sintomatiche del momento.

‘È la prima volta in venticinque anni’

«È la prima volta in venticinque anni che lavoro a Tio che un esponente politico mi chiama per togliere un contributo perché non è piaciuto o ha ricevuto una lettera con minacce di querela, e appunto per questo ho ritenuto di dover informare i lettori di quanto successo», commenta da noi raggiunto Sal Feo. Che ribadisce il suo essere «perplesso e sbigottito davanti a una novità di questo genere, non pensavo che in Ticino un intervento esterno potesse essere di una portata talmente forte da indurre chi manda un’opinione a chiedere di togliere il proprio intervento, che non mi sembrava in alcun modo offensivo».

Per saperne di più abbiamo contattato in serata l’avvocato Renzo Galfetti, ma il legale non rilascia dichiarazioni. Preferisce dunque non commentare.

Il ritornello leghista sui ‘media di regime’

Ha invece tutta l’aria di essere un attacco ai media il comunicato stampa dell’altro ieri della Lega dei Ticinesi in relazione al caso Gobbi (il consigliere di Stato è anche coordinatore del movimento). Nella nota, stavolta non firmata da nessuno dei cosiddetti luogotenenti, si ribadisce che “non esiste alcun ‘caso Gobbi’”, ma che esisterebbero, a detta della Lega, fra gli altri un “‘caso media di regime’”. Quei media rei, stando al movimento, “di fare propaganda politico-partitica e non informazione, dedicando paginate e ore di trasmissione a una non vicenda”. Il solito refrain. Mentre si attende l’esito dell’inchiesta penale sull’incidente, vale allora senz’altro la pena rispolverare una sentenza della Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, emessa il 4 luglio 2023.

La Cedu: ‘Anche informazioni non gradite’

“La Corte – si legge – ha costantemente affermato che la libertà di espressione è uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e una delle condizioni primarie per il suo progresso e per lo sviluppo di ogni individuo. (...) Essa si applica non solo alle ‘informazioni’ o alle ‘idee’ che sono accolte favorevolmente o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche a quelle che offendono, scioccano o disturbano: sono questi – sottolinea la Cedu – i requisiti del pluralismo, della tolleranza e dell’apertura, senza i quali non può esistere una ‘società democratica’. La libertà di espressione, aggiunge la Corte europea, “è soggetta a eccezioni che devono, tuttavia, essere interpretate in modo restrittivo e la necessità di limitarla deve essere dimostrata in modo convincente”. E ancora: “Per quanto riguarda la libertà di stampa, se è vero che essa non deve oltrepassare certi limiti, in particolare per quanto riguarda la protezione della reputazione o dei diritti altrui, è tuttavia tenuta a comunicare, conformemente ai suoi doveri e alle sue responsabilità, informazioni e idee su tutte le questioni di interesse generale. Pertanto, il compito di fornire informazioni comporta necessariamente “doveri e responsabilità” e limiti che gli organi di stampa devono spontaneamente imporsi. Oltre alla funzione della stampa, che è quella di diffondere informazioni e idee su questioni di interesse generale, il pubblico ha il diritto di riceverle. In caso contrario, la stampa non sarebbe in grado di svolgere il suo indispensabile ruolo di ‘cane da guardia’”.

L’avvocato Allidi: ‘Evitare l’autocensura’

Da noi interpellato, l’avvocato e membro del Consiglio svizzero della stampa Luca Allidi si esprime pure lui in termini generali: «Il problema non è il quadro normativo: del quadro normativo del giornalismo fanno parte anche la Costituzione federale e la Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista. Il primo degli undici doveri del giornalista elencato nella Dichiarazione è ‘la ricerca della verità e il rispetto del pubblico di venirne a conoscenza’». Non solo. «Nel preambolo della nostra Costituzione – annota ancora Allidi – c’è poi un monito che è bellissimo. I padri costituenti ci ricordano che ‘libero è soltanto chi usa della sua libertà’». Libertà di stampa, evidenzia il legale, «vuol dire diritto, ma anche, e soprattutto, dovere di cronaca. Il giornalista che vuole fare bene il suo mestiere deve ovviamente conoscere i limiti giuridici della sua professione e deve sapere che i limiti della libertà di stampa sono fatti per non essere superati. Ma sono fatti anche per essere (almeno) raggiunti. ‘Tenersi a debita distanza’ non è un bel modo di fare giornalismo. Altrimenti, già che ci siamo, per essere sicuri di non correre alcun rischio, non scriviamo. E bell’è fatta. Si chiama autocensura. È un’attitudine assai frequente, purtroppo. E, credo, la peggior malattia del giornalista».

Insomma, osserva Allidi, «se il giornalismo – in Svizzera e in Ticino – può sembrare a volte un tantino ‘frenato’ non è certo colpa del quadro normativo. Credo che sia soprattutto un problema di cultura giornalistica e di contesto sociale. In Ticino ci siamo ormai abituati a sentire frasi del tipo: ‘Vogliamo fare un giornalismo critico e indipendente’. Che scoperta! Se non è critico e non è indipendente non è giornalismo! Oppure: ‘Vogliamo essere un giornale vicino alle istituzioni’. Che cosa vorrà mai dire?! Il giornalismo non è vicino a nessuno. Il giornalismo cerca di avvicinarsi il più possibile ai fatti e alla verità». Dunque «è una questione di attitudine. Come nello sport. Al cancelletto di partenza, Marco Odermatt – che conosce perfettamente i rischi di una discesa libera e non è sicuramente una testa calda… – non pensa mica ‘è meglio che vada piano, altrimenti cado…’. Pensa semplicemente a lasciare scorrere gli sci per andare più forte possibile».

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