Ticino

‘Sul caso Gobbi atti e comunicati dal sapore intimidatorio’

In Gran Consiglio le interpellanze restano in sospeso. Dadò (Centro): ‘L’urgenza non è certo nei sensi dell’orologio, bensì per la portata istituzionale’

In sintesi:
  • ‘Questi atti parlamentari non sono un’accusa’
  • ‘Prima gli accertamenti penali, poi le risposte. Punto per punto’
‘Il compito di informazione è passato su un piano istituzionale’
(Ti-Press)
15 aprile 2024
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Le domande che ruotano intorno all’incidente di Norman Gobbi restano in sospeso. Il Consiglio di Stato, davanti al parlamento, non ha risposto alle interpellanze sul tema. «C’è un’inchiesta penale in corso, non possiamo parlare». Punto e stop. Una posizione condivisa anche dal deputato del Centro Fiorenzo Dadò, il primo a rendere pubblica la vicenda con il suo atto parlamentare presentato il 14 marzo: «L’urgenza di questa interpellanza non è certo da intendere nei sensi dell’orologio, bensì per la sua portata istituzionale e interesse pubblico. Ovvero la necessità di chiarimento dei dubbi che si è permesso circolassero per mesi senza far nulla. Dubbi che hanno gettato giorno dopo giorno discredito, sospetti, magari anche illazioni e cattiverie sulle nostre forze dell’ordine e sul Consiglio di Stato».

‘Non è chi solleva il coperchio del pentolone a dover rispondere di qualcosa’

Dadò ha però voluto fissare qualche punto. «Il tentativo di attribuire colpe o responsabilità attraverso atti, atteggiamenti, comunicati e dichiarazioni goliardiche o dal sapore intimidatorio non deve trovare dimora in questo Paese fintanto che sarà retto dal diritto». Il riferimento è agli attacchi nei confronti di media, politici e chi «per paura» si è espresso tramite lettere anonime. Critiche arrivate soprattutto dalla Lega e dall’avvocato del direttore del Di. Riprende il presidente del Centro: «Se e quando si viene messi a conoscenza di fatti potenzialmente gravi da fonti fededegne. E sottolineo: fededegne. Non saranno mica coloro che sollevano il coperchio del pentolone, o coloro che desiderano capire di cosa è fatta la brodaglia maleodorante, a dover rispondere di qualcosa». Restando nella metafora culinaria, «sono coloro che hanno cucinato il minestrone, permettendo tutto questo casino, a dover chiarire in modo puntuale la situazione di fronte ai cittadini».

‘Chi si sente sul banco degli imputati dovrebbe essere felice di poter chiarire’

Senza citarlo direttamente, Dadò si è poi rivolto al coordinatore della Lega. «Queste interpellanze non sono un atto di accusa per nessuno. Anzi, dovrebbero essere salutate con soddisfazione e persino con il sorriso. Finalmente anche chi oggi, per esclusiva responsabilità sua, si sente sul banco degli imputati ha la felice opportunità di chiarire, seppur tardivamente, quanto doveva e poteva essere spiegato già mesi fa alle prime domande dei giornalisti». E sottolinea: «Se quanto capitato quella notte è stato affrontato da tutti gli attori coinvolti in modo perfetto, lindo e con lo stesso identico guanto con il quale si tratta ogni singolo cittadino, non dovrebbe proprio esserci nulla da temere o per il quale agitarsi».

Nel suo intervento Dadò ha anche criticato l’Up, l’Ufficio presidenziale, per aver deciso di portare in aula le interpellanze già durante questa sessione. «Non si può che provare imbarazzo a dover prendere la parola quest’oggi, anche in virtù della separazione dei poteri, che hanno ben definite priorità e urgenze, e che dovrebbero suggerire buonsenso. Avevo chiesto – puntualizza il deputato – di congelare l’interpellanza, per ovvi motivi, perlomeno fintanto che l’inchiesta della Magistratura abbia chiarito eventuali responsabilità penali delle parti coinvolte». Eppure così non è stato. «In Up ha prevalso il bizantinismo alla sostanza». Risposte che però Dadò si aspetta, al di là dell’esito dell’inchiesta penale avviata dal procuratore generale Andrea Pagani nei confronti di un agente della polizia cantonale e di ignoti per abuso di potere e favoreggiamento. «Il Paese attende l’esito degli accertamenti penali, dopodiché, punto per punto, a queste e altre domande che seguiranno occorrerà dare risposta». Anche perché, indipendentemente da quanto dirà la Magistratura sulla questione penale, «l’aspetto politico, amministrativo e in generale di conduzione e opportunità necessitano una risposta convincente e magari un dibattito in quest’aula».

‘L’inchiesta in corso costituisce un impedimento a rispondere’

Dibattito, come detto, non pervenuto. Sollecitata in due occasioni dai deputati del Movimento per il socialismo Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini, la discussione generale è stata puntualmente respinta dai parlamentari. Altre due interpellanze sulla vicenda erano state infatti depositate dai due granconsiglieri dell’Mps. A prendere la parola per la prima, dal titolo ‘Trasparenza e informazione: quale deve essere il ruolo della Polizia cantonale?’, Sergi: «Crediamo che questa interpellanza debba ricevere una risposta perché esula dai destini del consigliere di Stato e pone il problema della politica di comunicazione di un ente fondamentale come la polizia. Gli organi dirigenti della polizia – ricorda il deputato – sono stati interpellati dalla stampa su quali siano le procedure, in generale, normalmente seguite nel caso di incidenti e relativi accertamenti sulla misurazione del tasso alcolemico». Per Sergi, «la polizia ha sempre insistito sulla necessità di informare la popolazione, ragione per cui sarebbe stato importante che i cittadini potessero sapere quali siano le procedure standard, non quelle relative a un personaggio politico, che vengono seguite». E questo per un motivo molto semplice: «Il giorno in cui si risponderà alle domande di Dadò, disponendo di queste informazioni, i cittadini avrebbero potuto paragonare il trattamento riservato al consigliere di Stato a quello previsto per tutti». La polizia, sancisce Sergi, «in questo caso non ha ottemperato ai suoi obblighi informativi».

Dal canto suo, per il presidente del governo Raffaele De Rosa, «è comprensibile che la Polizia cantonale abbia evitato di rispondere anche alle domande di carattere più generale poste dalla stampa», essendo «direttamente connesse con alcune domande di carattere più specifico poste nell’interpellanza del deputato Dadò». Con il deposito dell’atto parlamentare, «il compito di informazione è passato infatti su un piano istituzionale tra governo e parlamento. Si giustifica quindi che la Polizia cantonale abbia reputato di non essere autorizzata a fornire a terzi informazioni, benché di carattere generale. Come noto, il Ministero pubblico ha aperto un procedimento penale sui fatti oggetto dell’interpellanza e l’inchiesta in corso costituisce un impedimento a rispondere». Non si è fatta attendere la replica di Sergi: «Sono nettamente insoddisfatto perché il Consiglio di Stato interpreta a modo suo le cose. È assurdo che indicazioni di carattere generale non vengano fornite semplicemente perché in questo caso è coinvolta una persona importante».

L’altra interpellanza, intitolata ‘L’incidente di Gobbi e le conseguenze politiche’, chiedeva al governo chiarezza su due punti. «Innanzitutto – ricorda Pronzini – se non sia il caso che questa inchiesta venga data a un procuratore straordinario esterno. Qual è poi la valutazione politica del Consiglio di Stato su questo caso e sull’opportunità di affidare le competenze di Gobbi in qualità di responsabile del Di a un altro membro dell’Esecutivo?». Lapidaria la replica di De Rosa. «Alla prima domanda, la risposta è no. Per quanto concerne la seconda, come comunicato il 27 marzo dal governo, la responsabilità politica sulla Polizia cantonale è stata temporaneamente affidata a Claudio Zali, direttore supplente del Di, a seguito della decisione di autosospensione del collega Gobbi. Per la magistratura il problema non si pone stante la separazione dei poteri».

‘Frontalieri, i margini della preferenza indigena sono limitati’

I margini legali a disposizione del Ticino per agire sul tema dei lavoratori frontalieri e della preferenza indigena sono limitati. A ribadirlo, ancora una volta, è il Gran Consiglio che ha respinto un tris di mozioni presentate dalle deputate Lara Filippini (Udc) e Sabrina Aldi (Lega). I tre atti parlamentari chiedevano di fermare il rilascio dei permessi G – quelli concessi ai frontalieri –, di introdurre l’obbligo di risiedere in Ticino entro due anni dall’assunzione nel settore pubblico o in uno finanziato pubblicamente e di agire direttamente sul tema del frontalierato senza delegare la questione a commissioni ad hoc. «Sono temi che negli ultimi quindici anni frequentemente hanno interessato il dibattito. Spesso sono però stati un giro a vuoto, non tanto per mancanza di volontà politica, ma per i vincoli imposti dal diritto superiore, che è fortemente liberale», sostiene Gobbi.