Per Giorgio Fonio, Ocst, questa linea ‘rischia di avere delle ripercussioni’. Per il legale è stata una ‘occasione mancata’
Davanti a sé ieri il docente della Spai di Mendrisio ha trovato un muro. Che la Commissione di conciliazione non è riuscita a infrangere, neanche dopo un’audienza durata oltre due ore. Da parte dei rappresentanti del Decs, il Dipartimento educazione, cultura e sport – quindi dello Stato –, non è stato fatto alcun passo indietro. Il professore di elettrotecnica, insomma, verrà licenziato. In buona sostanza la sentenza pronunciata a metà agosto dal Tribunale cantonale amministrativo (Tram) – a cui l’insegnante si è appellato – non ha spostato di una virgola le posizioni dipartimentali. Eppure i giudici erano stati chiari e netti: l’autorità cantonale ha violato il diritto a essere sentito del dipendente del Centro professionale tecnico. Un vizio procedurale valso l’annullamento del provvedimento di sospensione con effetto immediato recapitato a inizio giugno al professor Roberto Caruso. La sua colpa? Aver tenuto “un atteggiamento irrispettoso verso i suoi superiori, che configura – si leggeva nella comunicazione della Divisione della formazione professionale – una violazione dei suoi doveri di servizio”.
Sta di fatto che il docente per il Tram avrebbe dovuto poter difendere le sue ragioni. Una lacuna di forma e di sostanza che non ha impedito, come detto, di fermare il licenziamento. E ciò sebbene lo stesso Dipartimento da queste colonne abbia ribadito che prendeva “sul serio le considerazioni espresse dal tribunale”. All’uscita del Palazzo di giustizia a Lugano, Roberto Caruso non aveva parole per l’epilogo della vertenza. «Il dispiacere più grande è per i miei ragazzi – ci dice –. Ora intendo chiedere alla direttrice del Decs – Marina Carobbio, ndr – di poter incontrare i miei alunni assieme a lei. Anche se sin qui non ha mai risposto alle mie missive», rimarca con la voce rotta dall’emozione. Certo resta l’amaro in bocca: «La mia carriera finisce qui, oggi. Se la giustizia mi darà ragione, essere risarcito non mi compenserà. Il mio desiderio era e resta quello di tornare in classe».
Il professore e con lui il Sindacato Ocst, comunque, non intendono arrendersi e andranno fino in fondo. «Andremo avanti, in tutte le sedi possibili», conferma il segretario regionale Ocst Giorgio Fonio. Non appena sarà notificato ufficialmente il licenziamento si tornerà di fronte al Tribunale cantonale amministrativo. Istanza dove è pendente pure un ricorso dell’insegnante contro l’ammonimento consegnato nel 2023. Del resto, rilancia Fonio, «ci si aspettava il rispetto delle procedure e delle leggi. Anche perché questa non è la battaglia di un unico docente, ma rischia di avere delle ripercussioni su tutti i dipendenti pubblici. La tematica è ben più ampia».
La conclusione dell’udienza, in altre parole, potrebbe creare un precedente. «Se questa diventa la modalità standard, nessuno potrà più stare tranquillo – commenta dal canto suo il legale del docente, l’avvocato Stefano Fornara –. Basteranno una parola fuori posto, il tono della voce o una segnalazione sgradita ai superiori per rischiare il licenziamento. In ogni caso oggi (ieri per chi legge, ndr) perdiamo tutti: lo Stato, soprattutto in credibilità, le istituzioni, che già non vivono un bel momento, e il docente. È stata una occasione mancata». Senza trascurare il fatto, ci fa notare ancora il patrocinatore, che «stiamo ancora aspettando una risposta sulle possibili misure alternative che avrebbero potuto essere prese in considerazione a fronte di un insegnante di 61 anni e 35 anni di servizio. Un obbligo di tutela accresciuto che ciascun datore di lavoro è tenuto a osservare, come spiegato recentemente dal Tribunale federale in ambito privato. Mi viene da dire che questo principio dovrebbe reggere, a maggior ragione il comportamento dell’ente pubblico. Senza dimenticare poi che non si è giustificata la proporzionalità del provvedimento». Al professore Caruso rimane un tarlo: per quale motivo, ci fa capire, sul suo comportamento non è stata aperta una inchiesta, dando così modo di confrontarsi? L’interrogativo, per ora, resta in sospeso. L’insegnante, però, non si trattiene davanti alla lettera firmata da 49 suoi colleghi del Cpt a difesa dell’Istituto. «Mi pare – esplicita – che con il loro scritto stiano sconfessando l’evidenza dei fatti. Ovvero l’esistenza di una inchiesta amministrativa sul vice direttore; le testimonianze dei ragazzi, condivise anche con i giornali; il dossier da me consegnato con altri insegnanti sul malessere all’interno della sede; le segnalazioni giunte all’Ocst; e non da ultimo il mio caso».
Sono numerosi in Ticino i docenti rimasti vittime di “più o meno malcelate minacce o intimidazioni da parte dei propri superiori”. Nel mondo della scuola oggi si assiste a una “diffusa pratica intimidatoria”. Non teme di andarci pesante il Movimento della Scuola che ieri ha voluto far sentire forte e chiara la sua voce e annotare la sua sorpresa per “il silenzio del Decs”. Le peripezie del docente della Spai di Mendrisio, del resto, hanno lasciato sconcertati, si annota, molti insegnanti. Se, insomma, quanto avvenuto al Centro professionale tecnico (Cpt) per l’Ocst è «solo la punta dell’iceberg», come ha spiegato su laRegione di giovedì il responsabile docenti del sindacato Gianluca D’Ettorre, per il Movimento non rappresenta un fulmine a ciel sereno. “Sono parecchi anni ormai – si motiva –, che nel Decs si è diffusa una modalità di gestione del personale a carattere verticistico e autoritario, che prevede l’impiego frequente e spesso indiscriminato delle inchieste amministrative per poter smorzare gli animi dei docenti che ancora rivendicano un ruolo attivo e partecipativo nella scuola, quello che storicamente è stato assunto con passione dagli insegnanti ticinesi e che anche la Legge della scuola in vigore riconosce ai Collegi docenti”. Ne consegue che “sono ormai in maggioranza i docenti che credono di non aver il diritto di esprimersi pubblicamente e che anche solo per rispondere alle domande di un giornalista devono chiedere l’autorizzazione della propria direzione”.
E sempre ieri non si sono fatte attendere le reazioni alle esternazioni del Movimento della Scuola. A voler mettere i fatidici puntini sulle ‘i’ è stato il già direttore del Decs Maunele Bertoli, il quale, ammette, non ha potuto fare a meno di intervenire nel dibattito, sentitosi chiamato in causa da “narrazioni inveritiere”. Gestione verticistica e autoritaria? “Una ridicola fandonia, non sostanziata, buttata lì così, tanto per far cattivo sangue – replica Bertoli, a capo del Decs fino all’aprile del 2023, in una nota –, che in mancanza di argomenti migliori si è voluto gettare in pasto all’opinione pubblica in questo caldo agosto e che non posso che respingere con forza. Mi indichino i signori del Movimento della scuola, se ne hanno gli estremi, alcune delle inchieste amministrative “indiscriminate” “volte a frustrare gli animi dei docenti attivi e partecipativi” che il Dipartimento avrebbe promosso quando ne ero direttore: visto che a loro dire sono state frequenti, non sarà difficile trovarne almeno quattro o cinque”.