Giangiorgio Gargantini, Vincenzo Cicero e Matteo Poretti avevano impugnato i decreti che li condannavano per un’azione sindacale a Paradiso nel 2021
Un’azione sindacale che non ha causato alcun impedimento: né del lavoro dei dipendenti, né dell’erogazione dei servizi pubblici. O comunque nessun impedimento di rilevanza penale. Sono stati integralmente assolti il segretario cantonale di Unia Giangiorgio Gargantini, il responsabile per il Sottoceneri Vincenzo Cicero e Matteo Poretti. Sono stati giudicati oggi dalla Pretura penale di Bellinzona per l’accusa di coazione, a causa di una mobilitazione davanti al magazzino comunale di Paradiso il 25 ottobre 2021. I tre sindacalisti avevano impugnato i decreti d’accusa del procuratore pubblico Roberto Ruggeri che nel 2023 li ha condannati per coazione a pene pecuniarie. Per i sindacalisti, e per il loro legale Davide Ceroni, c’è in gioco il diritto costituzionale allo sciopero.
Durante il procedimento, si è parlato non solo dei fatti, ma anche degli antefatti, ovvero del precedente lungo braccio di ferro tra Unia e il Municipio di Paradiso, in particolare il sindaco Ettore Vismara, a causa essenzialmente delle condizioni di lavoro in alcuni settori del Comune, relativo in particolare ai contratti precari. Con Ruggeri assente in aula, è toccato al difensore degli imputati e all’avvocato degli accusatori privati – ossia Vismara e per estensione l’Esecutivo – Edy Salmina riassumere l’accaduto. «La domanda alla quale dobbiamo dare risposta non è se lo sciopero e le rivendicazioni di Unia fossero leciti, né chi avesse ragione» ha premesso Salmina. Ciononostante, l’avvocato si è dilungato sui rapporti fra le parti prima dei fatti e su quello che ha definito «casus belli», ovvero il licenziamento di un dipendente seguito da Unia. Licenziamento impugnato al Consiglio di Stato (CdS), che ha dato ragione al ricorrente e l’uomo tuttora lavora per il Comune. «In Ticino basta e avanza la giustizia per risolvere i problemi, non c’è bisogno di bloccare l’accesso ai magazzini comunali».
Oltretutto, ha sottolineato il legale, il licenziamento in questione era dettato da inadeguatezze professionali e non dalla militanza sindacale dell’uomo, come sostenuto dalla difesa. Ma la vera chiave di volta, come l’ha definita Salmina, è la proporzionalità dell’azione di Unia. «Il sindacato ha agito illecitamente, nonostante le richieste della polizia di interrompere l’azione, impedendo di fatto la possibilità di lavorare a chi non intendeva partecipare allo sciopero. È stato un atto sproporzionato anche nei confronti di un interlocutore che ha sempre dimostrato apertura al dialogo, e lo dimostra la corrispondenza fra le parti, e proprio per questo non si può considerare che Unia fosse arrivata all’ultima ratio. Sproporzionato, anche perché la protesta era nei confronti di un interlocutore, che lo ricordiamo è un ente pubblico e quindi rappresenta una prima storica, che ha sempre agito lecitamente. Un Municipio che in quel momento non poteva più esprimersi riguardo al licenziamento ritenuto ingiusto, in quanto poche settimane prima era stato inoltrato ricorso al CdS e il tema non era dunque più di competenza comunale. A Paradiso esiste una commissione del personale e le paghe sono buone, i dubbi sulle condizioni di lavoro non giustificavano quest’azione».
Salmina ha in definitiva chiesto la conferma delle condanne contenute nel decreto d’accusa firmato da Ruggeri, ovvero tre pene pecuniarie da venti aliquote giornaliere sospese condizionalmente per due anni. L’avvocato ha sottolineato che «quella mattina era necessario il consenso di Unia per uscire o entrare dal magazzino. Inoltre, quando i dipendenti sono arrivati sul posto, il magazzino è già bloccato: solo poi è avvenuta la discussione, non è stata una decisione presa con i lavoratori. Questo blocco, durato cinque ore, aveva lo scopo di obbligare la controparte a una discussione. Pertanto si configura una doppia coazione: consumata, con l’impedimento dell’attività pubblica, e tentata, per aver posto in ostaggio l’autorità comunale portandola ad agire in un certo modo». Salmina ha concluso il proprio intervento sottolineando come nella controversia «Unia, che è il più grande sindacato svizzero, sia Golia, mentre Paradiso, che non rientra neanche fra i dieci più grandi comuni del cantone, sia Davide».
«È tutto sbagliato – la replica di Ceroni –. È semmai Vismara, nel suo territorio, a essere Golia essendo sindaco da oltre trent’anni». Il difensore si è detto incredulo e stupito della denuncia prima, sei mesi dopo i fatti, e dell’esito dell’inchiesta di Ruggeri poi. «I dipendenti entravano e uscivano come volevano dal magazzino, addirittura è stato garantito l’accesso anche al camion del sale. Peccato siano state misteriosamente cancellate le videoregistrazioni della sorveglianza di quel giorno proprio quando sono state chieste». Dichiarazioni confermate da due testimoni, chiamati a deporre dalla difesa: due dipendenti di Paradiso di lungo corso, che hanno spiegato che chi non desiderava, o non poteva per via di appuntamenti pregressi, aderire alla mobilitazione ha potuto lavorare.
«Ancora più inconsistente l’ipotesi di minaccia dell’interruzione a tempo indeterminato dei servizi comunali. Ma quali? Nel decreto non lo si specifica. Nei fatti, nessun servizio è stato interrotto e in ogni caso stiamo parlando di una squadra esterna (i lavoratori coinvolti nello sciopero, ndr) che si occupa dei tipici servizi di manutenzione, nulla di urgente. E l’intervento per eventuali emergenze, è stato concordato fin da subito, era garantito». Anche Ceroni ha toccato il tema degli antefatti: «Il contesto nel quale lavoravano i dipendenti era molto teso: venivano frequentemente aperte inchieste amministrative interne, che generavano pressioni nei loro confronti. Inoltre, erano in corso continue modifiche al Regolamento organico dei dipendenti (Rod). Unia, così come da diritto sancito dal Tribunale federale (Tf), chiedeva di essere consultato ma questo diritto è stato negato dal Municipio. Altro che porta aperta al dialogo. Anzi, dopo lo sciopero, il sindaco ha chiamato uno a uno i suoi dipendenti per un colloquio, mettendoli ancora una volta sotto pressione. Bisognerebbe forse parlare di questo comportamento. È vero che è stata un’ultima ratio, l’ultima soluzione in risposta a un Municipio che si rifiutava di discutere con i rappresentanti dei lavoratori. È semmai il Municipio ad aver violato la pace sindacale».
Ceroni, infine, ha aggiunto che «abbiamo a che fare con un diritto costituzionale (ha detto citando l’articolo 28 della Costituzione, che garantisce libertà sindacale, ndr), oltre che di un diritto internazionale. L’articolo 28 tutela non solo la libertà sindacale, ma anche tutto quello che la garantisce, dalla comunicazione alla mobilitazione. Il nostro cantone era già stato bacchettato dal Tf, perché lo Stato non deve rendere più difficile l’organizzazione di uno sciopero. La libertà sindacale giustifica addirittura determinate azioni penalmente rilevanti, di nuovo è il Tf a dircelo. Ma non è il caso: se la polizia avesse ritenuto che ci fosse un reato, sarebbe intervenuta. Ma così non è stato». L’avvocato ha infine chiesto l’assoluzione dei tre sindacalisti e l’annullamento dei decreti d’accusa.
Gargantini, Cicero e Poretti, dal canto loro, durante l’interrogatorio iniziale e ancora al termine del dibattimento hanno potuto precisare alcuni punti per loro importanti. A cominciare dal fatto che l’intervento attuato, ovvero il posizionamento di alcune automobili all’ingresso di un edificio, non solo era un atto simbolico di protesta ma era anche uno schema precedentemente attuato più volte. E mai con conseguenze giudiziarie di qualsiasi tipo. Tuttavia, mai nei confronti di un’amministrazione pubblica, da qui la storicità dell’evento. «Quando facciamo azioni di questo tipo, l’idea di base è mostrare che il sindacato si assume la responsabilità dell’azione intrapresa. E comunque non facciamo mai azioni di questo tipo senza aver prima fatto una votazione tra il personale e aver ottenuto una maggioranza netta a favore» ha detto Cicero. Sia i sindacalisti, sia i testimoni, hanno poi riferito del coinvolgimento del sindaco: «È arrivato sbraitando e urlando, arrabbiato, si è fermato dall’altra parte della strada e ha detto: ‘Chi vuole lavorare, venga qui’, ma nessuno è andato dalla sua parte. Poco dopo se n’è andato». Più tardi Vismara è tornato nuovamente sul posto, come lui anche il municipale della Lega Antonio Caggiano, ed era già presente la polizia. La mobilitazione è poi terminata in tarda mattinata. «Siamo fieri di essere qui – ha concluso Gargantini –. Lo abbiamo fatto per difendere i diritti dei lavoratori che ci hanno sollecitato, in accordo con loro e nel rispetto di quel che desideravano fare».
«Non parlerò di Costituzione, di diritti, di libertà, di limiti, di tante cose giuste dette oggi, che nessuno oggi mette in dubbio» ha esordito il giudice Flavio Biaggi. Mi riferirò invece al reato ben specifico: la coazione. Non è un reato facile, in quanto copre molte fattispecie. Per esserci coazione deve sussistere o la violenza o la minaccia di grave danno o l’intralcio in altro modo della libertà di agire. Escludiamo i primi due casi. Ci concentriamo quindi sul terzo, che va ammesso solo se di intensità pari alla violenza o alla minaccia di grave danno. Non ogni influsso alla libertà è da considerarsi un intralcio. Deve essere mezzo coercitivo capace di impressionare una persona di media sensibilità e atto a intralciarla in modo sostanziale». Questo, nello specifico, non è avvenuto.
«I fatti sono chiari e i testimoni credibili – ha aggiunto il pretore –. Chi desiderava entrare o uscire dal magazzino, lo faceva. Non risulta che ci sia stato alcun impedimento da questo punto di vista. Il blocco sindacale non ha impedito nulla. Vero, qualcuno dei sindacati doveva spostare l’auto, ma questo è avvenuto. È un discorso di proporzionalità» e in questo caso il blocco non è pari né alla violenza né alla minaccia di grave danno. «Non ho nessun elemento per dire che chi avesse voluto lavorare quel giorno non lo potesse fare, anzi. Il sindaco oltretutto li ha esortati a farlo, ma nessuno sembrerebbe essersi spostato. Anche riguardo all’erogazione dei servizi pubblici, con tutto il rispetto, stiamo parlando della squadra esterna. Non di interventi di emergenza. Un’interruzione dei pubblici servizi, se anche c’è stata, non ha proporzionalmente causato danni. L’intervento dei sindacalisti non ha mai raggiunto livelli paragonabili alla violenza o alla minaccia di grave danno. I presupposti di reato non sono dati». Pur non esprimendosi sul diritto costituzionale, Biaggi ha precisato che la libertà sindacale «non giustifica tutto, ad esempio non un significativo blocco del traffico stradale. Nemmeno è permesso sabotare lo svolgimento di un evento». Infine, un’osservazione rivolta a Unia: «Sin qui, questo schema operativo ha sempre funzionato. Questo è stato il primo caso che riguarda l’ente pubblico e forse val la pena chiedersi se questo schema una prossima volta vada ritoccato o meno. Le barriere non aiutano mai nei dialoghi».