Colpo di scena al processo in Appello: la 30enne di Vezia dimostra, per la prima volta, pentimento e si scusa con le vittime e i parenti delle vittime
Inizia con un colpo di scena il processo alla Corte d’Appello del Tribunale penale federale (Tpf) di Bellinzona. La 30enne colpevole del duplice accoltellamento alla Manor di Lugano del 24 novembre 2020 ha infatti espresso, per la prima volta, un senso di colpa per quanto compiuto, un dispiacere e delle scuse. «Mi scuso con le vittime e con i parenti delle vittime per quello che ho fatto» ha detto l’imputata durante l’interrogatorio. A causa del suo attacco ai grandi magazzini, ricordiamo, due donne sono rimaste ferite: una in modo leggero e l’altra più pesantemente.
«In prima istanza non si era espressa così, anzi al contrario» ha sottolineato Maurizio Albisetti Bernasconi, presidente della Corte composta anche dai giudici Katharina Giovannone-Hofmann e Andrea Ermotti. Di fronte alla Corte di primo grado presieduta da Fiorenza Bergomi, la 30enne di Vezia aveva effettivamente dapprima dichiarato «se potessi tornare indietro lo rifarei, ma meglio di così», smussando poi in un «lo rifarei, ma non in Svizzera». Perché dunque questo cambiamento? «Oggi ho un’opinione diversa. È stato l’errore più grande della mia vita. Ho sbagliato. È sbagliato uccidere, anche i miscredenti. Solo Dio lo può fare. Non è giusto quello che ho fatto. Se tornassi indietro non lo rifarei. È stato un errore anche prostituirsi. Se mi dessero telefoni non mi metterei più in contatto con membri (presunti o meno) di al-Qaida o Isis. Potrei essere una buona musulmana senza fare violenza. La violenza è sbagliata».
L’imputata, rispondendo alle domande di Albisetti Bernasconi, ha comunque detto di sentirsi sempre una musulmana e che l’Islam «mi ha aiutata, prima di convertirmi avevo pensieri suicidi». Anche in questo campo ci sono stati dei cambiamenti, in quanto durante il processo in primo grado era emerso che la donna conosceva poco o nulla dei dettami islamici, mentre ora sembra dimostrare un vero interesse verso la religione maomettana. «Ho chiesto di vedere un imam per parlarci e per capire meglio i dettami, prima non lo avevo mai fatto» ha precisato, prendendo le distanze dall’estremismo: «È stato un errore contattarli (i presunti terroristi con i quali era in contatto, ndr) perché quelle sono organizzazioni molto pericolose, anche se allora volevo partecipare alle loro azioni. Non voglio diventare estremista, ammazzare la gente, ho fatto l’errore più grande e me ne sono pentita amaramente». In aula l’imputata conferma comunque di aver premeditato di voler uccidere delle persone alla Manor di Lugano.
In entrata di interrogatorio, il presidente della Corte si è altresì interessato del suo stato di salute e delle condizioni di detenzione. «Non mi trovo tanto bene – ha replicato la donna –. Passo quasi tutto il giorno in cella, tranne due ore che esco a passeggiare ma da sola perché non mi piace la compagnia delle altre imputate, fanno discorsi troppo scurrili». Incalzata dal giudice, l’imputata ha precisato di non partecipare a (quasi) nessuna delle attività che le vengono proposte alla mattina e al pomeriggio per sua scelta, una scelta dettata tuttavia da ragioni di salute: «Ho frequenti giramenti di testa». Il martedì e il venerdì le visite della famiglia. «Globalmente la mia salute è peggiorata» ha precisato.
Proprio le condizioni di detenzione sono state preannunciate come il tema portante della difesa, rappresentata dagli avvocati Daniele Iuliucci e Simone Creazzo, che sostengono come gli ormai quasi tre anni di detenzione alla Farera siano una violazione dell’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Nel mentre, grazie al Giudice dei provvedimenti coercitivi, è stata finalmente trovata una soluzione: l’imputata verrà trasferita in autunno al carcere femminile di Hindelbank (Berna) in attesa che si liberi un posto al Curabilis di Puplinge (Ginevra). La difesa in ogni caso chiederà una diminuzione della pena, che era stata fissata in nove anni dalla Corte di primo grado.
Proprio i nove anni stabiliti il 19 settembre del 2022 sono giudicati invece pochi dal Ministero pubblico della Confederazione. La procuratrice federale Elisabetta Tizzoni si batterà infatti per un aumento della pena. Già durante il processo in primo grado l’accusa aveva chiesto quattordici anni, chiedendo la doppia aggravante sia per il ripetuto tentato assassinio sia al massimo per la violazione della Legge federale che vieta i gruppi al-Qaida e Isis, nonché le organizzazioni associate. Oltre a questi due reati, la donna è stata condannata anche per ripetuto esercizio illecito della prostituzione. La Corte, viste le gravi turbe psichiche della donna confermate dalle perizie, aveva in ogni caso disposto che la pena venisse sostituita da una misura stazionaria in una struttura chiusa. Misura che è stata definita rinnovabile a tempo indeterminato.