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Accoltellamento alla Manor, l’imputata sconterà oltre Gottardo

La 30enne sarà spostata prima al carcere femminile di Hindelbank e poi entro l’anno al Curabilis di Ginevra. Intanto, inizia oggi il processo in Appello

Il duplice tentato assassinio è avvenuto a fine novembre 2020
(Ti-Press)
12 luglio 2023
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Sta per terminare il periodo di carcerazione alla Farera della 30enne condannata l’anno scorso per il duplice accoltellamento alla Manor di Lugano del 24 novembre 2020. Nel giorno dell’avvio del processo alla Corte d’appello del Tribunale penale federale (Tpf) di Bellinzona, apprendiamo che a oltre due anni e mezzo dall’arresto è stato finalmente trovato un accordo che permetterà all’imputata di espiare la condanna così come pronunciata dalla Corte di primo grado del Tpf il 19 settembre scorso, ossia un trattamento stazionario in una struttura chiusa in sostituzione dei nove anni di detenzione. Sostanzialmente, la donna verrà trasferita in autunno temporaneamente al carcere femminile di Hindelbank (Berna), nell’attesa che si liberi un posto al penitenziario Curabilis di Puplinge (Ginevra).

‘Violata la Convenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo’

«Siamo molto contenti della soluzione trovata – ci dice l’avvocato Daniele Iuliucci, che con il collega Simone Creazzo cura la difesa – e siamo grati per la bella collaborazione fra tutte le strutture carcerarie e le autorità giudiziarie coinvolte. D’altra parte, per noi era imperativo cambiare l’attuale stato di cose». Il riferimento è al regime di carcerazione che la condannata sta subendo, notoriamente più duro alla Farera che alla Stampa sotto diversi aspetti. In particolare il fatto di avere una sola ora d’aria al giorno. «Non c’è da girarci attorno – sostiene Iuliucci –: la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha già sancito in casi relativi ad altri Paesi (Turchia, Estonia, Paesi Bassi, ndr) che la segregazione in una cella per ventitré ore al giorno se supera una certa durata rappresenta una violazione dell’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali della Cedu. E qui siamo ormai prossimi ai tre anni di detenzione alla Farera». L’articolo 3 citato dall’avvocato è molto conciso: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Misura stazionaria a tempo indeterminato

Questo argomento sarà uno dei due principali che la difesa porterà davanti alla Corte d’Appello. «Fondamentalmente chiederemo la riduzione di ulteriori sei mesi per il protrarsi di una carcerazione che definiamo, appunto, in contrasto con l’articolo 3 della Cedu. Chiederemo alla Corte di accertare questa violazione e di darle delle conseguenze. Ossia, chiederemo che, se una limitazione della libertà personale va oltre la normale carcerazione, deve essere considerata come una doppia deduzione dei giorni di detenzione già scontati. Quindi per ogni giorno che è stata detenuta in violazione dell’articolo 3 della Cedu andrebbero dedotti due giorni dalla misura invece di uno». Iuliucci tuttavia precisa che si tratterebbe di una decisione «senza nessun effetto pratico». Questo, perché la misura stabilita dalla Corte di primo grado è a tempo indeterminato.

‘In Svizzera mancano strutture’

La Corte presieduta da Fiorenza Bergomi e composta anche da Roy Garré e Monika Galliker aveva infatti condannato la 30enne a nove anni di carcere, aggiungendo che la pena sarebbe stata sostituita da un trattamento stazionario da eseguirsi in una struttura chiusa. Misura questa, giustificata dalle gravi turbe psichiche riscontrate dalle perizie effettuate sull’imputata, e di fatto rinnovabile a tempo indeterminato. «Nella sostanza non cambierebbe nulla. Sarebbe però un messaggio politico importante, per far capire che la situazione va cambiata. Prima o poi arriverà un detenuto che invece di scontare otto anni ne fa quattro, perché ha trascorso un lungo periodo di detenzione in violazione dell’articolo 3 della Cedu. La situazione globale in Svizzera da questo punto di vista è davvero lacunosa. A Hindelbank c’è un carcere femminile che ha un sostegno terapeutico ma non è adatto a trattare una malattia come quella dell’imputata. Da fine anno dovrebbe liberarsi uno dei soli cinque posti femminili per tutta la Svizzera al Curabilis, dove finalmente potrà svolgere la misura terapeutica stazionaria che era stata ordinata. È desolante che non ci siano le strutture. Non va più bene, non in Svizzera, non nel 2023. Soprattutto considerando che i crimini fondati su problematiche psichiatriche sono in aumento. Altro aspetto che non va bene: la Confederazione non dispone di una struttura per l’esecuzione di misure terapeutiche stazionarie. Curabilis è un’istituzione privata, con costi molti elevati. Anche solo dal profilo finanziario, sarebbe opportuno che lo Stato prevedesse almeno una struttura di questo tipo nel Paese».

La questione della carcerazione dell’accoltellatrice è stata al centro anche di una recente sentenza del Tribunale federale (Tf). «Abbiamo scritto al Tf fondamentalmente per evadere una controversia dottrinale in merito a chi fosse competente – se il Giudice dei provvedimenti coercitivi (Gpc, Ares Bernasconi, ndr) o il presidente della Corte d’Appello del Tpf (Maurizio Albisetti Bernasconi, ndr) – sulle decisioni relative alla carcerazione della nostra assistita. Il Tf, cambiando un po’ la sua giurisprudenza, ha dato competenza la Gpc. Ne siamo stati contenti perché quest’ultimo ha preso molto a cuore la situazione attivandosi per trovare una soluzione». Il Tf tuttavia ha anche ‘bacchettato’ i legali difensori. «Ci hanno rimproverati di non aver contestato la misura (il trattamento stazionario in struttura chiusa, ndr), perché avremmo già dovuto sapere che non era attuabile in Ticino. Certo che lo sappiamo, ma davamo per scontato che la misura venisse attuata oltre Gottardo. La difesa non deve contestare la misura perché lo Stato non ha le strutture per attuarla».

L’accusa chiederà una pena più severa

Questione della violazione dell’articolo 3 della Cedu a parte, la difesa chiederà anche il proscioglimento integrale dall’accusa di violazione della Legge federale che vieta i gruppi al-Qaida e Isis, nonché le organizzazioni associate. «Anche in questo caso chiederemo un’ulteriore, eventuale, riduzione della pena di primo grado, ma solo di un mese. E comunque non cambierebbe nulla per il discorso fatto prima, ossia che la misura stazionaria è a tempo indeterminato». Ad aver voluto il dibattimento in appello, infatti, è stato in particolare il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc), dato che la difesa aveva presentato unicamente appello adesivo. La procuratrice federale Elisabetta Tizzoni aveva difatti chiesto una condanna a quattordici anni, sostenendo che l’aggressione sia stata effettivamente un attentato terroristico e chiedendo una doppia aggravante sia per il tentato assassinio sia chiedendo la pena massima, cioè cinque anni, per l’articolo che vieta al-Qaida e Isis.

La Corte di primo grado, invece, pur definendo l’episodio «tentato assassinio a sfondo jihadista» – e non tentato omicidio intenzionale come chiesto dalla difesa –, aveva inflitto un solo mese di pena alla 30enne per il reato in questione, evidenziando come non ci fosse «unità di azione con i fatti del 24 novembre 2020». Il dibattimento che inizia oggi, dunque, più che ridiscutere dei fatti che hanno portato al ferimento di due donne (una in modo grave) nei grandi magazzini, avrà come oggetto probabilmente l’applicazione del diritto.