Luganese

Accoltellamento Manor, ‘la pena deve essere quattordici anni’

Il Ministero pubblico della Confederazione ripropone la stessa richiesta di pena del primo grado, sostenendo il concorso fra i due reati principali

(Ti-Press)
12 luglio 2023
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La pena per la 30enne responsabile dell’accoltellamento alla Manor di Lugano deve essere quattordici anni e non nove. A dirlo, anzi a ribadirlo dato che corrisponde alla richiesta di pena già formulata durante il processo in primo grado, è il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc). Per la procuratrice federale Elisabetta Tizzoni, infatti, i due reati principali – il ripetuto tentato assassinio e la violazione della Legge federale che vieta i gruppi al-Qaida e Isis, nonché le organizzazioni associate – sono in concorso e non sovrapponibili.

‘Dubbi sul pentimento’

«All’epoca dei fatti, l’imputata ha dimostrato di essere una persona radicalizzata, determinata e pericolosa – ha esordito Tizzoni durante la requisitoria ripercorrendo brevemente i fatti e il vissuto difficile della donna –. Diverse le frasi agghiaccianti profuse durante gli interrogatori e spaventosa la circostanza che fino a oggi non si era pentita, anzi a più riprese aveva confermato di voler ricommettere quanto fatto. Prendiamo atto del pentimento, che la pubblica accusa mette fortemente in dubbio, anche alla luce delle risposte evasive date oggi e del fatto che nemmeno i suoi legali ne sapessero qualcosa».

‘C’è concorso fra i due reati’

La procuratrice è poi entrata nel vivo delle richieste. «Condividiamo le principali conclusioni della Corte di primo grado, fatta eccezione per due importanti punti»: il concorso fra i due reati principali e l’entità della pena. «La questione riveste un’importanza fondamentale perché servirà a dare in futuro una corretta giurisprudenza». Per la Corte di primo grado non c’era unità di azioni fra i due reati, e l’aggressione ai grandi magazzini era già stata punita con la pena per il tentato assassinio, reato che da solo rappresenta di per sé un’aggravante. Come effettiva propaganda all’Isis la Corte aveva tenuto unicamente in considerazione tre immagini – tra le quali la bandiera dello Stato islamico – e altrettanti messaggi inviati a un giovane siriano che peraltro non è stato confermato fosse in alcun modo legato agli ambienti jihadisti. Il reato che vieta al-Qaida e Isis, pertanto, era stato confermato limitatamente a questi pochi aspetti e aveva contribuito in minima parte (un mese soltanto) alla commisurazione della pena.

‘Voleva mostrare al mondo la sua radicalizzazione’

«Una definizione di terrorismo universale non esiste, ce ne sono più di cento – ha ricordato Tizzoni –. Ma tutte hanno elementi comuni: violenza, paura, arbitrio (ossia cercare dei bersagli casuali, ndr), vittimizzazione di civili, obiettivo ideologico. L’imputata voleva uccidere indiscriminatamente, in nome di un’ideologia violenta. Il suo gesto rientra nella definizione di attentato terroristico, caratterizzato da un uso anormale di violenza. Al momento dei fatti era sicuramente radicalizzata, in un crescendo, con un percorso analogo a tanti radicalizzati in Occidente. Spesso giovani, con problemi, che della religione islamica sanno ben poco. Si attaccano a un’ideologia grazie al lavaggio del cervello fatto sul web dallo Stato islamico. Era una persona sola, emarginata. I problemi psichici dell’imputata non sono tali da non averle permesso di valutare l’impatto della sua azione. Non c’è dubbio che lo scopo fosse mostrare al mondo intero la sua radicalizzazione».

‘Le due norme proteggono reati giuridici diversi’

Ciò detto, la procuratrice federale ha precisato che la 30enne di Vezia «deve essere giudicata sia per l’uno sia per l’altro reato, in quanto c’è stato un concorso fra i due. Non si può dire che il secondo reato sia sussidiario al primo. Non si dovrebbe applicare il principio di sussidiarietà. Si chiede invece un’applicazione parallela sistematica (che porterebbe dunque a un inasprimento delle pene, ndr)». Una doppia aggravante in sostanza, generalmente esclusa dal Codice penale svizzero ma che secondo la pubblica accusa sarebbe invece giustificata in casi legati al terrorismo. Un cambiamento di paradigma recente e che sarebbe «già stato riconosciuto dal Tribunale federale». Per Tizzoni, inoltre, le due norme – quelle che puniscono i due reati principali – «non sono affatto sovrapponibili, vanno a proteggere due beni giuridici ben diversi: la vita il primo, la sicurezza pubblica il secondo».

La pena dunque deve essere di quattordici anni. Anche perché, ha concluso la procuratrice federale, sono numerosi i casi di condanne per tentato assassinio in casi commessi con coltello o comunque arma bianca, che hanno portato a condanne fra i dieci e i quindici anni, quindi superiori ai nove pronunciati lo scorso 19 settembre dalla presidente della Corte Fiorenza Bergomi. Nel pomeriggio è attesa l’arringa difensiva degli avvocati Daniele Iuliucci e Simone Creazzo.