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Svizzera, il pingue bottino lo si deve alle donne

Sulle 13 medaglie della selezione rossocrociata, 10 sono merito delle atlete, le quali hanno messo al collo tutti e tre gli ori e tre dei quattro argenti

13 medaglie per la Svizzera: una cifra considerevole, decisamente oltre le aspettative che indicavano in 7 - come a Rio nel 2016 - l’obiettivo fissato da Swiss Olympic per ritenere l'edizione di Tokyo soddisfacente sul piano del bottino. Ora, che sia particolarmente pingue, la Svizzera lo deve soprattutto alle donne, con il 77 per cento delle medaglie: 10 su 13, tra la quali tutti e tre gli ori (Belinda Bencic nel tennis, Nina Schürter nel tiro e Jolanda Neff nella mountain bike), nonché tre dei quattro argenti.

Numeri straordinari che negli scorsi decenni sarebbero stati impensabili. Non per la qualità delle atlete, bensì per la loro quota nel contingente rossocrociato che in passato ha preso parte ai Giochi, decisamente inferiore a quelli dei giorni nostri. Superfluo tornare all'inizio della storia dei Giochi, manifestazione riservata agli uomini, con qualche piccola concessione in discipline quali il tennis e il golf, o in altri sport, a patto che si trattasse di formazioni miste. Decisamente fuori dal tempo anche l’esperimento del 1921, anno della prima edizione dei Giochi mondiali femminili, una rassegna parallela alle Olimpiadi tradizionali, alla quale venne riservata ben poca attenzione.

Da Stückelberger e McMahon

Per un ingresso a pieno titolo nel panorama sportivo olimpico, con una discreta partecipazione a diverse discipline, bisogna tornare indietro di mezzo secolo circa. Nel 1976 a Montréal Christine Stückelberger (oro nel dressage) fece da apripista al movimento femminile. Prima dell’amazzone bernese, fu Marianne Gossweiler l’unica donna elvetica a conquistare una medaglia: nel 1964 e nel 1968 vinse l’argento e il bronzo nel concorso a squadre di dressage.

Dopo l’alloro di Stückelsberger, ci sono voluti altri 24 anni prima che le atlete elvetiche contribuissero con più allori al medagliere olimpico. Trascinate dalla triatleta Brigitte McMahon (campionessa olimpica), le rossocrociate a Sydney misero al collo 5,5 medaglie (la “mezza” d’argento la conquistò Lesley McNaught nell’ippica, concorso a squadre di salto). Dal 2004 (Atene) al 2012 (Londra) la quota di medaglie “rosa” è rimasta tra il 20 e il 25 per cento, fino alla recente esplosione: 57 per cento a Rio nel 2016, 77 per cento a Tokyo.

Una curiosità: così come le sportive d’élite svizzere, anche l’esercito può ritenersi molto soddisfatto del bottino olimpico. Sette delle tredici medaglie sono infatti state conquistate da atlete e atleti che sono sostenuti dal settore dello sport d’élite nell’ambito dell’esercito svizzero o che praticano la loro disciplina prestando servizio militare a tempo parziale, naturalmente remunerato. Si tratta di Nina Christen (tiro), Linda Indergand, Jolanda Neff, Sina Frei (mountain bike), Jérémy Desplanches (nuoto) e Mathias Flückiger (mountain bike).

Una medaglia ogni 620'000 abitanti

L’enorme contributo femminile al pingue bottino secondo solo all’edizione del 1952 a Helsinki (14) ha consentito alla Svizzera di risultare tra la nazioni più premiate, tenendo conto della proporzione tra il numero degli abitanti e, appunto, le medaglie conquistate, una ogni 620’000 abitanti. A titolo di paragone, gli Stati Uniti che hanno dominato il medagliere, ne vantano 113, da rapportare a 330 milioni, vale a dire una ogni 3 milioni di americani. Una ogni 16 milioni è la proporzione della Cina (88 medaglie all’attivo, seconda nel medagliere). Per l’Italia dei record (40), la quota è una ogni 1,5 milioni, decisamente considerevole.

Spicca, in un calcolo di questo genere, la posizione di San Marino, antica Repubblica che da Tokyo ha portato a casa ben tre medaglie, storiche in quanto le prime in assoluto, grazie al tiro a volo (due) e alla lotta. Una medaglia ogni 12’000 abitanti, un record difficilmente superabile. 

Tre novità nel medagliere

San Marino è uno dei tre paesi entrati per la prima volta nel medagliere: gli altri due sono il Burkina Faso (bronzo nel salto triplo con Fabrice Thamgo) e il Turkmenistan (argento nel sollevamento pesi con Polina Guryeva). Le Olimpiadi di Tokyo hanno così stabilito il record di paesi che hanno conquistato almeno una medaglia: sono diventati 93, 6 in più di cinque anni fa a Rio. Cresciuto anche il numero delle nazioni che hanno vinto un oro: 65, anche in questo caso 6 in più della precedente edizione. Un aumento che deve tenere conto dell'accresciuto numero di discipline olimpiche (le novità sono state baseball, softball, karate, surf, skateboard e arrampicata), al quale si sono però contrapposte condizioni di gara non ideali, se si tiene conto dei protocolli legati al covid e della bolla olimpica nella quale gli atleti sono rimasti per tutto il tempo della loro permanenza in Giappone.

Quota 100 paesi nel medagliere non è distante, Parigi già incombe. Si parte dalle 80 rappresentative medagliate a Sydney, si scende a 74 ad Atene, si torna su con le 86 di Pechino. A Londra furono 85, a Rio 87. A Tokyo, come detto, 93. Una tendenza al rialzo che potrebbe coinvolgere presto altre nazioni.